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Pietro Lorenzetti | Polittico della pieve di Arezzo


   
   
Il Polittico della pieve di Arezzo è un'opera a tempera e oro su tavola di Pietro Lorenzetti, firmata, datata 1320 e conservata nella chiesa di Santa Maria della Pieve di Arezzo.


Storia

Vasari raccontò che Pietro Lorenzetti venne chiamato ad Arezzo dal vescovo Guido Tarlati per affrescare la tribuna e l'abside della pieve di Santa Maria, dipingendo dodici storie della Vergine culminanti nell'Assunzione, in cui aveva rappresentato gli apostoli a grandezza naturale, lodati come primo tentativo di "ringrandire la maniera".[1] Queste opere, tanto apprezzate dal biografo aretino e oggi completamente perdute, valsero a Pietro la commissione per la pala d'altare, che è ancora in loco.

Dell'opera resta in contratto di allogazione, che riporta in nome per intero del pittore: «Petrus pictor, quondam Lorenzetti qui fuit de Senis» ("Pietro del fu Lorenzetti che fu di Siena").
   
   
Descrizione e stile


   
La pala è in condizioni buone per la maggior parte degli scomparti, nonostante la predella andata perduta. Ha cinque scomparti, ciascuno dotato di uno scomparto superiore e di una cuspide dipinta, con le parti centrali di maggiori dimensioni.


Registro principale

Al centro si trova la Madonna col Bambino a mezza figura (come tutti gli altri santi), che attrae immediatamente l'attenzione per il velo sontuoso, di un raffinatissimo broccato d'oro con motivi blu, in cui i quadrilobi si susseguoni deformandosi per effetto delle pieghe; esso è foderato di pelliccia di scoiattolo grigio dalla tipica forma a vaio con code di visone attaccate. Maria guarda il figlio con tenerezza mentre egli, con una tranquilla confidenza, le poggia una mano sulla spalla e le afferra un lembo del velo. Il gioco degli sguardi, tenero e realistico, lega tra loro le figure instaurando un dialogo muto e intenso, secondo quella che è una delle componenti fondamentali dell'arte di Pietro. Le spalle di Maria si avvitano elegantemente per bilanciare il peso del figlio, ricreando un effetto tipico delle sculture di Giovanni Pisano.

Il santio degli scomparti inferiori sono, da sinistra, Donato, Giovanni Evangelista, Giovanni Battista e Matteo. Il Battista come tipico della sua iconografia indica Cristo, alludendo al suo annuncio dell'arrivo del Salvatore, ma il pittore gli fa utilizzare il pollice teso invece dell'indice, un gesto originalissimo che poi riutilizzò in altre opere. È stato notato come il disporsi dei santi sia legato da leggere variazioni ritmiche delle inclinazioni dei busti, delle teste e degli sguardi, con una sorta di linea continua che sale e scende all'altezza delle braccia dei personaggi, grazie alle falcate ampie e morbide dei panneggi che si aprono e si chiudono a valva di conchiglia. Sopra gli archi di questi santi stanno coppi di angeli con le ali che si toccano riempiendo, con un ritmo dosato, gli spicchi disponibili e congiungendo fluidamente questi settori.

Dal punto di vista stilistica nella pala si colgono sia richiami delle eleganze di Duccio di Buoninsegna, maestro ideale di Pietro, sia alla salda spazialità di Giotto, come dimostra il variato disporsi nello spazio dei santi, evitando una frontalità rigida.


Registri superiori


Se la parte inferiore mostra una trama tesa soprattutto in orizzintale, quella superiore, con la forma aguzza delle cuspidi, suggerisce invece un andamento verticale. I santi a mezzo busto che, accoppiati, si affacciano dagli archetti divisi da colonnine sono (da sinistra): Giovanni, Paolo, Vincenzo, Luca, Jacopo maggiore, Jacopo minore, Marcellino e Agostino. Tra gli archetti di ciascuno scomparto compare un profeta entro un tondo. Sia i profeti, sia Luca, che ritrasse Maria, hanno lo sguardo rivolto al pannello centrale con l'Annunciazione, sopra la Madonna col Bambino. Questa scena mostra un'altra delle caratteristiche tipiche di Pietro, cioè quella di usare la struttura del dipinto per disegnare l'architettura dello sfondo. La stanza di Maria ha i pilastri infatti sui bordi e quello centrale regge idealmente gli archetti dorati della cornice, tra i quali fa capolino la testa del Padre Eterno, ritratto in una ieratica frontalità.

La stanza di Maria è spiccatamente tridimensionale: essa siede nell'angolo posteriore su una sorta di cassapanca, mentre riceve la visita dell'angelo che si inginocchia davanti ad essa. In alto, dove è rappresentata una minuscola loggia con colonnine che gira attorno a peristilio (realizzato con una minuzia da miniatore) la colomba dello Spirito Santo attraversa una fienstra per arrivare a Maria, inviata dalla mano benedicente di Dio che compare da una nuvola a sinistra.

In alto infine si trovano altre quattro sante (Reparata, Caterina d'Alessandria, Orsola e Agata) e l'Assunzione della Vergine, che segna la conclusione trionfale della biografia della Vergine mentre sale a ritrovare il figlio in Paradiso. Essa vi è rappresentata entro una mandorla di serafini, vestita di bianco e frontale, con le gambe che sono proiettate in avanti rompendo la staticità bizantina dell'iconografia tradizionale.
 


Santa Maria della Pieve, facciata e campanile


Santa Maria della Pieve, absis


Annunciazione

 
   


[1] Guido Tarlati da Pietramala (Arezzo, ... – Arezzo, 21 ottobre 1327) fu il sessantunesimo vescovo di Arezzo e signore della città.
Arezzo, cattedrale di San Donato, tomba di Guido Tarlati, formella in rilievo eseguita su disegno di Giotto e rappresentante l'assedio del castello di Caprese.
Proveniva dalla nobile famiglia ghibellina dei Tarlati di Pietramala ed era canonico della cattedrale quando fu eletto vescovo. Fu consacrato nel 1312 da papa Clemente V ad Avignone.
Come vescovo incentivò le istituzioni monastiche e dette la sua autorizzazione al nuovo ordine degli Olivetani.
Nel 1321 fu nominato signore a vita di Arezzo. Cercò innanzitutto di ottenere la pacificazione interna della città fra guelfi e ghibellini. Sospese la politica di contrapposizione diretta con Siena e Firenze ma attuò una spregiudicata strategia per l'autonomia della città e, quindi, per l'indebolimento della posizione di Firenze. Infatti appoggiò sia Uguccione della Faggiola, signore di Pisa e Lucca, che riuscì a sconfiggere i fiorentini a Montecatini nel 1315 che Castruccio Castracani che li sconfisse ad Altopascio. Si contrappone anche alla famiglia dei conti Guidi di Romena, di parte guelfa, conquistandone numerosi castelli. Tra di essi si può ricordare la rocca di Caprese, capitolata nel 1324 dopo un lungo assedio.
Invece condusse direttamente una politica espansionistica nel fronte opposto: nel 1323, con l'aiuto di Francesco I Ordelaffi, signore di Forlì (di simpatie ghibelline, com'era tradizione per gli Ordelaffi), conquistò, ad esempio, Città di Castello. Questa attività militare verso est incontrò l'opposizione di papa Giovanni XXII che lo scomunicò e nominò un altro vescovo, Boso Ubertini, nel 1325. Guido Tarlati, tuttavia, non si sottomise al volere del papa e non fece entrare il nuovo vescovo in città. La sua signoria era talmente autorevole che un imperatore, Ludovico il Bavaro, volle ricevere dalle sue mani la corona ferrea, quasi fosse un papa.
Tuttavia poco prima della morte chiese perdono al papa e si riconciliò con la Chiesa. Morì all'età di circa cinquanta anni.

Nella Cattedrale di Arezzo è visibile la tomba di Guido Tarlati, commissionata dai fratelli Delfo e Pier Saccone agli scultori senesi Agostino di Giovanni e Agnolo di Tura nel 1330.


Bibliografia

Chiara Frugoni, Pietro e Ambrogio Lorenzetti, in Dal Gotico al Rinascimento, Scala, Firenze 2003. ISBN 88-8117-092-2




Arte in Toscana | Pietro Lorenzetti | Polittico di Monticchiello


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