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Pisa, Cortile interno del Camposanto monumentale
 

 

Un po’ fuori della graziosa e tranquilla cittadina di Pisa si distende, appartato e racchiuso tra quieti prati verdi, un severo e silenzioso universo marmoreo, solitario e soffuso dall’incantesimo di un’antica arte tramontata. Si tratta del celebre gruppo di edifici pisani, il Battistero, il Duomo, il Campanile, il Campo Santo.
[…] Invano è venuto in Italia chi non è sopraffatto da un senso di rispetto e da un brivido sacro in questo luogo; non ne troverà infatti un altro in cui un frammento di Italia antica si sia conservato con altrettanta grandiosa purezza e nobiltà.

Hermann Hesse, Dall’Italia, 1901

   
Travel guide for Tuscany
       
   

Pisa, Camposanto Monumentale

   
   

La piazza del Duomo è il centro artistico e turistico più importante di Pisa. Annoverata fra i Patrimoni dell'Umanità dall'UNESCO dal 1987, vi si possono ammirare i monumenti che formano il centro della vita religiosa cittadina, detti appunto miracoli (da Gabriele d'Annunzio) per la loro bellezza e originalità: la Cattedrale, il Battistero, il Campo Santo, e la Torre pendente, da cui il nome popolare di Piazza dei Miracoli diffusosi poi nel dopoguerra, era del turismo di massa. Gabriele d'Annunzio utilizzò questo termine nel romanzo Forse che sì, forse che no, del 1910:

« L’Ardea roteò nel cielo di Cristo, sul prato dei Miracoli. »

La piazza è pedonalizzata ed è ricoperta da un grande prato. Assunse l'aspetto definitivo solo nel XIX secolo, soprattutto ad opera dell'architetto Alessandro Gherardesca, che demolì alcune costruzioni preesistenti, innalzò la nuova residenza capitolare (abbattuta nel 1863) e si interessò al restauro dei celebri monumenti.

La collocazione eccentrica, nell'angolo nord-ovest delle mura, che la delimitano lungo due lati, si deve alla necessità di costruire su terreno non occupato. Il suo mantenimento, insieme a quello del complesso monumentale, è affidato all'Opera della Primaziale Pisana.

Dalla seconda metà del XVI secolo si cominciarono ad affrescare le grandi pareti dei quattro corridoi: furono costruiti monumenti funerari e cappelle, mentre numerosi sarcofagi che si trovavano sparsi per Pisa, arricchirono l'ampio quadriportico. Durante l'ultima guerra, questo splendido Camposanto subì delle gravissime devastazioni: gli affreschi rimasero alterati e "gonfiati" e molte sculture fusono lesionate o rotte. Al momento del restauro, questi affreschi vennero "strappati" dalle pareti e vennero così alla luce le sinopie, cioè i disegni preparatori in cui i maestri "fissavano" l'idea originaria e che costituiscono un prezioso acquisto e grande elemento di studio. Oltre la Sala del "Trionfo della Morte" vi sono molti affreschi staccati e riportati su pannelli: tra i cicli pittorici più interessanti troviamo le Storie di San Ranieri, patrono di Pisa, che, iniziate da Andrea Bonaiuti da Firenze, furono ultimate - alla sua morte - dal discepolo Antonio Veneziano. Seguono le storie dei Santi Efisio e Potito, realizzate da Spinello Aretino ed infine le Storie del Vecchio Testamento: iniziate da Piero di Puccio da Orvieto, che dipinse solo le prime tre, furono ultimate, dopo un lungo intervallo, da Benozzo Gozzoli.

Il Campo Santo chiude il lato nord di Piazza del Duomo.


Nome

Spesso ci si riferisce a questo cimitero monumentale come Camposanto, ma tale termine è storicamente e filologicamente inesatto, sia che lo si usi a sè stante, sia affiancato ad aggettivi come monumentale o vecchio che spesso si trovano uniti ad esso. L'unica espressione esatta è quella di Campo Santo in quanto esso è sia il nome dell'edificio sacro, sia perché, secondo la tradizione, l'arcivescovo Ubaldo Lanfranchi di ritorno dalla Terra Santa ne riempì l'interno con terra portata dal Monte Calvario.

Il termine "Campo Santo" viene usato per la prima volta in atti risalenti al 1287, mentre prima di allora ci si riferiva genericamente ad un Sepoltuarium, Mortuarium o Cimiterium che doveva essere costruito a fianco del Duomo. Per certo sappiamo che almeno fino al 1406 il termine "Campo Santo" era sconosciuto fuori da Pisa e, che fu mantenuto nella forma in due parole come nome proprio nella bibliografia specifica fino a quasi tutto il secolo XIX.


Camposanto Monumentale

Pisa, Piazza dei Miracoli, Camposanto Monumentale

Storia


   

Il cimitero fu iniziato nel 1277, si pensa da Giovanni di Simone anche se alcuni fanno il nome di Giovanni di Nicola, come ultimo degli edifici monumentali della piazza. Secondo la tradizione l'occasione fu data dall'arrivo di "terra santa" proveniente dal Golgota, portata dalle navi pisane di ritorno dalla Seconda Crociata (1146). La tradizione attribuisce il prezioso carico all'opera dall'arcivescovo Ubaldo Lanfranchi nel XII secolo. Tali leggende di fondazione sono comunque diffuse anche per altri edifici simili in tutta Europa. Nella realtà fu più semplicemente creato per raccogliere tutti quei sarcofagi e le varie sepolture che si andavano affollando attorno alla Cattedrale. Il Comune pertanto premette moltissimo affinché esse venissero trasferite in un luogo più idoneo: già dal 1260 gli Operai del Duomo giuravano al momento della loro elezione che avrebbero provveduto alla costruzione dell'edificio. Fu soltanto il 19 giugno del 1277 quando l'arcivescovo Federico Visconti cedette alle pressioni e firmò l'atto di donazione del terreno per la costruzione di uno "spazio recintato" ad uso di cimitero.

La costruzione duecentesca languì dopo la crisi provocata della sconfitta pisana nella battaglia della Meloria (1284), e nel Trecento si rimise di nuovo mano all'opera architettonica, ridefinendone completamente la struttura.

Architettonicamente è composto da un alto muro di forma rettangolare, con il lato verso il Duomo e il Battistero più allungato. All'esterno è in semplice marmo bianco, con 43 archi ciechi e due porte. L'accesso principale è quello che da sulla piazza, a est, ed è decorato da una ricco tabernacolo gotico sopra il portale di accesso, opera della seconda metà del XIV secolo, contenente statue della Vergine col Bambino e quattro santi di un seguace di Giovanni Pisano.

La semplicità della struttura esterna forma un'ideale quinta al complesso monumentale della piazza, particolarmente azzeccata anche perché poggia su un asse inclinato rispetto a quello Duomo-Battistero, facendo sì che la Piazza sembri ancora più grande guardandola dalle estremità, per un gioco ottico della prospettiva. Questo effetto è particolarmente impressionante se si guarda dalla porta nelle mura medievali vicino al Battistero.

All'interno il Campo Santo assomiglia a un chiostro, con arcate a sesto acuto particolarmente decorate, completate nel 1464 in stile gotico fiorito. Le tombe più importanti si trovavano nel prato centrale, nella Terra Santa o contenute nei magnifici sarcofagi romani riutilizzati per le sepolture più prestigiose, mentre sotto le arcate trovavano spazio le personalità meno di spicco, con una più semplice lastra tombale sul pavimento dei corridoi. Con la risistemazione Ottocentesca sono stati tolti tutti i sarcofagi dalla zona centrale e posti al coperto, per cui oggi le sepolture si trovano solo sotto le arcate. Ne rimangono 84, delle centinaia che vi si trovavano una volta, tra sarcofagi antichi, medioevali e ottocenteschi. Anche le lapidi sono numerose. Un sarcofago strigilato opera della bottega di Biduino reca una delle più antiche iscrizioni in volgare italiano. Il cortile centrale è circondato da archi elaborati con esili colonnine e traforature plurilobate.

Dal 1360, mentre ancora la struttura architettonica era in corso di completamento, si iniziò a decorare ad affresco le pareti con soggetti legati al tema della vita e della morte, ai quali lavorarono due tra i più grandi pittori allora viventi, Buonamico Buffalmacco e Francesco Traini, il primo autore del celebre Trionfo della Morte, opera di grande suggestione e importanza storico-artistica, il secondo di una Crocefissione. Giovanni Scorcialupi realizzò poco dopo gli affreschi con le Storie di Cristo post mortem, mentre intorno alla metà del secolo Stefano da Firenze dipinse un'Assunta sopra la porta orientale.

Il ciclo fu proseguito qualche decennio più tardi da Andrea Bonaiuti, Antonio Veneziano (Storie dei Santi Efiso e Potito) e Spinello Aretino (Storie dell Antico Testamento) mentre le Storie di Santi Pisani, realizzate tra il 1377 e il 1391 occuparono gli spazi intermedi. Taddeo Gaddi (Storie di Giobbe) e Piero di Puccio (Storie dell'Antico Testamento, 1389 al 1391) lavorarono invece nella galleria nord. Quest'ultima serie fu completata solo nel XV secolo dal fiorentino Benozzo Gozzoli. Nel 1594 venne aggiunta la Cappella Dal Pozzo, all'estremità est, con la caratteristica cupola.

Nella piccola cappella Aulla è conservata l'originale lampada di Galileo, un tempo sospesa in cattedrale e che effettivamente il grande scienziato pisano vide oscillare e che gli fornì l'idea per la sua teoria sull'isocronismo del pendolo.

Nel Campo Santo venivano sepolte le maggiori personalità cittadine, come i rettori e i più prestigiosi docenti dell'Università di Pisa, i governanti e le famiglie più in vista, spesso riutilizzando sarcofagi di epoca romana di grandissimo pregio, e contemporaneamente, dal XVI secolo, iniziando anche un processo di "musealizzazione" con l'apposizione di iscrizioni romane sulle pareti e altri preziose testimonianze della storia cittadina.

Questo "pantheon" pisano divenne così per vocazione naturale il primo museo della città quando nell'Ottocento vi furono raccolte opere d'arte provenienti dagli istituti religiosi soppressi per le riforme napoleoniche, impedendo così il disperdersi del patrimonio cittadino altrove, oltre ad altri oggetti di natura artistica o archeologica appositamente acquistati. Nello stesso periodo la funzione cimiteriale ebbe un picco, con i numerosissimi sepolcri ottocenteschi, spesso di ottima fattura, che iniziarono ad affollare i corridoi, da allora ribattezzati gallerie.

Questa commistione tra antico e moderno, tra celebrazione della storia e riflessione sulla morte, fu alla base del fascino malinconico che esercitò sui viaggiatori dell'epoca romantica, facendo sì che il Campo Santo diventasse uno dei monumenti più amati e visitati d'Italia, con personaggi che da tutta Europa venivano per ammirarlo e studiarlo. Non a caso in questo periodo i suoi affreschi sono resi popolari da numerosi disegni, schizzi e stampe d'epoca, che ne diffondono la bellezza nel mondo. Nonostante questa fama, le condizioni di conservazione destavano già numerose preoccupazioni, per via di alcuni vistosi segni di decadimento e il rovinare a terra di alcune intere parti di scene. Fin da allora si iniziò un'analisi dei materiali e la prova di alcuni restauri, per tentare di arginare lo sfarinamento del colore e i distacchi dell'intonaco.

Nel XX secolo la popolarità del Campo Santo viene appannata dal crescente interesse verso la Torre, ma soprattutto a causa dei terribili danni subiti durante la Seconda Guerra Mondiale.

 

Baptistery

 

Camposanto

 


Camposanto dopo il 27 luglio 1944

 

     

Il 27 luglio 1944, infatti, le bombe alleate incendiarono il tetto del Campo Santo e danneggiarono gli affreschi in modo gravissimo in seguito a un rogo che durò parecchi giorni. Dal 1945 ad oggi sono ancora in corso lavori di restauro, che fra l'altro hanno portato al recupero delle preziosissime sinopie oggi esposte nel museo delle Sinopie negli edifici del lato sud della piazza. Anche la rimozione delle sculture, soprattutto ottocentesche, per il ripristino dell'aspetto medievale, ne ha determinato un impoverimento: solo in tempi recenti, sul finire degli anni '80 del Novecento, si è iniziato un restauro filologico di tutto l'apparato monumentale del Campo Santo, ricostruendo gradualmente, per quanto possibile, l'aspetto stratificato del luogo, grazie anche a preziose testimonianze pervenuteci, come l'opera lasciata dal direttore Carlo Lasinio, che curò la conservazione del Campo Santo all'epoca del Regno d'Etruria di Maria Luisa di Borbone-Spagna.

Nonostante i buoni propositi, il Campo Santo appare comunque ancora oggi piuttosto trascurato, con poche didascalie esplicative delle opere esposte, molte delle quali risalenti agli anni '60-'70 e quindi poco attraenti e non aggiornate (basti pensare alla sala degli affreschi del Trionfo della Morte, dove è indicato come autore un anonimo Maestro del Trionfo della Morte, quando ormai la critica è già abbastanza assestata sull'attribuzione a Buffalmacco), tratti chiusi da catenacci o contornati da impalcature e un vago senso di abbandono.

I sarcofagi romani

 

 

L'usanza di reimpiegare i sarcofagi antichi per le personalità politiche e militari cittadine di primario spicco è testimoniata sin dai secoli XI-XII-XIII, e dal Trecento queste sepolture, un tempo disposte nella piazza e lungo la cattedrale, sono conservate dentro il Campo Santo. Ciò ha permesso la conservazione di queste importanti opere fino ai giorni nostri. Si sono calcolati tra i 28 e 31 sarcofagi romani reimpiegati, e ciò aveva anche una valenza simbolica, come testimonianza del ruolo di Pisa nel momento della sua massima fioritura come potenza marittima e come erede di Roma antica.

Uno degli esempi più antichi e più noti è il sepolcro di Fedra e Ippolito usato per le spoglie di Beatrice di Toscana, madre di Matilde di Canossa. Altri sarcofagi famosi sono quello delle Muse con una coppia di coniugi sul coperchio e quello degli Sponsali. Il sarcofago di Caius Bellicus Natalis Tebanianus è particolarmente importante nella storia dell'arte romana perché è forse[2] il più antico esemplare databile della ripresa dell'inumazione nel corso del II secolo d.C., con la rinascita della produzione di sarcofagi che tanto rilievo ebbero poi nella storia della scultura romana.

Nel corso del XVIII secolo, perduto il significato di sepolture e divenuti ormai prezioso documento storico-artistico, i sarcofagi vennero sistemati su mensole all'interno, sotto le quadrifore e con questa operazione si segnò la nascita di una vera e propria collezione. Il riordino sistematico dell'intera serie risale all'intervento del Conservatore Carlo Lasinio, il quale incrementò la collezione con altri sarcofagi tolti da chiese cittadine e pose gli esemplari più pregevoli sotto gli affreschi, nell'ambito del suo ordinamento a museo del Campo Santo.

 

   
   
 


Gli affreschi

 

Gradualmente gli affreschi del Campo Santo stanno tornando alla loro sede dopo il precipitoso distacco degli anni '40. Il complesso lavoro di restauro non sempre ha sortito gli effetti sperati, soprattutto negli interventi più vecchi, per l'uso di tecniche talvolta sperimentali e materiali di fortuna, scelte dettate dall'urgenza di porre un primo rimedio in seguito ai drammatici fatti della guerra.

Se non tutto il male viene per nuocere, con lo stacco degli affreschi furono scoperte le sinopie, molto ben conservate, che oggi sono il modo più diretto per farsi un'idea di come doveva apparire la decorazione del Campo Santo nei secoli precedenti. Il Museo delle Sinopie di Pisa è stato inaugurato nel 1976 ed è stato chiuso per ristrutturazione dal 2005 al 1 maggio 2007. Attualmente al Museo è possibile vedere, oltre alle Sinopie stesse, una riproduzione virtuale del Campo Santo in 3D stereoscopico che rappresenta l'interno del monumento durante i secoli.

Nel 1960 si tenne una mostra per sancire il completamento dei primi restauri, ma già vent'anni dopo alcuni segnali misero in allarme per nuovi e gravi sintomi di deterioramento, soprattutto per quelle opere risitemate nelle pareti all'aperto. Si aprì così una nuova fase di ricerche condotte dalla Soprintendenza in stretta collaborazione con l'Opificio delle Pietre Dure e i dipartimenti di Scienze della Terra e di Chimica dell'Università, che misero in luce alcune carenze e scelte errate dei precedenti restauri, rendendo necessario un nuovo restauro.

Francesco Traini or Buonamico Buffalmacco, Triumph of Death, fresco, (detail, lower left corner).
This section of the painting refers to the medieval tale of "The Three Living and Three Dead."

     

Oggi gli affreschi visibili sono le tre scene del Trionfo della Morte (1336 circa) di Buonamico Buffalmacco, staccate e conservate in una stanza al chiuso sul lato posteriore del Campo Santo.

Queste scene sono:

1. Il Trionfo della Morte (Buffalmacco) vero e proprio
2. Il Giudizio finale e l'Inferno
3. La Tebaide (Buffalmacco)

Ad essi vanno aggiunte alcune Storie di Cristo post mortem, facenti parte di affreschi eseguiti forse in collaborazione con Francesco Traini.

Ispirati da un profondo realismo e con un sorprendente uso del colore e dotati di una ricchezza narrativa senza precedenti, sono tra le opere più importanti della cultura trecentesca italiana.

Altri affreschi attualmente ricollocati si trovano nel lato nord (scene di costruzione di un edificio, e altre appartenenti al ciclo dei Santi pisani) e in parte nel lato est (Storie di Benozzo Gozzoli), compresi alcuni dentro alla cappella con la cupola.

 
   
Francesco Traini or Buonamico Buffalmacco, Triumph of Death, fresco (detail) Campo Santo, Pisa, 1330s

Il crudo realismo e gli accesi colori con cui sono espressi gli episodi narrati negli affreschi, assieme la varietà tipologica dei personaggi raffigurati, disposti in una struttura compositiva che ricorda una gigantesca miniatura, didatticamente arricchita da cartigli esplicativi di tono moralistico, compongono uno stile lontano dalla poetica giottesca. Tuttavia, risalta negli affreschi una forza espressiva popolare, dotata di una schietta rudezza, che aveva indotto il Longhi a vedervi l'opera di qualche maestro padano, poco edotto sui più eleganti modi pittorici fiorentini. Gli affreschi staccati hanno messo in evidenza una grande quantità di sinopie, suggestivi disegni preparatori eseguiti in ocra rossa sull'intonaco. Tali opere che attestano la qualità raggiunta da Buffalmacco nell'esecuzione del disegno, sono ora conservate nel Museo delle Sinopie di Pisa.

 

Benozzo Gozzoli, Scene dell'antico e del nuovo Testamento

 

 
Nel 1469 Benozzo Gozzoli Benozzo ricevette il prestigioso incarico di affrescare, con ventisei episodi tratti dall’antico e dal nuovo Testamento, le pareti del Camposanto di Pisa, proseguendo il vasto ciclo pittorico iniziato nel Trecento e portato a termine, dopo il nostro, nel Cinquecento.

Benozzo Gozzoli, The Vintage and Drunkenness of Noah, Camposanto (Graveyard), Pisa.

Benozzo Gozzoli, Vendemmia ed ebrezza di Noè, Camposanto, Pisa

 

'Gli affreschi eseguiti da Benozzo Gozzoli per il Camposanto di Pisa rappresentano una delle opere di maggior rilevanza per comprendere l’ingegnosità, l’eccellenza e l’abilità del pittore, anche se i dipinti subirono danni irreparabili durante i bombardamenti del 1944.

Chi ebbe la fortuna di ammirarli prima di questo drammatico evento poté scrivere che, esaminando gli affreschi di Benozzo, sembrava di fare "quel salto medesimo che fece la pittura in appresso da Masaccio a Raffaello". Così ancora una volta questo fecondissimo artefice veniva definito "il Raffaello degli antichi".

Benozzo iniziò a dipingere le ventisei storie con episodi tratti dall’antico e dal nuovo Testamento nel 1468, su commissione dell’Opera Primaziale di Pisa, l’istituzione laica che garantiva la costruzione e la conservazione del complesso pisano. A questo ente si erano già rivolti per ottenere il prestigioso incarico - forse all’epoca uno dei più importanti in Italia - due pittori settentrionali: Andrea Mantenga e Vincenzo Foppa. E’ probabile che Benozzo riuscì ad ottenere questo lavoro anche grazie all’intercessione della famiglia Medici (lo stesso arcivescovo di Pisa Filippo di Vieri dei Medici era un membro della potente casata).

Grazie alle preziose incisioni eseguite da Domenico Landini a corredo del volume sulle Pitture a fresco del Campo Santo di Pisa, edito a Firenze nel 1812, e ad alcune fotografie scattate prima dell'incendio prodotto da uno spezzone lanciato da un aereo nel luglio del 1944, è possibile farsi un’idea delle pitture che Benozzo aveva affrescato sulla parete ovest del Camposanto monumentale.

 

La Maledizione di Cam (foto 1890 ca.), Camposanto, Pisa

Costruzione della torre di Babele, Camposanto, Pisa.

Lo schema e l’impostazione delle scene furono imposti al Gozzoli dalla precedente decorazione pittorica, iniziata alla metà del Trecento da Piero di Puccio e protratta fino alle fine del secolo, poi interrotta a causa delle vicende politiche che in quegli anni interessarono la città. Il pittore suddivise la vasta parete in due fasce uguali, a loro volta spartite, ciascuna, in tredici riquadri incorniciati da un fregio decorato all’antica. Ogni storia era accompagnata da un’iscrizione in lingua volgare, una sorta di didascalia a corredo del racconto raffigurato. Benozzo ebbe la capacità di esercitare al meglio la propria inventiva nella rappresentazione di queste storie antiche, riuscendo ancora una volta a trasporre il racconto nella quotidianità del suo tempo. Lo spettatore in visita al prestigioso Camposanto monumentale, già all'epoca una delle meraviglie della penisola, poteva riconoscere i personaggi illustri e i cittadini del tempo, oltre a celebri e complesse architetture quali il palazzo Medici di Firenze e il Pantheon di Roma.

A seguito della terribile catastrofe, l’intero ciclo di affreschi, che comprendeva oltre alle pitture del Gozzoli quelle di alcuni artisti trecenteschi (Spinello Aretino, Bonamico Buffalmacco, Andrea Buonaiuti, Taddeo Gaddi, Piero di Puccio, Francesco Traini, Antonio Veneziano, Francesco da Volterra) e cinque-seicenteschi (Paolo Guidotti Borghesi, Agostino Ghirlanda, Aurelio Lomi, e Zaccaria Rondinosi), fu sottoposto ad un intervento di protezione e di strappo, che per estensione non aveva paragoni nella storia del restauro.'

Per ovvie ragioni queste operazioni furono condotte con precarietà e in molti casi sperimentando nuove tecniche d’intervento e una varietà di materiali che si sarebbe rivelata in seguito non sempre adeguata alla conservazione delle pitture: pur avvertendone ancora oggi le conseguenze, la scelta operata allora, l'unica possibile per l'epoca, permise di salvare ciò che rimaneva di questi splendidi capolavori. Già alla fine degli anni Cinquanta alcune pitture, restaurate e rimontate su supporti di eternit furono ricollocate nel Camposanto, mentre altre (Trionfo della Morte,Giudizio Universale, Inferno, Storie degli anacoreti, Crocifissione e Ascensione) furono esposte nel salone appositamente allestito in uno spazio contiguo al monumento. Già all’epoca mentre si proseguiva a staccare le pitture dalle pareti originarie i tecnici si resero conto delle problematiche di conservazione che incombevano sugli affreschi già staccati, degrado dovuto principalmente alla caseina, il legante utilizzato durante le operazioni di restauro condotte d'urgenza. Grazie alle nuove esperienze di restauro - maturate purtroppo sui danni seguiti all’alluvione di Firenze - fu utilizzata una tecnica innovativa, ovvero l’impiego di supporti in pannelli di vetroresina dove le superfici dipinte furono riapplicate su strati doppi di tela di canapa, utilizzando come legante, al posto della caseina, una resina acrilica. Per vigilare su questa complessa operazione, l’Opera Primaziale Pisana decise di costituire una Commissione scientifica permanente (in precedenza una commissione era stata riunita per decidere la musealizzazione delle pitture nei nuovi spazi adeguatamente predisposti) composta da esperti del settore, tra i quali Umberto Baldini, al tempo direttore dell’Opificio delle Pietre Dure,. Furono stabilite delle linee guida d’intervento, sostenute da un rigoroso studio volto a stabilire la ricollocazione in loco dell’intero ciclo di pitture, attuando in principio un ‘cantiere pilota’ sulla parete Ovest, dove le periodiche verifiche confermarono l’assenza di problematiche legate ad un ulteriore degrado. Fu quindi ritenuto opportuno seguitare con la sistemazione degli affreschi sulla parete Est e di formalizzare una Direzione tecnico -scientifica nelle persone di Umberto Baldini (scomparso nel 2006 e in questo ruolo sostituito da Antonio Paolucci), Clara Baracchini e Antonino Calca; nel corso degli anni questo Comitato si è occupato costantemente del complesso restauro. Durante l’ordinamento degli affreschi sulle pareti originarie, si scoprì che il ciclo di Buffalmacco, esposto a partire dal 1960 nella sala attigua al Camposanto, era interessato da vari fattori di degrado. Escluso fino a quel momento dal restauro, è stato recentemente sottoposto ad un’approfondita campagna diagnostica che ne ha valutato lo stato di conservazione e ne ha determinato nuove e più appropriate tecniche di intervento.

Anche gli affreschi di Benozzo Gozzoli, dopo un accurato restauro, potranno tornare ad essere visibili nel loro primitivo luogo. Dal 2005 sono state ricollocate le scene con la Vendemmia e l’ ebbrezza di Noè , la Maledizione di Cam e, recentemente, anche l’episodio della Costruzione della Torre di Babele . Entro il 2011 l’intero ciclo gozzoliano potrà essere nuovamente ammirato lungo la parete nord del monumentale Camposanto pisano.

L’Opera Primaziale Pisana si è inoltre impegnata a valorizzare e a rendere fruibile questo complesso e prestigioso intervento di restauro pubblicando in rete (http://www.opapisa.it/index.php?id=287) i risultati dei lavori in corso.' [4]

 

La Maledizione di Cam (foto 1890 ca.), Camposanto, Pisa

 


Andrea di Bonaiuto
| Scenes from the Life of St Rainerus

Andrea di Bonaiuto, detail of St. Ranieri in the Holy Land, Museo delle Sinopie, Camposanto, Pisa

Andrea Bonaiuti o Andrea da Firenze (ca. 1320-dopo 1377), lavorò a Firenze, realizzando (ca. 1365-67) la decorazione della sala capitolare di S. Maria Novella, la Cappellone degli Spagnoli), importante anche per il repertorio iconografico, connesso alle tesi dottrinarie sostenute a quel tempo dall'ordine domenicano. Nell'opera, in cui è evidente stilisticamente l'influenza senese, sono rappresentati tra l'altro il Trionfo di S. Tommaso e l'Esaltazione dell'Ordine Domenicano. Intorno al 1365 Andrea di Bonaiuto disegnò un cartone per la vetrata dell'occhio di facciata di S. Maria Novella e ca. nel 1367 collaborò a un progetto per S. Maria del Fiore. [2]

Lungo il corridoio sud del Camposanto Monumentale, la zona intermedia tra il ciclo del Trionfo della Morte e quello con le Storie di Giobbe, fu destinata ad accogliere le storie di San Ranieri.
Nel 1377 Andrea Bonaiuti iniziò ad affrescare nel cimitero pisano tre storie della Vita di S. Ranieri:

Conversione di San Ranieri
11 San Ranieri in Terra Santa
12 Tentazioni e miracoli di San Ranieri


Arte in Toscana | Andrea Bonaiuti da Firenze


 

Andrea di Bonaiuto, detail of St. Ranieri in the Holy Land, Museo delle Sinopie, Camposanto, Pisa

Le Storie della Genesi di Piero di Puccio


   

Alla fine del Trecento, mentre ancora si completava la decorazione pittorica della galleria meridionale del Camposanto, i lavori continuarono sulla parete opposta dove Piero di Puccio fu chiamato a dipingere le Storie della Genesi fino al Diluvio Universale e, al di sopra dell'ingresso della cappella Del Barbaresco, l'Incoronazione della Vergine, di cui in Camposanto è esposta la sinopia in luogo dell'affresco quasi totalmente distrutto.

Artista versatile e celebratissimo dai contemporanei, destinatario di importanti incarichi, a lungo responsabile della decorazione del Duomo di Orvieto, sua città natale, è stato di recente riscoperto dalla critica che lo ha riconosciuto uno dei protagonisti della ripresa neo-giottesca che caratterizzò la fine del Trecento, distinguendosi per l'insistenza sulla dilatata plasticità delle figure, per la curiosità con cui indugia su dettagli realistici, per la capacità di impaginare articolate narrazioni frammentandole in episodi collegati da equilibrismi prospettici.

L'opera più nota dipinta da Piero di Puccio nel Camposanto pisano è la Cosmografia. Nella scena a doppio registro campeggia la struttura circoncentrica dell'Universo sorretto dal Padre Eterno: secondo la concezione cosmologica tomistico-agostiniana ripresa da Dante nella Divina Commedia, al centro appare la Terra divisa in tre continenti; seguono l'acqua, l'aria e il fuoco, poi i pianeti, il cielo stellato con lo zodiaco, il cielo cristallino o "primo mobile" e le nove gerarchie angeliche.
Il significato della complessa iconografia é in parte affidato all'idea di ordine e di armoniosa gerarchia trasmessa dall'immagine stessa, ma era anche reso manifesto dalle scritte in volgare sui cartigli impugnati dai padri della Chiesa ritratti nell'incorniciatura, ed approfondito nelle scritte latine, riservate agli occhi dei dotti, rette da San Tommaso e da Sant'Agostino che comparivano in basso: oggi questo imponente apparato didascalico rimane solo – e comunque parzialmente - nella versione dipinta.



Leo von Klenze (1784 - 1864), Il Camposanto di Pisa, 1858, olio su tela, 103 x 130,5 cm. Neue Pinakothek, Monaco [5]

Le catene del Porto Pisano


All'interno del Campo Santo sono conservati alcuni anelli della grande catena del Porto Pisano che dopo la sconfitta nella battaglia dello Meloria fu spezzata in varie parti e portata a Genova, dove furono appese come monito a Porta Soprana e in varie chiese e palazzi della città fino alla loro restituzione alla città di Pisa, avvenuta dopo l'Unità d'Italia.


Tombe di personaggi illustri

   

* Ippolito Rosellini
* Enzo Carli
* Giovanni Battista Tempesti
* Ulisse Dini
* Beatrice di Lotaringia
* Francesco Algarotti
* Andrea Vaccà Berlinghieri

Benozzo Gozzoli fu sepolto nella chiesa di San Domenico a Pistoia e non al Campo Santo di Pisa come credette Vasari. L'epitaffio ricordato dal biografo delle Vite è la lapide che, molto prima della sua morte, i pisani avevano offerto all'artista nel Campo Santo come segno di commemorazione e riconoscenza per gli affreschi che egli vi aveva eseguito.


Spinello Aretino, 1391-1392, San Michele porge la bandiera a St. Efisio, Campo Santo, Pisa
 
   

Benozzo Gozzoli, Il soggiorno a Pisa (1467 - 1495) (1467-1495)

Benché quasi completamente perduta durante i bombardamenti del 1944, l'opera più importante di Benozzo sotto il profilo della monumentalità rimane il grande ciclo murale eseguito per il Camposanto di Pisa, cui l'artista lavorò dal 1468 fino al 1484.
Già all'epoca questo luogo era considerato una delle meraviglie della penisola: qui convivevano preziosi sarcofagi romani e gli affreschi dei più celebri pittori trecenteschi. Addirittura si raccontava che la terra nella quale riposavano i defunti proveniva nientemeno che dal Monte Calvario. I pisani, ben consci di questo tesoro, pretendevano che ad eseguire i ventisei affreschi previsti per la sua decorazione fosse un'artista di chiara fama. Da questo ancora una volta si comprende quale fosse il valore e la stima di cui era investito il nostro pittore.

Secondo la prassi del tempo Benozzo si servì di molti collaboratori per portare a termine questa vasta impresa e ciò gli permise di dedicarsi a nuove commissioni. Tra queste si annoverano la pala datata 1470, realizzata (con tutta probabilità dalla bottega) per l'altare maggiore di San Lazzaro fuori le mura sempre su incarico della Primaziale Pisana - l'istituzione nata contemporaneamente ai lavori per la costruzione dei monumenti della Piazza del Duomo e legittimamente riconosciuta nel 1217 - oggi conservata presso il museo dell'ente; il dossale della sedia vescovile del Duomo, attualmente al Louvre, opera di forte carattere dottrinale, sia per la sua destinazione sia per il soggetto rappresentante il Trionfo di san Tommaso d'Aquino, un tema caro ai domenicani e in generale al pensiero della Chiesa; l'anconetta devozionale rappresentante la Madonna col Bambino, sant'Anna e donatrici, conservata al Museo di San Matteo e proveniente dal monastero femminile domenicano di Santa Marta.

Per lavorare al cantiere del Camposanto di Pisa Benozzo si era trasferito nell'antica repubblica marinara con la famiglia e aveva acquistato una casa vicino alla Piazza dei Miracoli. Durante l'estate del 1479, però, a causa della peste che imperversava in tutta la Toscana la situazione a Pisa si era fatta critica. Per questo motivo il pittore decise di trasferirsi nelle campagne del territorio pisano, a Legoli, una frazione dell'odierno comune di Peccioli, in Valdera. Qui lavorò ad un maestoso tabernacolo, affrescato sui quattro lati, posto ancora oggi all'ingresso del borgo. Durante questo soggiorno Benozzo fu chiamato a Volterra per decorare la cappella della Vergine in Cattedrale; il soggetto prescelto, a cui attese assieme alla sua bottega era un tema caro al pittore, Cavalcata dei Magi.

Rientrato a Pisa e completati gli affreschi per il Camposanto, ricevette altri incarichi, tra i quali un perduto ciclo ricordato dal Vasari nelle Vite (1568) e realizzato per le monache di San Benedetto a Ripa d'Arno e, sempre per la stessa chiesa, una nicchia affrescata con la Vergine e san Giovanni; oggi l'affresco è stato staccato ed è conservato presso i locali dell'antico monastero attualmente sede della Cassa di Risparmio di Pisa. Risalente a quest'ultima fase di lavori per la città di Pisa sembrerebbe essere la pala con la Sacra Conversazione, eseguita verso il 1490 per le stesse suore a Ripa d'Arno. La tavola, in cattivo stato di conservazione a causa di precedenti e incauti restauri, è conservata al Museo Nazionale di San Matteo di Pisa insieme ad una Crocifissione e santi ad affresco, eseguita per il refettorio del convento femminile delle domenicane. Sebbene perfettamente inserito in questa città, che lo ospitò con onore, Benozzo mantenne sempre un forte legame con la sua patria, Firenze; questo amore patriottico, che emerge con chiarezza dal ricorrente definirsi "fiorentino" nelle iscrizioni-firme apposte alle sue opere, si manifestò anche nella sua attività con la compagnia dei Fiorentini residenti in Pisa per la quale realizzò la pala dell'altare principale della cappella, oggi conservata alla National Gallery di Ottawa.
A questo secondo periodo pisano può essere riferibile, secondo la studiosa Padoa Rizzo, anche la tavoletta centinata della Pieve di Calci raffigurante la Vergine col Bambino, proveniente dal convento dei domenicani al Poggio.
[Source Serena Nocentini, Benozzo Gozzoli, Il soggiorno a Pisa (1467 - 1495) | www.museobenozzogozzoli.it]


La piazza dei miracoli | Storie di Santi pisani | Storie di San Ranieri, Storie di Santi pisani | www.opapisa.it

Benozzo Gozzoli | Scenes from the Old and New Testaments | www.brunelleschi.imss.fi.it

The Opera Primaziale Pisana is also committed to making this complex and prestigious restoration intervention available for reference by publishing the ongoing results of its work on the internet. | www.opapisa.it

Johannes Tripps, A critical and historical corpus of Florentine painting. IV: Tendencies of Gothic in Florence, 7/1: Andrea Bonaiuti, Firenze, Giunti, 1996.

Museo delle Sinopie | Piazza del Duomo, Pisa
Nel Museo delle Sinopie in Piazza del Duomo a Pisa sono conservate le sinopie, appunto, degli affreschi del Camposanto Monumentale.
Gli affreschi, opera di diversi artisti, tra i quali Buffalmacco, Andrea Bonaiuti, Antonio Veneziano, Spinello Aretino, Taddeo Gaddi, Piero di Puccio, Benozzo Gozzoli e altri, un tempo coprivano le pareti del Camposanto e furono distrutti o comunque molto danneggiati dall'incendio del 1944 dovuto a un bombardamento alleato.
In quell'occasione si staccarono gli affreschi per gli urgentissimi restauri (in larga parte ancora in corso) e si trovarono questi disegni preparatori straordinariamente conservati. Dopo il restauro furono collocati nel museo odierno, che si trova nel lato sud della Piazza del Duomo, dove è presente una delle due biglietterie del complesso monumentale.


[1] Francesco Traini è stato un pittore italiano attivo a Pisa dal 1315 al 1348 circa.
Secondo il Vasari, Francesco Traini si ispirò allo stile pittorico di Andrea Orcagna, ma è più probabile che si formò nell'ambito di una bottega pisana attenta agli sviluppi della coeva pittura senese (Simone Martini).
Si conosce una sola opera firmata e datata dal Traini, il polittico di San Domenico e otto storie della sua vita (1345) nella Chiesa di Santa Caterina a Pisa, (attualmente nel Museo nazionale di San Matteo, Pisa). Si tratta di una splendida opera, commissionata da Giovanni Coco per la propria cappella, raffigurante il Santo al centro e le scene della sua vita all'interno di originali quadrilobi. Fu probabilmente l'ultima opera di Traini.
Sulla base delle caratteristiche di stile di quest'opera, gli sono stati concordemente attribuiti altri dipinti, a partire dalla raffinata Vergine con Bambino e Sant'Anna, attualmente al Princeton Museum; poi le tavole con il San Paolo oggi a Nevey, con il San Michele a Lucca, Museo nazionale di Villa Guinigi e quella con la Madonna col Bambino a Madrid, al Prado.
Cinque tavole di un polittico smembrato tutte conservate al museo Nazionale di San Matteo di Pisa (una Madonna e quattro Santi) possono essere testimonianza della sua attività giovanile.
Alla prima maturità (prima metà degli anni trenta) potrebbe essere ricondotta la Crocifissione del Camposanto pisano, la cui paternità è talvolta contestata al Traini. Altri affreschi del Camposanto di Pisa erano stati attribuiti al Traini, compreso Il Giudizio Universale, L'Inferno, Leggende degli Eremiti ed il famoso Trionfo della Morte, opera che attualmente è ritenuta di Buonamico Buffalmacco.
Anche l'Apoteosi di San Tommaso d'Aquino risalente al 1344, nella chiesa di Santa Caterina a Pisa, ora attribuita con maggiore convinzione a Lippo Memmi, è stata da alcuni critici del tutto espunta dal suo catalogo e da altri indicata come opera ove è presente la collaborazione.
Al Traini spetta anche la decorazione miniata della prima cantica di una Divina Commedia conservata al Musée Condé di Chantilly.
[2] Di Andrea Bonaiuti o Andrea da Firenze, pittore italiano, non si hanno notizie biografiche precise; a Firenze nel 1346 un Andrea Bonaiuti risulta iscritto nell'Arte dei Medici e Speziali che fungeva anche da corporazione dei pittori.
Solo verso il 1365 il pittore eseguì la sua opera maggiore: la decorazione della sala capitolare di S. Maria Novella a Firenze, il cosiddetto Cappellone degli Spagnoli.

Malgrado il livello artistico non molto elevato delle pitture che lo decorano, il Cappellone degli Spagnoli è stato per molti secoli una delle maggiori curiosità artistiche di Firenze; celebrità dovuta soprattutto al grande interesse iconografico dell'opera, vera Summa Theologica figurata, e alla vivacità dei costumi riprodotti.
Questo ciclo di affreschi che comprende le Storie di Cristo e l'Esaltazione di san Tommaso d'Aquino e dell'opera dei domenicani, rivelano uno stile molto schematico, più attento al messaggio celebrativo rivolto alla Chiesa e ai Domenicani, che a una buona raffigurazione del soggetto.
Fra gli affreschi sono famosi quelli che raffigurano Agostino con alle spalle l'allegoria dell'Ispirazione Mistica, l'Esaltazione dell'Ordine Domenicano e il Trionfo di S. Tommaso.
Gli altri affreschi della medesima sala capitolare di Santa Maria Novella, affrontano temi più comuni, quali la Crocifissione, l'Andata al Calvario, la Discesa al Limbo, e, nelle volte, la Resurrezione e l'Ascensione in cui sono accentuati i legami con l'Arte Senese.
Un trittico a lui attribuito è nella sagrestia della chiesa del Carmine di Firenze, ed un altro è diviso fra i musei di Houston e Copenaghen.
Nel 1377, anno della sua morte, Andrea da Firenze affrescò, nel camposanto di Pisa, tre storie della Vita di San Ranieri.
[Fonte: Andrea Bonaiuti o Andrea da Firenze | www.settemuse.it
[3] Buonamico Buffalmacco è divenuto celebre, più che per le sue qualità indubitabili di ottimo pittore, come personaggio protagonista del “Decameron” di Giovanni Boccaccio (1313-1375, la straordinaria raccolta di novelle fu composta intorno al 1350), in cui in alcune trame famose, ormai proverbiali, architetta, insieme al compare Bruno, anch’egli pittore, burle epocali ai danni di Calandrino.
Così lo descrive Giorgio Vasari, grande artista del Cinquecento e senza dubbio primo storico e critico d’arte con il suo “Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti”, nella prima edizione (1550, detta “Torrentino” cui seguì quella più ampia e definitiva del 1568, detta “Giunti”):
“Non fece mai la natura un burlevole e con qualche grazia garbato, ch’ancora non fosse a caso e da straccurataggine accompagnato nel viver suo. E nientedimeno si truovano alle volte costoro sí diligenti, per la dolcezza dell’amicizia, nelle comodità di coloro che amano, che per fare i fatti loro il piú delle volte dimenticano se medesimi. Onde, se costoro usassero la astuzia ch’è lor data dal cielo, si leverebbono dattorno quella necessità, che nasce nelle vecchiezze loro e negli infortuni ove si veggono incorrere il piú delle volte, e serbandosi il capitale di qualcosa delle fatica della giovanezza, diventerebbe loro comodità utilissima e necessaria, in quel tempo proprio ove sono tutte le miserie e tutte le incomodità. E certamente chi ciò fa, s’assicura benissimo per la vecchiaia e vive con minor sospetto e con maggiorcontentezza. Questo non seppe fare Buonamico detto Buffalmacco, pittor fiorentino,celebrato dalla lingua di messer Giovanni Boccaccio nel suo Decamerone.” [Fonte: Vincenzo Reda | Buonamico Buffalmacco, dipintore bislacco].
[4] Serena Nocentini, Benozzo Gozzoli, Scene dell'antico e del nuovo Testamento | www.museobenozzogozzoli.it
[5] Leo von Klenze (Buchladen, 29 febbraio 1784 – Monaco di Baviera, 27 gennaio 1864) è stato un architetto tedesco. Aderì al Neoclassicismo e le sue opere mostrano una stretta derivazione dai temi dell'architettura greca, come la Gliptoteca a ed i Propilei di Monaco di Baviera. Suo mecenate fu Ludovico I Re di Baviera, il quale voleva rendere Monaco l'Atene sull'Isar. Pertanto affidò a von Klenze l'incarico di ridisegnare la città. Tra le opere più importanti realizzate dall'architetto bisogna indubbiamente ricordare anche l'Alte Pinakothek, la Königsplatz e la Ruhmeshalle. Il suo Classicismo romantico emerge con forza nel Walhalla, un monumentale tempio nel quale furono collocati i busti delle più importanti personalità tedesche e che doveva contribuire a risvegliare l'idea nazionale della Germania.
Realizzò pure edifici d'impronta neorinascimentale e l'iconostasi della chiesa greco-ortodossa del Salvatore a Monaco di Baviera.



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Pisa, Basilica di San Piero a Grado
Pisa, San Paolo a Ripa d'Arno
Sant'Antimo, between Santa Pia and Montalcino
         
 
 
   
 

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