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Basilica di Santa Trinita, Firenze
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Basilica di Santa Trinita

   
   

La basilica di Santa Trìnita è una delle basiliche più importanti nell'evoluzione storico artistica della città di Firenze; secondo l'uso fiorentino, che rispecchia la pronuncia latina al nominativo[1], ha la caratteristica pronuncia sdrucciola (Trìnita). Si affaccia sull'omonima piazza Santa Trinita e dà il nome anche al vicino ponte Santa Trinita.

La basilica di fondazione vallombrosana venne edificata durante l’XI secolo. Fu ampliata, in forme gotiche, durante i primi trent’anni del Trecento e poi fra la fine del medesimo secolo ed il 1405 circa. L’esterno in pietra forte, progettato alla fine del Cinquecento (1593-1594) da Bernardo Buontalenti, mostra un doppio ordine di paraste composite; sul prospetto centrale si apre, in alto, una finestra rotonda.


Giovanni battista caccini, ss. trinità, 1594, 2
Giovanni Battista Caccini, il rilievo della Trinità, Basilica di Santa Trinita, Firenze, facciata (particolare)[3]

 

L’interno, di impianto gotico e a croce egizia, fu risistemato durante il XVII secolo; presenta tre navate divise da pilastri, con cinque cappelle per lato, quattro sul fondo e abside quadrata. Vi sono conservate innumerevoli opere d’arte fra le quali sono da ricordare: nella navata destra la quarta cappella decorata con affreschi di Lorenzo Monaco, del 1420-1425, e dalla tavola con l’Annunciazione sempre del medesimo artista; nel transetto destro si può ammirare la cappella Sassetti affrescata da Domenico Ghirlandaio e dalla sua bottega fra il 1483 ed il 1486 con Storie di San Francesco d’Assisi.

Sul fianco destro della chiesa, in via del Parione, sono visibili i resti di quello che, in origine, fu il complesso conventuale di cui si conserva il chiostro realizzato sempre alla fine del Cinquecento su disegno di Bernardo Buontalenti.

In una delle versioni manoscritte del Racconto istorico della vita di Galileo Galilei Vincenzo Viviani scrive che il giovane Galileo «udì i precetti della logica da un Padre Maestro Vallombrosano di S. Trinita», ma la notazione scompare nella versione a stampa. Se Galileo avesse compiuto i suoi primi studi a Firenze in Santa Trinita o proprio nel monastero di Vallombrosa era evidentemente questione dibattuta anche fra i contemporanei.[1]

 

Storia

Santa Maria dello Spasimo

Sul sito della chiesa esisteva un'antica chiesetta dedicata a Santa Maria dello Spasimo, dei vallombrosani, documentata già nel 1077. Si trovava al di fuori dalla cinta muraria matildina, ne fu in seguito inclusa nel 1172-75. Si trattava di un edificio romanico molto sobrio, che rifletteva l'austerità dell'ordine. Di quella primitiva costruzione restano alcune tracce sulla controfacciata, la cripta sotterranea (colonne in marmo verde, che anticamente si innalzavano su basi di marmo bianco) e alcune iscrizioni e lapidi. Sono conosciute anche tracce dell'antico pavimento del presbiterio, che era decorato da un mosaico a tessere bianche e nere, con disegni di animali fantastici.

La chiesa gotica

Tra il 1250 e il 1258 vennero avviati dei lavori di ampliamento in stile gotico su progetto che alcuni attribuiscono a Nicola Pisano o, più probabilmente, a Neri di Fioravanti. Fu una delle prime chiese gotiche di Firenze, preceduta solo dalla basilica di Santa Maria Novella, i cui lavori vennero avviati a partire dal 1242. I lavori proseguirono con solerzia tra il 1300 e il 1330, con una brusca interruzione per la peste del 1348. Vennero ripresi dal 1365 al 1405 circa.
Gradualmente la chiesa venne ingrandita ed abbellita. Nella prima metà del Trecento ottenne il titolo di abbazia. Il prestigio dei Vallombrosani si rifletteva anche nella grande quantità di opere d'arte che confluivano, come la monumentale Maestà di Cimabue, ora agli Uffizi. In quel periodo vennero aggiunte le cappelle laterali, e tutta la chiesa venne rivestita di affreschi, in buona parte distrutti nei rimaneggiamenti successivi.

Il tardo Cinquecento

Alla fine del Cinquecento, nell'ambito dei rinnovamenti in seguito alla Controriforma che i granduchi medicei avevano promosso nelle chiese fiorentine, i Vallombrosani chiesero a Bernardo Buontalenti di rinnovare il presbiterio della chiesa di Santa Trinita e di ricostruire il convento. Il complesso assunse così uno stile sobrio e nel contempo imponente. Il Buontalenti, smantellando il coro dei monaci, realizzò così l'artificioso altare monumentale e con l'originale scalinata (1574), conservata oggi nella chiesa di Santo Stefano al Ponte.
A quello stesso periodo risale la facciata, sempre del Buontalenti (1593-1594), con sculture di Giovanni Caccini.
Negli stessi anni veniva eretta nel transetto sinistro la cappella delle Reliquie di San Giovanni Gualberto, progettata da Caccini con affreschi di Domenico Cresti detto il Passignano. Ulteriori interventi di rinnovamento nelle cappelle furono effettuati da Gherardo Silvani, Ludovico Cigoli e altri.
Nel 1584 Alfonso Parigi il vecchio costruì, su disegni di Bernardo Buontalenti, il chiostro del convento. Quasi tutte le cappelle laterali furono rimaneggiate nel Seicento, con nuove decorazioni quasi scomparse dopo i restauri ottocenteschi.

 

 
   
   

I restauri ottocenteschi

In occasione dei restauri ottocenteschi si volle ripristinare l'aspetto gotico, anche a costo di interventi invasivi e deturpanti, come la rimozione dell'altare del Buontalenti. In quell'occasione furono anche collocate in Santa Trinita anche alcune opere prelevate dalla chiesa di San Pancrazio, ormai sconsacrata: fra queste il grande affresco staccato con San Giovanni Gualberto in trono, Santi e Beati vallombrosani, opera di Neri di Bicci (1455), e la Tomba di Benozzo Federighi di Luca della Robbia, ora nel transetto sinistro, che però negli spostamenti perse il basamento originario.

Il XX secolo

La chiesa venne danneggiata dall'alluvione del 1966, dopo il quale si avviò un ciclo di restauri che rimossero i falsi ottocenteschi e riguardarono tutti gli affreschi delle cappelle.

Architettura


La facciata di Santa Trinita del Buontalenti è un'opera tipica del tardomanierismo fiorentino, caratterizzata da un disegno geometrico simmetrico con elementi tradizionali ma disposti in varianti originali. Il doppio ordine di paraste scandiscono il prospetto dividendolo in tre zone. Il corpo della navata centrale è mascherato da un fastigio con frontone e finestra tonda. Le cornici in pietra delle porte e dell'altorilievo centrale della Trinità richiamano le movenze di stoffe e cartigli. L'architetto di corte di Cosimo I non si preoccupò della reale forma della chiesa, interessandosi piuttosto a creare un armonioso prospetto nella piazza: ciò si deduce dal taglio verticale della facciata che non copre le due fasce laterali, coperte da un semplice bugnato a punta di diamante a sinistra e da intonaco a destra, oppure dalla finestra circolare che non collima con l'apertura che dà luce all'interno. La statua di Sant'Alessio, così come il rilievo della Trinità, sono opera di Giovanni Battista Caccini (1594), mentre le porte lignee risalgono al 1640.
L'interno ha una forma a T (croce commissa), come tipico delle chiese degli ordini monastici dell'epoca, con abside quadrata illuminata da una lunga bifora.
Si espande su tre navate divise da sottili pilastri rettangolari su archi a sesto acuto e volte a crociera. I pilastri delle navata centrale divergono leggermente avvicinandosi al transetto, creando un effetto ottico di avvicinamento, probabilmente non casuale ma voluto, visto che anche le altezze delle arcate subiscono un simile incremento[2].
Lungo le navate e sul lato di testa del transetto si dispongono le cappelle: cinque su ciascun lato e quattro ai lati della cappella maggiore, alle quali vanno aggiunte la cappellina di San Giovanni Gualberto alla testa del transetto destro, e la sagrestia nel transetto sinistro, già Cappella Strozzi.

Il corredo artistico

La controfacciata romanica ospita vari frammenti addossati, tra i quali un affresco della Trinità del primo Quattrocento, la lastra tombale degli abati di San Pancrazio (XIV secolo), proveniente dalla chiesa sconsacrata, e, a sinistra, la lastra tombale di Giovanni di Antonio Amati, attribuita ad Antonio del Pollaiolo. Le due acquasantiere marmoree poste in corrispondenza dei primi due pilastri, sono state disegnate da Battista Lorenzi tra il 1581 e il 1583.

Cappelle della navata destra

Nella navata destra la prima cappella che si incontra, chiusa da una grata, è la Cappella Gianfigliazzi, dal nome della famiglia che aveva numerose proprietà tra via Tornabuoni e il Lungarno Corsini. L'aspetto attuale della cappella risale all'intervento del 1630 circa di Gherardo Silvani, ma resta nelle volte un cielo affrescato attribuito a Cenni di Francesco (1400-1415), del quale restano anche le figure di San Benedetto penitente nell'arco, gli otto busti di Apostoli nel sottarco e, in una nicchia a destra, la Comunione di Santa Maria Egiziaca, la cui sinopia staccata si trova esposta sulla parete opposta. Sull'altare si trova il Crocifisso ligneo della Provvidenza, trecentesco, oggetto tutt'oggi della devozione popolare.
Segue la Cappella Davizzi, di Matteo Nigetti, ristrutturata verso il 1640-1642. La decorazione è sobriamente barocca e sull'altare si trova la pala della Predica di San Giovanni Battista, opera tarda di Francesco Curradi firmata e datata 1649.
La Cappella Cialli-Seringi ospita sull'altare la tavola fondo oro con predella della Madonna in trono col Bambino e quattro santi di Neri di Bicci (1466 circa). Alla parete destra si trova l'affresco frammentario della Matrimonio mistico di Santa Caterina d'Alessandria tra santi di Spinello Aretino (1390-1395), segnato dalle martellate che precedettero la scialbatura (copertura con intonaco bianco). Sulla parete opposta si trova la sinopia. L'affresco proviene dalla cappella attigua ed è stato scoperto sotto gli affreschi di Lorenzo Monaco.

A fianco si incontra la Cappella Bartolini Salimbeni, chiusa dall'originaria cancellata del 1420 circa, opera forse di Manfredi di Franco da Pistoia.


 

Santa trinita, portale dettaglio statua di Sant'Alessio

Giovanni Battista Caccini,portale dettaglio statua di Sant'Alessio, Basilica di Santa Trinita, Firenze, facciata[3]

 

 

 

Lorenzo Monaco, Storie della Vergine, 1420-24, affresco, 210 x 230 cm, Santa Trinità, Firenze


La cappella è celebre per il pregevole ciclo di affreschi di Lorenzo Monaco con le Storie della Vergine, eseguiti fra il 1420 e il 1425, coprendo i precedenti di Spinello Aretino. Si tratta dell'unica cappella che venne risparmiata dai rimaneggiamenti cinque-seicenteschi ed è stata restaurata con lavori conclusi nel 2004. L'altare conserva una pala dello stesso autore che raffigura l'Annunciazione.
La quinta e ultima cappella è aperta sia sulla navata che sul transetto, come la cappella corrispondente sull'altro lato. Detta Cappella Ardinghelli, ha decorazioni ad affresco all'esterno sopra l'arco sulla navata e in una lunetta all'interno (Imago pietatis) di Giovanni Toscani (1423-1424). L'altare ha una complessa decorazione classica e venne costruito nel 1552 usando marmi decorati del 1505-1513 da Benedetto da Rovezzano. La pala che è ospitata al centro è una Resurrezione di Cristo e santi di Maso da San Friano (1582).

La prima cappella di sinistra, detta Cappella Strozzi, venne ristrutturata da Giovan Battista Caccini nel 1603, il quale scolpì anche le statue della Mansuetudine e della Pace ai lati dell'altare (1603-1609). La pala centrale è un'Annunciazione di Jacopo Chimenti, mentre la volta con il Paradiso è opera di Bernardino Poccetti. Alle pareti si trovano le tele della Morte di sant'Alessio di Cosimo Gamberucci (1605 circa, a sinistra) e il Martirio di santa Lucia di Pompeo Caccini (1609, a destra).
Segue la Cappella Bombeni, realizzata da Matteo Nigetti nel 1629-1635. All'altare si trova il Matrimonio mistico di santa Caterina da Siena e santi di Antonio del Ceraiolo (1515-1520) e ai lati i dipinti di San Girolamo penitente di Ridolfo del Ghirlandaio (1525 circa) e dell'Annunciazione di Michele Tosini (1525 circa), queste ultime due provenienti da San Girolamo alla Costa.
La terza cappella era dei Davanzati e conserva tracce frammentarie degli affreschi eseguiti tra il 1340 e il 1350 con Storie di santa Caterina da un seguace di Maso di Banco. Due angeli a monocromo sono riferibili alla bottega di Giovanni da Ponte (post 1444). L'altare è decorato dalla tavola dell'Incoronazione della Vergine e dodici santi di Bicci di Lorenzo, commissionata dopo il 1430. Sulla parete sinistra infine si trova la sepoltura di Giuliano Davanzati, morto nel 1444, composta da un sarcofago romano del Buon Pastore del III secolo d.C. e dal coperchio con la figura giacente del defunto attribuita a Bernardo Rossellino.
Segue la Cappella Compagni, dominata dal grande affresco staccato sulla parete centrale raffigurante un lunettone con San Giovanni Gualberto in trono tra santi e beato vallombrosani di Neri di Bicci (1455), proveniente dal chiostro di San Pancrazio. Dello stesso autore è la tavola dell'Annunciazione con cacciata dei progenitori alla parete di destra (dopo il 1475), che contiene un errore prospettico per via delle architetture troppo piccole per le figure che contengono. Di suo nonno Lorenzo di Bicci è invece l'affresco sull'arcone esterno con San Giovanni Gualberto perdona l'uccisore di suo fratello, del 1430-1435 circa. Una piccola targa sulla parete sinistra ricorda che qui fu sepolto il cronista Dino Compagni nel 1323. I Compagni infatti anticamente avevano le proprie case nelle vicinanze, sul Lungarno Corsini.
Nella quinta cappella, la Cappella Spini, aperta su due lati come la sua corrispondente nella navata destra, si trovano la Maddalena lignea di Desiderio da Settignano (1450 circa), terminata, secondo la testimonianza di Vasari nel 1455 da Benedetto da Maiano, e l'affresco di Santo vescovo di Alesso Baldovinetti (1470 circa).

Transetto destro

Il transetto destro presenta in testa l'accesso su via del Parione (con portale esterno quattrocentesco), preceduto da un vestibolo dove si trovano sei tombe a nicchia con archi ogivali, su una delle quali è presente un rilievo di Cristo in pietà della seconda metà del Trecento, della scuola di Andrea Pisano.
La Cappella Strozzi, dal nome della potente famiglia fiorentina, fu progettata da Lorenzo Ghiberti (1418-1423) e corrisponde all'attuale sagrestia. Via si accede sia da un passaggio dietro la cappella Maggiore che da un portale quattrocentesco sulla navata. Composta da tre campate disposte a "L", ha l'altare maggiore decorato dalla Pietà marmorea di Vittorio Barbieri, firmata e datata 1743 e liberamente ispirata alla Pietà vaticana di Michelangelo. Alla parete si trova la tela dell'Esaltazione di Santa Monica di Alessandro Gherardini (1697, mentre a sinistra, sotto un arco aperto nella parete che divide i due vani della sagrestia, la tomba di Onofrio Strozzi, padre di Palla Strozzi, che è attribuita a Pietro Lamberti o a Michelozzo (1418-1425 circa), con decorazioni floreali nel sottarco attribuite a Gentile da Fabriano. Altre opere nella sagrestia sono di Luca della Robbia, Francesco di Simone Ferrucci, Puccio Capanna, Niccolò di Tommaso e Pietro Torrigiani. Qui si trovava la splendida pala dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, ora agli Uffizi, datata 1423, così come la Deposizione dell'Angelico iniziata da Lorenzo Monaco, ora al Museo Nazionale di San Marco.
Rientrando in chiesa si arriva alla Cappella Sassetti, che conserva il capolavoro di Domenico Ghirlandaio, gli affreschi con Storie di San Francesco dipinti su commissione di Francesco Sassetti tra il 1483 e il 1486 circa. Il ciclo è esemplificativo del gusto degli ultimi decenni del Quattrocento, quando la ricca borghesia fiorentina amava farsi ritrarre nelle scene sacre. Interessante è quindi la rappresentazione della società quattrocentesca fiorentina, oltre che le inedite grandi aperture scenografiche degli affreschi, e l'interesse per il ritratto di ispirazione fiamminga. Sono numerosissimi i ritratti di persone dell'epoca: Francesco Sassetti e la moglie sono raffigurati come donatori della cappella nella scena del miracolo ambientato in piazza Santa Trinita (fra l'altro il dipinto è una preziosissima testimonianza di come apparisse allora questa zona), mentre nel riquadro di San Francesco che riceve l'ordine francescano da Papa Onorio III (scena ambientata in piazza della Signoria) compare il Sassetti che allora dirigeva il Banco Medici, assieme al figlio Teodoro, a Lorenzo il Magnifico e a Luigi Pulci. Sono presenti anche i figli del Magnifico che salgono le scale guidati dall'umanista Agnolo Poliziano. La pala d'altare è pure del Ghirlandaio e raffigura l'Adorazione dei pastori (1485 circa), con citazioni fedeli del Trittico Portinari di Hugo van der Goes. Il primo pastore si ritiene sia stato dipinto come autoritratto dell'autore. Le tombe di Francesco Sassetti e della consorte Nera Corsi sono opera di Giuliano da Sangallo, incorniciate da affreschi a monocromo. Nella volta della cappella si trovano quattro Sibille, mentre all'esterno, in alto sopra l'arco, si trova la Sibilla Tiburtina che annuncia ad Augusto la nascita del Redentore e una Statua del David dipinta in cima al pilastro, pure opere del Ghirlandaio, anche se in condizioni meno buone per via della scialbatura che subirono in antico.
Sul pilastro che separa la Cappella Sassetti dalla seguente Cappella Doni si trova un affresco dell'Annunciata di un pittore fiorentino del Quattrocento. La Cappella Doni venne ristrutturata da Ludovico Cigoli tra il 1559 e il 1613 ed è chiusa da una grata. All'esterno, sopra l'arco, si trova un affresco di Cristo in gloria attribuito a Giovanni da Ponte (1429-1430). All'interno ospita sull'altare un Crocifisso ligneo forse della metà del XIII secolo, pesantemente ridipinto nei secoli. A destra, sulla parete, si incontra la Madonna dello Spasimo, tavola dell'ultimo decennio del Quattrocento di Bernardo di Stefano Rosselli.

La Cappella Maggiore

 


Cappella Bartolini Salimbeni

 


Capella Sassetti

 


Domenico Ghirlandaio, Confirmation of the Rule (Detail),affresco Santa Trinità, Florence.

 



Francesco Sassetti accanto a Lorenzo de' Medici e Antonio di Puccio Pucci, affreschi di Domenico

 

La Cappella Maggiore era anticamente decorata da un ciclo di affreschi di Alesso Baldovinetti tra il 1471 e il 1497 con Storie del vecchio Testamento, che venne quasi interamente distrutto durante i lavori di ammodernamento del coro del 1760-1761. Restano quattro Patriarchi negli spicchi della volta, molto rovinati, e due scene nei lunettoni con il Sacrificio di Isacco e Mosè che riceve le tavole della legge, dipinti a secco.
L'altare è frutto dell'unione di più pezzi di varia provenienza, tra cui il paliotto con la Trinità attribuito ad Agostino di Duccio e i pilastrini della bottega di Desiderio da Settignano. Il trittico della Trinità di Mariotto di Nardo (1416) fu commissionato da Niccolò Davanzati e proviene dai depositi della Galleria dell'Accademia.

Transetto sinistro

La prima cappella a sinistra dell'altare, Cappella Usimbardi, venne rifatta da Ludovico Cigoli probabilmente entro il 1628. La volta è decorata da affreschi coevi di Fabrizio Boschi e Matteo Rosselli. Nella decorazione marmorea sono inserite le tele con la Consegna delle Chiavi dell'Empoli (1607 circa) e San Pietro sulle acque iniziato da Cristofano Allori e terminato dopo la sua morte da Zanobi Rosi nel 1621. All'altare il paliotto scolpito con il Martirio di San Lorenzo è opera di Tiziano Aspetti, mentre il Crocifisso è di Felice Palma, che scolpì anche i monumenti funebri sulle pareti laterali. Sopra l'arco esterno si trovano affreschi di Giovanni da Ponte databili al 1430-1434.
Segue la Cappella Scali, che all'esterno è decorata da affreschi con San Bartolomeo e medaglioni di Santi. All'interno sopravvivono affreschi frammentari di Giovanni da Ponte e Smeraldo di Giovanni databili al 1434: nella volta gli Evangelisti e sulle pareti ai lati Scorticamento e Decollazione di san Bartolomeo. Qui si trova anche uno dei capolavori di Luca della Robbia, la tomba in marmo e maiolica policroma del vescovo di Fiesole Benozzo Federighi, morto nel 1450, proveniente da San Pancrazio. Il monumento risale al 1454 ed è composto dalla figura giacente del defunto sullo sfondo di un rilievo di Cristo tra la Madonna e san Giovanni; tutt'intorno si trova una fascia in terracotta policroma invetriata di elementi floreali.
Alla testa del transetto si trova la piccola Cappella delle reliquie di San Giovanni Gualberto, progettata a fine del Cinquecento da Giovanni Caccini ed affrescata dal Passignano (1593-1594), con scene legate alla traslazione del corpo del santo ed alla venerazione delle sue reliquie.

Il campanile

Il campanile è sprovvisto di fondazioni proprie, appoggiandosi su una parete laterale della chiesa; non c’è modo di raggiungerlo dall’edificio religioso, ma bisogna salire fino al tetto e di lì proseguire per uno stretto passaggio ed una scala a pioli. Da notare, incastonata nel campanile, una Madonna col Bambino in terracotta.

Il monastero 


Santa Trinita, chiostro 03

Santa Trinita, chiostro[3]

 

Lungo via del Parione, in continuità con il fianco destro della chiesa, si sviluppa l'ex edificio conventuale, oggi occupato dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Firenze e altri. Al numero 7 si accede al chiostro, opera di Alfonso Parigi il vecchio su disegni di Bernardo Buontalenti, costruito tra il 1584 e il 1593. È porticato su quattro lati e rialzato rispetto al piano della strada; le arcate a tutto sesto delle volte a crociera poggiano su possenti colonne con capitelli dorici; il piano d'imposta è segnato da una cornice marcapiano, che sottolinea una serie di finestre architravate; al centro si trova un pozzo circondato da aiuole.
Nell'ex-refettorio, oggi occupato dalla Biblioteca della Facoltà, si trovano affreschi di Giovanni da San Giovanni, Nicodemo Ferrucci e Jacopo Confortini, raffiguranti la Madonna in gloria accolta dalla Trinità e, nelle lunette, Scene di convitti evangelici, databili al 1631-1632.



Domenico Ghirlandaio |
Il ciclo affrescato delle Storie di san Francesco


Domenico Ghirlandaio, Esequie di san Francesco., 1482-1485, Cappella Sassetti, Santa Trinità, Firenze


Santa Caterina d'Alessandria tra santi di Spinello Aretino (1390-1395)


Spinello Aretino, Santa Caterina d'Alessandria tra santi di Spinello Aretino, 1390, affresco, Santa Trinita, Firenze



 
Chiesa di Santa Trinita | Piazza S. Trinita (055 216912).
Open 8am-noon, 4-6pm, holidays 4-6pm. Admission: free.
 
 
 
   


[0] Il nominativo è Trinitas, mentre l'ablativo trinitate ha originato la pronuncia tronca trinità.
[1] Itinerari Scientifici in Toscana | Chiesa di Santa Trinità
[2] A. Ambrosi, Visualità dello spazio architettonico medioevale, 1979
[3] Foto da Sailko - Opera propria, rilasciato sotto i termini della GNU Free Documentation License.



Bibliografia

Mariella Zoppi e Cristina Donati, Guida ai chiostri e cortili di Firenze, bilingue, Alinea Editrice, Firenze 1997.

Guida d'Italia, Firenze e provincia "Guida Rossa", Touring Club Italiano, Milano 2007

Opere d'arte già in Santa Trinita

Cimabue, Maestà di Santa Trinita (1280-1290), oggi agli Uffizi

Gentile da Fabriano, Adorazione dei Magi (1423), oggi agli Uffizi

Gentile da Fabriano, Presentazione al Tempio (1423), oggi al Louvre

Lorenzo Monaco e Beato Angelico, Deposizione (1432-1434 circa), oggi al Museo nazionale di San Marco

Bernardo Buontalenti, Scalinata (1574), oggi nella chiesa di Santo Stefano al Ponte


Tigler, Guido (1998). "La Cappella Bartolini Salimbeni a Santa Trinita". Cappelle del Rinascimento a Firenze. Florence: Giusti.

Walking in Tuscany | Florence | A Walk Around the Uffizi Gallery and he Chiesa di Santa Trinita

Arte in Toscana | Cenacoli di Firenze, un percorso rinascimentale
Una delle tematiche ricorrenti fra gli affreschi rinascimentali fiorentini è la rappresentazione dell'Ultima Cena.
La raffigurazione dell'ultima cena parve singolarmente adatta a decorare i grandi refettori conventuali, specialmente a Firenze, per il tema ideale di meditazione e di preghiera offerto alla comunità monastica riunita per consumare i pasti.
Per tutto il Trecento la scena dell'Ultima Cena viene inclusa nei grandiosi cicli di affreschi che illustravano la Vita e la Passione di Cristo. Nel corso del Quattrocento, con l'affermarsi della prospettiva, la Cena finì per essere rappresentata su una intera parete e come scena a sé stante. In seguito alle soppressioni ottocentesche degli ordini monastici, da ambienti di clausura i Cenacoli sono divenuti monumenti di notevole valore artistico, oggi aperti al pubblico.


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