Piero della Francesca

Giorgio Vasari | Le vite | Piero della Francesca


Opere in ordine cronologico


Polittico della Misericordia

Battesimo di Cristo

San Girolamo penitente


San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi,


Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo

Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta,

Storie della Vera Croce
       Morte di Adamo
       Adorazione del sacro legno e incontro di Salomone con        la Regina di Saba
       Sollevamento del legno della Croce
       Annunciazione
       Vittoria di Costantino su Massenzio
       Tortura dell'ebreo
       Ritrovamento e verifica della vera Croce
       Battaglia di Eraclio e Cosroè
       Profeta Geremia
       Angelo

Maria Maddalena

Polittico di Sant'Agostino


San Giuliano

Madonna del parto

Resurrezione

San Ludovico di Tolosa

Polittico di Sant'Antonio

Doppio ritratto dei Duchi di Urbino, sul verso Trionfo di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza

Pala di Brera

Flagellazione di Cristo

Ercole

Madonna di Senigallia

Natività

Madonna col Bambino e quattro angeli






 





 
Arte in Toscana
             
 

Piero della Francesca, Santa Maria Maddalena, 1460, affresco 190 x 105 cm, Duomo, Arezzo

 
       
   

Piero della Francesca


   
   

Piero della Francesca (Sansepolcro, 1416-1417 circa – Sansepolcro, 12 ottobre 1492) è stato un pittore e matematico italiano.
Tra le personalità più emblematiche del Rinascimento italiano, fu un esponente della seconda generazione di pittori-umanisti.[1] Le sue opere sono mirabilmente sospese tra arte, geometria e un complesso sistema di lettura a più livelli, dove confluiscono complesse questioni teologiche, filosofiche e d'attualità. Riuscì ad armonizzare, nella vita quanto nelle opere, i valori intellettuali e spirituali del suo tempo, condensando molteplici influssi e mediando tra tradizione e modernità, tra religiosità e nuove affermazioni dell'Umanesimo, tra razionalità ed estetica.[2]

La sua opera fece da cerniera tra la prospettiva geometrica brunelleschiana, la plasticità di Masaccio, la luce altissima che schiarisce le ombre e intride i colori di Beato Angelico e Domenico Veneziano, la descrizione precisa e attenta alla realtà dei fiamminghi. Altre caratteristiche fondamentali della sua espressione poetica sono la semplificazione geometrica sia delle composizioni che dei volumi, l'immobilità cerimoniale dei gesti, l'attenzione alla verità umana.[2]

La sua attività può senz'altro essere caratterizzata come un processo che va dalla pratica pittorica, alla matematica e alla speculazione matematica astratta. La sua produzione artistica, caratterizzata dall'estremo rigore della ricerca prospettica, dalla plastica monumentalità delle figure, dall'uso in funzione espressiva della luce, influenzò nel profondo la pittura rinascimentale dell'Italia settentrionale e, in particolare, le scuole ferrarese e veneta.[3]

Se è vero che Piero della Francesca inizia presto a viaggiare e per tutta la vita trascorre lunghi periodi presso le corti più importanti dell’Italia centrale ed adriatica è altrettanto certo che egli non si legherà mai in modo definitivo ad un signore e manterrà sempre uno stretto rapporto con la sua città natale, tanto da firmare le sue opere come “Pietro da Borgo”, quasi a sottolineare con orgoglio la sua provenienza.



Piero della Francesca, Battaglia di Eraclio e Cosroè, (dettaglio), c. 1466, affresco, 329 x 747 cm, San Francesco, Arezzo


Biografia e opere

La ricostruzione biografica della vita di Piero è un'impresa ardua alla quale si sono dedicate generazioni di studiosi, affidandosi ai più sottili indizi, nella generale scarsità di documenti ufficiali attendibili che ci siano pervenuti[2]. La stessa sua opera ci è pervenuta solo in maniera frammentaria, con numerose perdite di estrema importanza, tra cui spiccano gli affreschi eseguiti nel Palazzo Apostolico, sostituiti nel XVI secolo dalle Stanze di Raffaello [2].


La questione della nascita

Piero nacque da Benedetto de' Franceschi, ricco uomo di commercio di tessuti, e da Romana di Perino da Monterchi, nobildonna di famiglia umbra, a Sansepolcro (che allora si chiamava "Borgo San Sepolcro") in un anno imprecisato tra il 1406 e il 1420. La data di nascita esatta è sconosciuta, poiché un incendio negli archivi comunali di Sansepolcro distrusse gli atti di nascita dell'antica anagrafe. Un primo documento che nomina Piero è come testimone alla stesura di testamento datato 8 ottobre 1436, dal quale si ricava che l'artista doveva già avere almeno l'età prescritta di vent'anni per un documento ufficiale [2]. Secondo Giorgio Vasari nelle Vite, Piero, che morì nel 1492, aveva 86 anni al momento della morte, che porterebbe la sua nascita al 1406 ma la notizia è inattendibile, perché i suoi genitori si sposarono solo nel 1413 [4]. Si ignora anche perché, poco dopo la sua morte, venisse già chiamato «della Francesca», anziché «di Benedetto» o «de' Franceschi», ma la congettura del Vasari che abbia preso il cognome dalla madre è inattendibile. Piero era il figlio primogenito della coppia, che ebbe altri quattro fratelli (due morti in tenerissima età) e una sorella.


Esordi a Sansepolcro

Probabilmente la sua formazione avvenne in Borgo San Sepolcro, cittadina di frontiera culturale, tra le influenze fiorentine, senesi e apporti umbri. Il primo artista col quale collaborò fu Antonio d'Anghiari, attivo a Sansepolcro e ivi abitante, come attesta il 27 maggio 1430 un documento di pagamento a Piero per la pittura di stendardi e bandiere con le insegne del Comune e del governo papale, posti sopra una porta delle mura [2].
Nel 1438 è di nuovo documentato a Sansepolcro, dove è citato tra gli aiutanti di Antonio d'Anghiari, a cui era stata affidata, in prima istanza, la commissione per la pala della chiesa di San Francesco (poi realizzata dal Sassetta) [5]. È difficile comunque dire se il maestro di Piero era stato proprio Antonio, dal momento che di quest'ultimo non si conserva alcuna opera certa.


Con Domenico Veneziano


   

Nel 1439 è documentato per la prima volta a Firenze, dove forse era avvenuta la sua vera formazione, forse già intorno dal 1435. Il 7 settembre infatti è citato tra gli aiutanti di Domenico Veneziano negli affreschi, oggi perduti, delle Storie della Vergine nel coro della chiesa di Sant'Egidio. La pittura luminosa, dalla tavolozza chiarissima e sontuosa, di Domenico Veneziano e quella, moderna e vigorosa, di Masaccio furono determinanti negli sviluppi del suo percorso artistico, ispirandogli alcune caratteristiche fondamentali che utilizzò per tutta la vita [2]. Con Domenico aveva probabilmente già collaborato a Perugia nel 1437-1438 [6] e, secondo Vasari, i due lavorarono anche a Loreto, nella chiesa di Santa Maria, dove iniziarono ad affrescare «un'opera nella volta della sagrestia; ma perché, temendo di peste, la lasciarono imperfetta». La pittura fu successivamente terminata da Luca Signorelli.
La prima sua opera che ci è conservata è la Madonna col Bambino, già nella fiorentina Collezione Contini Bonacossi, attribuita per la prima volta a Piero nel 1942 da Roberto Longhi, che la fa risalire agli anni 1435-1440, durante i quali Piero era ancora collaboratore di Domenico Veneziano. Nel verso della tavola è dipinto un vaso, come esercitazione prospettica.

L’affascinante anconetta della Madonna già in collezione Contini, che tanto Longhi quanto Salmi avevano considerato primizia del giovanissimo Piero – il che oggi, al luce di quanto si sa sulla data di nascita del maestro, significa ben prima della collaborazione con Domenico Veneziano o almeno ai suoi inizi. Il dipinto, contribuisce a ridefinire il ruolo avuto da Piero nella formazione della civiltà ferrarese e padovana e quanto egli avesse già appreso da Firenze, prima del suo passaggio a Ferrara.

 

 

Madonna col Bambino (1435-1440), Collezione privata

Il Battesimo

 
Piuttosto controversa è la datazione di quella che alcuni ritengono la prima opera pervenutaci di Piero della Francesca, il Battesimo di Cristo alla National Gallery di Londra. Alcuni elementi iconografici, come la presenza dei dignitari bizantini sullo sfondo, farebbero collocare l'opera a ridosso del 1439, anno del Concilio di Firenze in cui si riunificarono effimeramente le Chiese d'Occidente e d'Oriente. Altri datano la pala più tardi, addirittura al 1460.


Il polittico della Misericordia

Nel 1442 Piero risultava nuovamente abitante a Borgo Sansepolcro dove era uno dei "consiglieri popolari" nel consiglio comunale. L'11 gennaio 1445 ricevette dalla locale Confraternita della Misericordia la commissione di un polittico per l'altare della loro chiesa: il contratto prevedeva il compimento dell'opera in tre anni e la sua completa autografia, oltre all'obbligo di controllare ed eventualmente restaurare il dipinto nei dieci anni successivi.

In realtà, la stesura del polittico si protrasse, con intervento di un allievo non identificato, per più di 15 anni, come dimostra un pagamento al fratello Marco di Benedetto de' Franceschi, per conto di Piero, effettuato dalla Confraternita nel 1462. Nel XVII secolo il polittico fu scomposto, con perdita dell'originaria cornice, poi trasferito nella chiesa di San Rocco; dal 1901 è conservato nella Pinacoteca comunale.

Il polittico si compone di 15 tavole: il registro principale è composto di tre scomparti raffiguranti i santi Sebastiano e Giovanni Battista, la Madonna della Misericordia e i santi Giovanni Evangelista e Bernardino da Siena. nel secondo registro sono, al centro, la Crocifissione, ai lati San Romualdo, l'Angelo annunciante, l'Annunciata e San Francesco. Sopravvivono anche le fasce dipinte dei pilastri laterali, con le raffigurazioni di sei santi e di due stemmi della Confraternita della Misericordia, probabilmente opera di uno sconosciuto allievo. Cinque tavolette costituiscono la predella, attribuite al pittore camaldolese Giuliano Amidei, forse anche appartenenti a un polittico diverso.

Nelle prime tavole (San Sebastiano, San Giovanni Battista) le figure rammentano la gravità pesante e fisica di Masaccio, mentre il San Bernardino da Siena, raffigurato con l'aureola, pone un importante termine post quem, poiché venne proclamato santo solo nel 1450.

 

Polittico della Misericordia (1445-1462), Museo Civico di Sansepolcro



Dettaglio dal Polittico della Misericordia (1444-1464) con presunto autoritratto di Piero

Viaggi




 
Negli anni quaranta Piero soggiornò in varie corti italiane: Urbino, Ferrara e probabilmente Bologna, realizzando affreschi che sono andati completamente perduti. A Ferrara ad esempio lavorò nel 1449 al Castello degli Este e nella chiesa di Sant'Andrea, ma oggi non ne resta traccia. Qui forse ebbe un primo contatto con l'arte fiamminga, incontrando Rogier van der Weyden direttamente o tramite una delle opere che aveva forse lasciato a corte. Il contatto coi fiamminghi è particolarmente evidente se si pensa al suo precoce uso della pittura a olio.

Il 18 marzo 1450 è documentato ad Ancona, come testimone al testamento (rinvenuto recentemente da Matteo Mazzalupi) della vedova del conte Giovanni di messer Francesco Ferretti. Nel documento il notaio specifica che i testimoni sono tutti "cittadini ed abitanti di Ancona", per cui Piero fu probabilmente ospite per un certo tempo dell'importante famiglia anconetana e per loro dipinse forse la tavoletta del San Girolamo penitente, datata appunto 1450. Agli stessi anni risale più o meno anche l'analogo San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi. In entrambe si registra un interesse per il paesaggio e per la fine resa dei dettagli, nelle variazioni di materiale e di "lustro" (cioè di riflessi di luce), che possono essere spiegati solo attraverso una conoscenza diretta della pittura fiamminga. Vasari ricorda anche uno Sposalizio della Vergine sull'altare di San Giuseppe nel Duomo, già scomparso nel 1821 [7].

Vasari ricorda come Piero fu "adoperato" da Guidantonio da Montefeltro [7], lasciando intendere un'attività molto vasta che però già nel 1550 era andata "in gran parte male", per via delle guerre da cui lo Stato urbinate era travagliato.

 

San Girolamo penitente (1450)

Rimini (1451)

   
Nel 1451 fu a Rimini, chiamato da Sigismondo Pandolfo Malatesta a lavorare al Tempio Malatestiano dove lasciò l'affresco votivo monumentale con San Sigismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta. Qui probabilmente poté conoscere Leon Battista Alberti, e da qui si spostò ancora ad Ancona, Pesaro e Bologna.
Il Tempio Malatestiano, usualmente indicato dai cittadini come il Duomo e dal 1809 riconsacrato come basilica cattedrale di Santa Colomba[1], è la chiesa maggiore di Rimini. Rinnovato completamente sotto la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, con il contributo di artisti come Leon Battista Alberti, Matteo de' Pasti, Agostino di Duccio e Piero della Francesca, è, sebbene incompleto, l'opera chiave del Rinascimento riminese ed una delle architetture più significative del Quattrocento italiano in generale.


Le Storie della Vera Croce

  Sigismondo Pandolfo Malatesta

Nel 1451 fu a Rimini, chiamato da Sigismondo Pandolfo Malatesta a lavorare al Tempio Malatestiano dove lasciò l'affresco votivo monumentale con San Sigismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta. Qui probabilmente poté conoscere Leon Battista Alberti, e da qui si spostò ancora ad Ancona, Pesaro e Bologna.
Il Tempio Malatestiano, usualmente indicato dai cittadini come il Duomo e dal 1809 riconsacrato come basilica cattedrale di Santa Colomba[1], è la chiesa maggiore di Rimini. Rinnovato completamente sotto la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, con il contributo di artisti come Leon Battista Alberti, Matteo de' Pasti, Agostino di Duccio e Piero della Francesca, è, sebbene incompleto, l'opera chiave del Rinascimento riminese ed una delle architetture più significative del Quattrocento italiano in generale.


Le Storie della Vera Croce, prima fase (1452-1458)

Nel 1452 fu chiamato a sostituire Bicci di Lorenzo, defunto, nella decorazione murale della Cappella Maggiore di San Francesco ad Arezzo, dove affrescò le celebri Storie della Vera Croce. I documenti ricordano l'ultimo pagamento per il ciclo di affreschi nel 1466, che poteva anche essere già stato ultimato prima.

La prima fase della decorazione di San Francesco viene datata fino al 1458 e riguarda le lunette e le incorniciature dipinti, che vennero realizzate da collaboratori su cartoni del maestro. L'opera venne interrotta durante il suo viaggio a Roma.

Il ciclo è caratterizzato da scene costruite prospetticamente e con una colorazione delicata e ricca di luce, ripresa dallo stile di Domenico Veneziano. Il disegno è rigoroso, di impronta fiorentina, ma la sua rigidità va attenuandosi via via nel corso dell'impresa.

In contemporanea 1453 è documentato anche a Sansepolcro dove, nel 1454, stipulò il contratto per il polittico dell'altare maggiore della chiesa di Sant'Agostino, alla quale lavorerà per lo più negli anni successivi, terminandolo solo nel 1469.

 

 

Cappella Maggiore di San Francesco ad Arezzo


Roma (1458-1459)


   
Piero della Francesca, Resurrezione, 1450-1463, affresco, 225 x 250 cm, Museo Civico, Sansepolcro


Nel 1458-1459 Piero fu attivo a Roma, chiamato da papa Pio II. Prima di partire nominò il fratello Marco come suo procuratore a Borgo San sepolcro, in previsione verosimilmente di una lunga assenza.

A Roma eseguì nel Palazzo Apostolico affreschi ben documentati ma oggi perduti, dopo che nel XVI secolo vennero distrutti per far posto alla prima delle Stanze Vaticane di Raffaello. In Santa Maria Maggiore si trova un affresco di San Luca dipinto probabilmente dalla bottega di Piero, mentre nulla si è conservato di opere interamente autografe. La tesoreria papale emise un documento datato 12 aprile 1459 per il pagamento di 140 fiorini per "certe dipinture" nella "camera di Santità Nostro Signore".

A questo periodo risale anche la Resurrezione del Museo Civico di Sansepolcro, dall'inarrivabile solennità, data dalla composizione piramidale e dalla ieratica frontalità del Cristo. A questi anni vengono generalmente datati anche la Flagellazione, la Madonna del Parto e, secondo alcuni, il Battesimo di Cristo.

Il 6 novembre 1459 muore la madre di Piero e il 20 febbraio 1464 suo padre.

 

Resurrezione

Storie della Vera Croce, seconda fase

   
A Roma Piero conobbe sicuramente artisti fiamminghi e spagnoli, acquisendo una nuova consapevolezza per la rappresentazione dei fenomeni atmosferici realistici, che saranno alla base degli affreschi più sperimentali della seconda fase del ciclo di Arezzo, come la scena notturna del Sogno di Costantino. Nel 1460 si trovava a Sansepolcro, dove firmò e datò l'affresco di San Ludovico di Tolosa. Nel 1462 fu pagato per il Polittico della Misericordia.

Nel tarda 1466 la confraternita aretina della Nunziata commissionò uno stendardo con l'Annunciazione a Piero, citando nel contratto la riuscita degli affreschi di San Francesco come motivo della scelta: a quella data il ciclo doveva quindi essere già stato terminato. Quello stesso anno Piero dipinse l'affresco di una Maddalena nel Duomo di Arezzo.

 

Cappella Maggiore di San Francesco ad Arezzo

Perugia

   
Nel 1467 a Perugia eseguì per conto delle suore terziarie del convento di Sant'Antonio un polittico, dove all'impostazione tardogotica voluta dalla committenza, si contrappone, nella cimasa, a un'Annunciazione di chiaro stampo rinascimentale, con una straordinaria fuga prospettica si archi sullo sfondo.

Nel 1468 è documentato a Bastia Umbra, dove si era rifugiato per sfuggire la peste. Qui realizzò almeno un altro gonfalone dipinto (perduto). Il Polittico di Sant'Agostino

Il polittico per la chiesa agostiniana di Sansepolcro era stato commissionato nel 1454, ma portato a termine solo nel 1469, con la traccia di un pagamento, forse l'ultimo, datato 14 novembre. L'opera è altamente innovativa, priva di fondo oro, sostituito da un cielo aperto tra balaustre classicheggianti, e con le figure dei santi dalla linearità e monumentalità accentuata.

 

Annunciazione, dal Polittico di Sant'Antonio

A Urbino (1469-1472)

   
Non sono chiari gli spostamenti di Piero alla corte di Urbino di Federico da Montefeltro, dove soggiornò sicuramente tra il 1469 e il 1472. Nonostante ciò Piero considerato a buon diritto uno dei protagonisti e promotori della cultura urbinate, e proprio a Urbino il suo stile raggiunse un insuperato equilibrio tra l'uso di rigorose regole geometriche e il respiro serenamente monumentale.

Al 1465-1472 circa è datato il Doppio ritratto dei duchi di Urbino, dove Federico da Montefeltro e la moglie Battista Sforza sono ritratti di profilo in primo piano, e sul retro in trionfo su carri allegorici e con scritte d'omaggio dipinte. Il ritratto di Federico era finito nel 1465, mentre si sa che quello di Battista Sforza è postumo, quindi successivo al 1472. I ritratti sono inseriti sullo sfondo di un lontanissimo e profondissimo paesaggio di memoria nordica, in particolare di Jan van Eyck.

Nel 1469 Piero è documentato a Urbino, dove la Confraternita del Corpus Domini lo incaricò di dipingere uno stendardo processionale. In quell'occasione al maestro venne proposta anche la pittura della travagliata pala del Corpus Domini, già commissionata a Fra Carnevale, poi a Paolo Uccello (1467), che dipinse solo la predella, e infine completata da Giusto di Gand nel 1473-1474. Nel 1470 è documentato Federico da Montefeltro a Sansepolcro, forse in compagnia di Piero.

A Urbino Piero lasciò soprattutto la Madonna di Senigallia e la Pala di Brera, opere maestose, con un ineguagliabile equilibrio di rigorosa architettura dipinta e luce. La Pala di Brera risale sicuramente a prima del 1475, poiché il Duca è ritratto senza la decorazione dell'Ordine della Giarrettiera, che ricevette nel 1474. È molto probabile che nella realizzazione della pala ebbe un ruolo anche il pittore di corte Pedro Berruguete, al cui pennello Roberto Longhi attribuì le mani di Federico. Il fondale architettonico armonioso e policromo ricorda le creazioni di Leon Battista Alberti, in particolare la chiesa di Sant'Andrea a Mantova, mentre le figure sono immerse in una chiara atmosfera luminosa.

 

Pala di Brera


Opere tarde


   
Natività


Nel 1473 è registrato un pagamento, forse legato ancora al Polittico di Sant'Agostino. Nel 1474 gli venne corrisposto il pagamento conclusivo per un dipinto perduto, destinato alla cappella della Vergine nella Badia di Sansepolcro. Dal 1º luglio 1477, con qualche interruzione, visse fino al 1480 a Borgo San Sepolcro, dove fece regolarmente parte del consiglio comunale. Nel 1478 dipinse un affresco perduto per la Cappella della Misericordia, sempre a Sansepolcro. Tra il 1480 e il 1482 fu a capo della Confraternita di San Bartolomeo nella sua città natale.

All'ultima fase di Piero è attribuita la Natività, dove spicca l'impianto prospettico e l'amorevole cura dei dettagli. Alcuni critici [9]] ipotizzano che il volto della Madonna sia stato realizzato da altra mano "fiamminga".

A questo periodo è attribuita anche la Madonna col Bambino e quattro angeli del museo di Williamstown (Massachusetts).

 


Natività
La morte




 

Documentato di nuovo a Rimini nel 1482, dove prese in affitto un'abitazione, qui attese alla scrittura del Libellus de quinque corporibus regularibus, terminato nel 1485 e dedicato a Guidobaldo da Montefeltro.

Fece testamento il 5 luglio 1487, dichiarandosi "sano nello spirito, nella mente e nel corpo".

Negli ultimi anni, secondo Vasari, venne colpito da una grave malattia agli occhi che gli impedì di lavorare. Morì a Sansepolcro il 12 ottobre 1492, proprio il giorno della scoperta dell'America, e fu sepolto nella Badia di Sansepolcro.


Trattati matematici




 
Oltre all'attività artistica fu anche autore di trattati matematici e di geometria prospettica: il De perspectiva pingendi, il De quinque corporibus regularibus e un manuale di calcolo intitolato Trattato dell'abaco.
In queste tre opere matematiche è presente una sintesi tra geometria euclidea, appartenente alla scuola dei dotti, e matematica abachistica, riservata ai tecnici [10].

La prima opera è stata il Libellus de quinque corporibus regularibus, un trattato dedicato alla geometria, che ha ripreso temi antichi di tradizione platonico-pitagorica, studiati sempre con l'intento di poterli utilizzare come elementi del disegno. Si è ispirato alla lezione euclidea per l'ordine logico delle espressioni e per i riferimenti e per l'uso coordinato e complesso dei teoremi, mentre è stato vicino alle esigenze dei tecnici per la determinatezza delle figure trattate, solide e poliedriche, e per l'assenza di dimostrazioni classiche e per l'uso di regole aritmetiche e algebriche applicate ai calcoli.[10] Nel testo, in particolare, per la prima volta venivano disegnati i poliedri regolari e semiregolari, studiando le relazioni che intercorrono fra i cinque regolari.
Nel secondo trattato De prospectiva pingendi ha proseguito la linea di studio anticipata nel libro precedente, apportando notevoli novità al punto da poterlo definire uno dei padri del moderno disegno tecnico, difatti alla prospettiva ha preferito l'assonometria, in quanto ritenuta più congruente con un modello geometrico. Tra i problemi affrontati emergono il computo del volume della volta e l'elaborazione architettonica della costruzione delle cupole.
Il Trattato d'abaco, sulla matematica applicata, fu scritto forse già nel 1450, trent'anni prima del Libellus. Il titolo fu aggiunto solo in epoca moderna in quanto assente nell'originale. La parte geometrica e quella algebrica sono risultate molto vaste rispetto alle consuetudini del suo tempo, così come la parte sperimentale in cui l'autore ha esplorato elementi non convenzionali.[10]
 

Proiezioni di una testa scorciata dal de Prospectiva Pingendi, ante 1482, Milano, Biblioteca Ambrosiana

La bottega


   
La critica si divide sulla presunta collaborazione di vari artisti alla sua bottega (fra gli altri Lorentino d'Arezzo, Luca Signorelli e il Perugino); per altro l'unico allievo documentato è Pietro di Galeotto da Perugia. Tra i suoi collaboratori merita una citazione Giovanni da Piamonte, con cui lavorò ad Arezzo nell'esecuzione degli affreschi a San Francesco; è di detto autore la tavola conservata presso la chiesa di Santa Maria delle Grazie di Città di Castello, in cui sono sicuramente presenti influenze pierfrancescane.
     
Piero della Francesca | Opere


Lista di opere (dipinti su tavola e affreschi) in ordine cronologico.


* Madonna col Bambino, 1440 circa, tempera su tavola, 53x41 cm, collezione privata, Italia
* Polittico della Misericordia, 1444-1465, tecnica mista su tavola, 273x330 cm, Museo Civico, Sansepolcro
* Battesimo di Cristo, 1440-1460 (datazione incerta), tempera su tavola, 167x116 cm, National Gallery, Londra
* San Girolamo penitente, 1450, tempera su tavola, 51x38 cm, Gemäldegalerie, Berlino
* San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi, 1450 circa, tempera su tavola, 49x42 cm, Gallerie dell'Accademia, Venezia
* Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo, 1451, affresco, 257x345 cm, Tempio Malatestiano, Rimini
* Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta, 1451-1460, tecnica mista su tavola, 44,5x34,5 cm, Louvre, Parigi
* Storie della Vera Croce, 1452-1466, affreschi, Basilica di San Francesco, Arezzo
       Morte di Adamo, 390x747 cm
       Adorazione del sacro legno e incontro di Salomone con la Regina di Saba, 336x747 cm
       Sollevamento del legno della Croce (esecuzione di Giovanni da Piamonte), 356x190 cm
       Annunciazione, 329x193 cm
       Sogno di Costantino, 329 x 190 cm
       Vittoria di Costantino su Massenzio, 322x764 cm
       Tortura dell'ebreo (con Giovanni da Piamonte), 356x193 cm
       Ritrovamento e verifica della vera Croce, 356x747 cm
       Battaglia di Eraclio e Cosroè, 329x747 cm
       Eraclio riporta la Vera Croce a Gerusalemme, 390x747 cm
       Profeta Ezechiele (esecuzione di Giovanni da Piamonte), base 193 cm
       Profeta Geremia, 245x165 cm
       Angelo, frammento, base 70 cm
       Cupido, base 70 cm
* Polittico di Sant'Agostino, 1454-1469, tecnica mista su tavola, smembrato e parzialmente disperso
       Sant'Agostino, 133x60 cm, Museu Nacional de Arte Antiga, Lisbona
       San Michele Arcangelo, 133x59,5 cm, National Gallery, Londra
       San Giovanni Evangelista, 131,5x57,8 cm, Frick Collection, New York
       San Nicola da Tolentino, 136x59 cm, Museo Poldi Pezzoli, Milano
       Santa Monica, 39x28 cm, Frick Collection, New York
       Santo agostiniano, 39x28 cm, Frick Collection, New York
       Sant'Apollonia, 39x28 cm, National Gallery of Art, Washington
       Crocifissione, 37,50x41 cm, Frick Collection, New York
* San Giuliano, 1454-1458, affresco frammentario staccato, 130x80 cm, Museo Civico, Sansepolcro
* Maria Maddalena, 1460-1466, affresco, 190x105 cm, Duomo, Arezzo
* Madonna del parto, 1455-1465, affresco staccato, 260x203 cm, Museo della Madonna del Parto, Monterchi
* Resurrezione, 1450-1463, affresco, 225x200 cm, Museo Civico, Sansepolcro
* San Ludovico di Tolosa, 1460, affresco frammentario staccato, 123x90 cm, Museo Civico, Sansepolcro
* Polittico di Sant'Antonio, 1460-1470, tecnica mista su tavola, 338x230 cm, Galleria nazionale dell'Umbria, Perugia
* Doppio ritratto dei Duchi di Urbino, sul verso Trionfo di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza, 1465-1472 circa, olio su tavola, 47x33 cm ciascun pannello, Uffizi, Firenze
* Pala di Brera, 1469-1474, tecnica mista su tavola, 248x170 cm, Pinacoteca di Brera, Milano
* Flagellazione di Cristo, 1470 circa, tecnica mista su tavola, 58,4x81,5 cm, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino
* Ercole, 1470 circa, affresco staccato, 151x126 cm, Isabella Stewart-Gardner Museum, Boston
* Madonna di Senigallia, 1470-1485, olio su carta riportata su tavola, 61x53,5 cm, Galleria nazionale delle Marche, Urbino
* Natività, 1470-1485, olio su tavola, 124x123 cm, National Gallery, Londra
* Madonna col Bambino e quattro angeli, 1475-1482, tecnica mista su tavola, 107,8x78,4 cm, Clark Art Institute, Williamstown (Massachusetts)

 


Polittico della Misericordia, 1444-1465
Piero della Francesca, Polittico della Misericordia, 1444-1465, tecnica mista su tavola, 273x330 cm, Museo Civico, Sansepolcro


Il grandioso polittico, con al centro la "Madonna della Misericordia", rappresenta una delle poche opere documentate di Piero e anche una delle prime commissioni a lui date a Sansepolcro. Nel 1445 la biturgense Confraternita della Misericordia gli commissionò l’opera, che avrebbe dovuto ornare l’altare maggiore della chiesa adiacente l’ospedale. Nel contratto fu specificato che il Maestro non doveva avvalersi di collaboratori e che l’opera doveva essere consegnata entro tre anni. L’artista, a causa degli impegni presi in varie parti d’Italia, non poté mantenere fede a tali clausole e solo quindici anni dopo l’opera poté dirsi finalmente conclusa.
Il polittico si compone di cinque grandi pannelli, una predella e undici tavolette distribuite nella cimasa e sui lati. La ricca composizione doveva essere racchiusa entro una fastosa cornice dorata tardo-gotica andata dispersa quando l’opera fu smontata intorno al 1630.
Al centro si erge la maestosa e ieratica figura della Madonna misericordiosa che, secondo uno schema già da tempo codificato e diffuso, apre, il mantello sotto il quale si rifugiano uomini e donne inginocchiati. Iconograficamente l’opera ricorda l’affresco, col medesimo soggetto, eseguito da Parri Spinelli nel Santuario di Santa Maria delle Grazie ad Arezzo ma, a differenza di questo, non una folla di popolo si accalca sotto l’ampio manto. Solo il priore, i consiglieri della Fraternità e le loro donne vi trovano spazio quasi si trattasse di un mondo astratto e isolato dove l’umano e il divino s’incontrano. Questa sensazione è rafforzata dal volto della Vergine, un ovale perfetto che emerge con forza dal fondo dorato. Al di sopra della Madonna si trova il pannello dove è dipinta la Crocifissione, l’immagine presenta, in una tersa luce dorata, il Cristo con ai lati la Vergine, che leva le mani al cielo quasi volesse urlare il proprio dolore, e San Giovanni che spalanca le braccia in un gesto di disperazione..
Ai lati della tavola con la Madonna della Misericordia troviamo due pannelli raffiguranti San Sebastiano e San Giovanni Battista, a destra; San Bernardino da Siena e San Giovanni Evangelista, a sinistra. Le figure di questi quattro Santi, e in particolar modo quelli posti nel lato destro, risultano immobili e possenti e riescono a staccarsi dal fondo dorato con una fisicità che ricorda le energiche e rudi figure di Masaccio. Da notare che questi sono raffigurati, non sappiamo se intenzionalmente, secondo un ordine cronologico ovvero dal più giovane al più anziano.
I pannelli superiori del polittico, e le immagini della predella, furono probabilmente realizzati da Giuliano Amidei, che avrebbe diligentemente eseguito accurati disegni preparatori del maestro per le piccole figure di Santi e avrebbe realizzato da solo le storie poste nella predella.
Le tavolette superiori della maestosa opera raffigurano, partendo da sinistra: , San Benedetto, l’Arcangelo Gabriele, la Vergine Annunziata e San Francesco d’Assisi. Nella lesena di sinistra, dall’alto verso il basso, incontriamo: San Girolamo penitente, Sant’Antonio da Padova e Sant’Arcano, uno dei pellegrini fondatori di Sansepolcro. Nella lesena di destra vediamo Sant’Agostino, San Domenico e Sant’Egidio, l’altro fondatore della cittadina biturgense. Alla base delle lesene, con lettere in caratteri gotici, è scritta l’abbreviazione della Compagnia della Misericordia di Sansepolcro: "MIA".
La predella si suddivide in cinque scene comprendenti da sinistra: la Preghiera nell’Orto, la Flagellazione, la Deposizione, il Noli Me Tangere e le Marie al Sepolcro

Opere d'arte in Toscana e Umbria | Piero della Francesca | Polittico della Misericordia

 
     


Battesimo di Cristo (1440-1460)

 

Piero della Francesca, Battesimo di Cristo (dettaglio), tempera su tavola, 167 x 116 cm, National Gallery, Londra

Il Battesimo di Cristo (1440-1460) che adesso si trova presso la National Gallery di Londra, è stata commissionata a Piero della Francesca per essere una Pala d' altare, cioè un dipinto che deve essere posto al centro e sopra un altare di Chiesa o di Cappella, avente come Tema un soggetto, un evento o una scena religiosa. La forma della pala e costituita da un quadrato più un semicerchio ad esso sovrapposto (vedi immagine a lato). Quindi Piero della Francesca, ha voluto realizzare una struttura geometrica molto precisa e proporzionale.
La composizione si presenta perfettamente equilibrata, ovvero simmetrica nella scelta di dove inserire le figure. Ad esempio a San Giovanni Battista corrisponde un albero, e alle tre figure alate corrisponde un uomo che si sta preparando ad entrare nell’acqua.
Al centro è rappresentato il Cristo e alla sua destra troviamo S. Giovanni battista che lo sta battezzando. Alla destra di Cristo c'è un albero e tre angeli che si tengono per mano. Sopra a Cristo vola la colomba. L'albero è un noce, richiamo alla leggenda di fondazione della città di Sansepolcro. Sullo sfondo possiamo vedere la città di Sansepolcro e un uomo che si prepara a essere battezzato.
Piero Della Francesca utilizza la sintesi geometrica che si può notare negli angoli della stessa ampiezza che formano il braccio e la gamba di Giovanni Battista. Inoltre, il motivo della linea curva si ripropone nelle anse del fiume Giordano e nella postura del giovane battezzando sulla destra.
Vi è un asse verticale al centro che collega la colomba con la coppa sostenuta da Giovanni Battista e il Cristo. Il centro focale è la colomba che si trova perfettamente al centro del cerchio.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Battesimo di Cristo (1440-1460)

 

Piero della Francesca, Battesimo di Cristo, (dettaglio, il volto di Cristo)

     


The Penance of St. Jerome (1450)

 

Piero della Francesca, San Girolamo penitente, 1450, tempera su tavola, Gemäldegalerie, Berlino


L'opera è una delle pochissime di Piero della Francesca, infatti sul piccolo cartiglio in basso a destra si legge "PETRI D[E] BURGO [SAN SEPOLCRO] OPUS MCCCCL. L'autografia del dipinto è stata riconosciuta comunque solo nel 1968, in seguito a un restauro che eliminò una vecchia ridipintura, che stravolgeva l'opera pierfrancescana. Tra gli anni quaranta e cinquanta Pietro aveva intrapreso numerosi viaggi (Urbino, Ferrara e forse Bologna) e può darsi che la tavola sia stata dipinta durante uno di questi soggiorni, commissionata per la devozione privata.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | San Girolamo penitente, (1450)
     


San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi (1440-1450)

 

Piero della Francesca, St Jerome and a Donor, 1451, Panel, 49 x 42 cm; Gallerie dell'Accademia, Venice


San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi è un'opera di Piero della Francesca, databile al 1440-1450 circa e conservata nelle Gallerie dell'Accademia di Venezia.san Girolamo nel deserto, con la veste da eremita, mentre attende allo studio di un testo sacro. L'iconografia fonde le due rappresentazioni tradizionali di san Girolamo, quella del penitente nel deserto, vestito di stracci, e quella del "san Girolamo nello studio", diffusa soprattutto nella pittura nordica, al quale Piero allude con i libri, che ricordano la sua attività erudita di traduttore della Bibbia dall'ebraico e dal greco in latino (la Vulgata). La prima versione era legata soprattutto alla devozione popolare come modello di rinuncia ai beni terreni, mentre nella seconda veste Girolamo era il prototipo del dotto umanista.
Accanto al santo è inginocchiato il donatore, Girolamo Amadi, identificato dall'iscrizione sotto di lui (HIER. AMADI AUG. F.). L'incontro è incorniciato dalle linee verticali dell'albero sulla destra e del Crocifisso sul ceppo a sinistra. La croce è collocata obliquamente e più che a un esercizio prospettico si deve pensare a un tentativo di sottolineare la correlazione tra la croce e il santo.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi (1440-1450)

     
Nel 1451 Piero della Francesca a Rimini, chiamato da Sigismondo Pandolfo Malatesta a lavorare al Tempio Malatestiano dove lasciò l'affresco votivo monumentale con San Sigismondo e Sigismondo Pandolfo Malatesta. Qui probabilmente poté conoscere Leon Battista Alberti, e da qui si spostò ancora ad Ancona, Pesaro e Bologna.


Sigismondo Pandolfo Malatesta Praying in Front of St. Sigismund (1451)

 

Sigismondo Pandolfo Malatesta Praying in Front of St. Sigismund (1451), fresco, Tempio Malatestiano, Rimini

Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondo (1451) è un affresco e conservato nel Tempio Malatestiano di Rimini.
La chiesa di San Francesco di Rimini era il tradizionale luogo di sepoltura del Malatesta e tra il 1447 e il 1450 Sigismondo Pandolfo Malatesta lo fece trasformare in un mausoleo classicheggiante, un vero e proprio tempio dinastico, su progetto di Leon Battista Alberti. Il progetto, sebbene incompiuto, ridefinì completamente l'edificio, che da allora venne chiamato Tempio Malatestiano.

Piero della Francesca si trovava a Rimini alla corte di Pandolfo e lavorò al cantiere del Tempio lasciando il monumentale affresco votivo di Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo nella cappella di San Sigismondo.

Al centro esatto dell'affresco sta inginocchiato Sigismondo Pandolfo Malatesta, ritratto di profilo e con le mani giunte, mentre prega san Sigismondo, re dei Burgundi e suo protettore, ritratto seduto in trono al di sopra di un gradino nella parte sinistra dell'affresco e reggente in mano i segni della sua dignità regale: lo scettro e il globo, oltre alla berretta sopra la quale si trova un'aureola scorciata in prospettiva. Le fettezze del santo e la particolare berretta (sopra la quale si trova l'aureaola scorciata in prospettiva), ricordano quelle di Sigismondo di Lussemburgo, l'imperatore che nel 1433 investì il Malatesta come cavaliere e ne legittimò la successione dinastica, ratificandone la presa di potere su Rimini[1]. L'affresco aveva quindi una valenza tanto religiosa quanto politica.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo, 1451

Allo stesso periodo appartiene il Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta, tecnica mista su tavola, oggi al Louvre. Il ritratto del sovrano nelle due opere è molto simile e fu probabilmente ispirato dall'effige su una medaglia di Matteo de' Pasti.
Pandolfo è ritratto di profilo su sfondo scuro, stagliandosi con la forza di un cammeo. Il forte contrasto dà al ritratto un carattere monumentale e statuario, tipico dei busti antichi. La linea del volto incede sullo sguardo fisso e fiero, con i tratti modellati finemente. Il portamento eretto è accompagnato da uno sguardo tagliente, che sembra sottolineare il suo carattere ombroso e dispotico.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta (1451)

 
       
Le Storie della Vera Croce, prima fase (1452-1458)

Nel 1452 Piero fu chiamato a sostituire Bicci di Lorenzo, defunto, nella decorazione murale della Cappella Maggiore di San Francesco ad Arezzo, dove affrescò le celebri Storie della Vera Croce. I documenti ricordano l'ultimo pagamento per il ciclo di affreschi nel 1466, che poteva anche essere già stato ultimato prima.
La prima fase della decorazione di San Francesco viene datata fino al 1458 e riguarda le lunette e le incorniciature dipinti, che vennero realizzate da collaboratori su cartoni del maestro. L'opera venne interrotta durante il suo viaggio a Roma.

Il ciclo è caratterizzato da scene costruite prospetticamente e con una colorazione delicata e ricca di luce, ripresa dallo stile di Domenico Veneziano. Il disegno è rigoroso, di impronta fiorentina, ma la sua rigidità va attenuandosi via via nel corso dell'impresa.
In contemporanea 1453 è documentato anche a Sansepolcro dove, nel 1454, stipulò il contratto per il polittico dell'altare maggiore della chiesa di Sant'Agostino, alla quale lavorerà per lo più negli anni successivi, terminandolo solo nel 1469.
     


Storie della Vera Croce (1452 - 1466), Cappella Maggiore di San Francesco, Arezzo

 

Piero della Francesca, Sollevamento della Croce, c. 1466, fresco 390 x 747 cm, (dettaglio), Basilica di San Francesco, Arezzo


Riaccesa dalle mani dei restauratori e sottratta alle offese del tempo e degli uomini che l'avevano oscurata per secoli, nella Basilica di San Francesco, ad Arezzo, rinasce la più alta epopea figurativa della vicenda pittorica del Quattrocento. Il progetto di restauro, reso urgente dal gravissimo degrado degli affreschi, è nato nel 1985 dalla consapevolezza dell'estrema difficoltà e complessità dei problemi da risolvere, affrontati con l'apporto della più aggiornata ricerca scientifica, in un lavoro di équipe condotto dalla Soprintendenza di Arezzo e dall'Opificio delle Pietre Dure. L'intervento della Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, impegnato a finanziare al completo l'operazione fino al termine del restauro, ha consentito di affrontare col massimo dei risultati e della garanzia per la conservazione futura, la responsabilità di intervenire su un capolavoro che rappresenta una delle più alte espressioni artistiche dell'umanità.

I lavori su un ciclo di affreschi nella Cappella Maggiore della chiesa di San Francesco erano già stati iniziati nel 1452 quando Piero della Francesca visitò la città. Il pittore fiorentino Bicci di Lorenzo lavorava nella cappella quando morì nel 1452, lasciando la decorazione della stessa appena accennata. Piero probabilmente cominciò a lavorare dopo la morte di Bicci, ricoprendo in pochi anni le pareti della cappella gotica con i più moderni e avanzati (in termini di prospettiva) affreschi che il XV secolo italiano avesse mai creato.
Il crocifisso con San Francesco, del XIII secolo, era già nella chiesa quando Piero della Francesca affrescò la cappella; recentemente è stato posizionato sopra l'altare maggiore.

Il soggetto delle storie illustrate da Piero è tratto da un testo del XIII secolo di Jacopo da Varagine, La Legenda Aurea, che racconta la storia miracolosa del legno della Croce di Cristo.
La storia narra come Adamo, dal suo letto di morte, abbia mandato il proprio figlio Set presso l'Arcangelo Michele, come questi gli diede alcuni semi dell'albero del Peccato Originale da mettere nella bocca del padre al momento della morte. L'albero nato sulla tomba del patriarca viene poi abbattuto dal Re Salomone e il suo legno, inutilizzabile per qualunque cosa, verrà utilizzato come ponte. La Regina di Saba, nel suo viaggio per incontrare Salomone e in procinto di attraversare quel ponte, ha la visione che il Salvatore verrà crocifisso con quel legno. Invece di attraversarlo si inginocchia ad adorare quel legno. Quando Salomone scopre la natura del messaggio divino ricevuto dalla Regina di Saba ordina che il ponte venga rimosso e il legno sepolto. Ma il legno viene ritrovato e, dopo un secondo messaggio premonitore, diventa lo strumento della Passione. Tre secoli più tardi, prima di affrontare Massenzio nella battaglia di ponte Milvio, l'Imperatore Costantino fa un sogno che gli indica di combattere nel nome della Croce per vincere il nemico. Dopo la vittoria, la madre di Costantino Elena va a Gerusalemme per recuperare il legno miracoloso. Nessuno sa dove sia la reliquia della Croce, tranne un ebreo chiamato Giuda. Giuda viene torturato in un pozzo e rivela il nome del tempio dove sono conservate le tre croci del Calvario. Elena ordina la distruzione del tempio; vengono trovate le tre croci e la Vera Croce viene riconosciuta perché provoca una miracolosa resurrezione. Nell'anno 615 il Re persiano Cosroe trafuga il legno per arricchire la sua collezione di oggetti di culto. L'Imperatore d'Oriente Eraclio muove guerra al Re persiano e, dopo averlo sconfitto, ritorna a Gerusalemme col Legno Sacro. Ma un prodigio divino impedisce all'Imperatore di entrare trionfalmente in Gerusalemme. Così Eraclio, messe da parte tutte le forme di pompa e magnificenza, entra nella città portando la Croce, in gesto di umiltà, sull'esempio di Gesù Cristo.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Storie della Vera Croce (1452 - 1466), Cappella Maggiore di San Francesco, Arezzo
 


Piero della Francesca, Battaglia di Eraclio e Cosroè (dettagli), c. 1455, affresco, 329 x 747 cm, Basilica di San Francesco, Arezzo

   
   

 

 

Polittico di Sant'Agostino, 1454-1469


Polittico di Sant'Agostino, 1454-1469, tecnica mista su tavola, smembrato e parzialmente disperso


Il Polittico di Sant'Agostino è databile al 1454-1469 ed oggi smembrata e parzialmente dispersa. Si conoscono otto pannelli su almeno dieci, senza contare la probabile presenza di una predella o di altri riquadri accessori, dei quali non si ha alcuna traccia.
Il Polittico di Sant'Agostino è il terzo grande polittico conosciuto di Piero della Francesca, assieme al Polittico della Misericordia (1444-1464 circa) e il Polittico di Sant'Antonio (1460-1470 circa).
Il polittico era destinato alla vecchia chiesa di Sant'Agostino di Sansepolcro (oggi chiesa di Santa Chiara). Il contratto con gli Agostiniani risale al 4 ottobre 1454, con la firma di Angelo di Giovanni di Simone d'Angelo. L'ultimo pagamento è datato 14 novembre 1469.
Il dipinto, spostato probabilmente col trasferimento degli Agostiniani, dovette finire in una posizione secondaria, per essere poi smembrato, forse già nel Cinquecento. Nella prima metà del XIX secolo le principali tavole del polittico dovevano essere a Milano, come dimostrano sul retro la presenza di timbri in ceralacca che autorizzavano l'esportazione dalla Lombardia austriaca, oltre ad alcuni sigilli di collezionisti milanesi.

Verso la fine del XIX secolo gli scomparti andarono sul mercato antiquario in lotti separati, che ne decretarono la dispersione in collezioni soprattutto private, poi cedute a musei pubblici o diventate esse stesse istituzioni pubbliche.

Il polittico aveva una forma a scomparti come il Polittico della Misericordia, ma lo sfondo evitava l'arcaico oro, in favore di una balaustra marmorea continua e, nella parte superiore, un cielo azzurro come nell'affresco aretino della Maria Maddalena.

Il pannello centrale, disperso, era una Madonna in trono col Bambino, della quale si scorgono le estremità laterali di un gradino del trono e forse una sottile striscia del mantello azzurro nei pannelli attigui. Ai lati si trovavano quattro pannelli di santi disposti simmetricamente

Il pannello Sant'Agostino è uno dei più ricchi del polittico, con il santo-vescovo abbigliato da una pianeta e una mitria decorate da figure di santi e scene della vita di Gesù, create con straordinaria precisione. La mitria è decorata da un Redentore ed alcuni santi a mezza figura; il mantello ha due coppie di santi nei riquadri vicino al collo (si riconoscono San Giovanni Evangelista, San Giuliano e San Giovanni Battista).
La decorazione delle vesti di alcuni santi-vescovi con scenette religiose è documentato anche in altre opere d'arte (come il Polittico Quaratesi di Gentile da Fabriano, o il San Ludovico di Piero stesso), ma probabilmente prendeva spunto da esempi tessili reali di grande pregio. Sotto il prezioso mantello il santo indossa la veste nera agostiniana.

Straordinaria è la resa materica dei vari dettagli, derivata dalla conoscenza dell'arte fiamminga: dalla pesante stoffa damascata della pianeta, alla trasparenza vitrea del bastone episcopale in cristallo di rocca, dalla seta dei guanti, al brillare dei gioielli. Il volto del santo è ritratto con notevole individualità, che fa presupporre uno studio dal vero di un modello: il volto mostra i segni dell'età, ma è fermo e con uno sguardo inteso; la barba e i capelli irsuti sono trattati con estrema cura, con variazioni di tono che restituiscono un lustro quasi argenteo.

 


Piero della Francesca, Sant'Agostino, 1454-1469, Museu Nacional de Arte Antiga, Lisbona

 

 

San Giuliano, 1454-1458, affresco frammentario staccato, 130x80 cm, Museo Civico, Sansepolcro


Piero della Francesca, San Giuliano , affresco staccato, 1455 ca., proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino poi Santa Chiara


L’affresco di San Giuliano è l'unico frammento rimasto dell'affresco di Piero della chiesa di S. Agostino in Borgo Sansepolcro. L’affresco rappresenta un giovane santo identificato dal Salmi con San Giuliano Ospitaliere. Purtroppo ci è pervenuto solo un frammento raffigurante la bellissima testa, dalla fluente chioma dorata e parte del busto con le caratteristiche pieghe del mantello rese morbide e voluminose dal sapiente uso della luce. L’opera, scoperta nel 1954 nella parete destra della chiesa di Santa Chiara, è da sempre ritenuta un’opera indiscussa di Piero della Francesca. Il Santo non si rivolge verso lo spettatore ma si gira leggermente verso destra e sembra assorto mentre guarda un punto non precisato fuori dallo spazio pittorico. Da un punto di vista stilistico San Giuliano è molto vicino al profeta (forse Geremia) posto a destra della finestra absidale della chiesa aretina di San Francesco: le due figure sembrano essere state eseguite specularmente con lo stesso cartone.

 

 

Maria Maddalena, 1460-1466, affresco, 190x105 cm, Duomo, Arezzo


All'incirca nello stesso periodo in cui Piero lavorava alle scene finali del ciclo degli affreschi nella chiesa di S. Francesco in Arezzo, ricevette un'altra importante commissione: l'affresco di Maria Maddalena nella Cattedrale di Arezzo. Questa monumentale figura è creata interamente con larghe porzioni di luminoso colore similmente alle pitture veneziane degli inizi del XVI secolo. Con il nuovo uso del colore, Piero mostra la maturità del suo lavoro: la brillante riflessione della luce sulla piccola bottiglia, i capelli che sono dipinti uno ad uno lungo le spalle. L'affresco è situato nella Cattedrale di Arezzo vicino alla porta della sacrestia.

 

 

Madonna del parto,
1455-1465, affresco staccato, 260x203 cm, Museo della Madonna del Parto, Monterchi


Piero della Francesca, Madonna del parto (dettaglio), 1455-1465, affresco staccato, 260 x 203 cm, Museo della Madonna del Parto, Monterchi


In Toscana già dalla prima metà del Trecento circolava la raffigurazione realistica della Vergine incinta. Questo soggetto iconografico venne chiamato "Madonna del parto" e rappresenta la Madonna da sola, in piedi, in posizione frontale e visibilmente incinta. Uno tra gli elementi che la distingue da una normale donna incinta è il libro chiuso appoggiato sul ventre, allusione al Verbo Incarnato.

Tradizionalmente l'affresco Madonna del parto viene fatto risalire al 1459, quando l'artista visitò forse Monterchi in occasione dei funerali della madre, che era originaria del borgo.
L’affresco era destinato a completare la parete di fondo dell’altare maggiore dell’antica chiesa di Santa Maria di Momentana (XIII sec.) località di campagna nei pressi di Monterchi. Piero della Francesca dipinse in sette "giornate di lavoro" (prima del 1465) la straordinaria e toccante immagine della Madonna del Parto. A seguito di un terremoto nel 1785 la chiesa fu completamente distrutta con l'esclusione della parete con l'affresco. Questo fu staccato dal muro e trasferito nell'altar maggiore di un'altra chiesa che effettuava servizio per il cimitero. Solo nel 1889 l'affresco fu riscoperto come un grande capolavoro di Piero della Francesca. Nel 1910 l'opera fu nuovamente staccata dal muro e questo la preservò dal terremoto del 1917. Dal 1956 fino al restauro del 1992, l'opera è stata conservata all'interno di nuova cappella.

La Vergine non possiede attributi regali, non ha alcun libro in mano ed è colta nel gesto di puntare una mano sul fianco per sorreggere il peso del ventre. L'interesse di Piero per le simmetrie è particolarmente evidente in quest'opera, dove i due angeli che tengono i lembi del tendone discosti sono stati dipinti sulla base di un medesimo cartone rovesciato. Nei loro abiti e nelle ali i colori sono alternati: manto verde, ali e calzari bruni per quello di sinistra, viceversa per quello di destra. Gli angeli guardano verso lo spettatore, richiamando la sua attenzione, come se stessero spalancando un sipario proprio per lui.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Madonna del parto (1455-1465)

 

Piero della Francesca, Madonna del parto (dettaglio)

 

 

Resurrezione,
1450-1463, affresco, 225x200 cm, Museo Civico, Sansepolcro


Piero della Francesca, Resurrezione, 1450-1463, affresco, 225 x 250 cm, Museo Civico, Sansepolcro


La Resurrezione è un affresco (225 x 200cm), eseguito tra il 1450 e il 1463 per la sua città natale e conservato nel Museo Civico di Sansepolcro.
La scena è ambientata oltre un'immaginaria apertura, incorniciata da due colonne scanalate, un basamento (dove era presente un'iscrizione oggi quasi del tutto cancellata) e un architrave.
Mentre quattro soldati romani dormono, Cristo si leva dal sepolcro ridestandosi alla vita. La sua figura è al vertice di un triangolo immaginario, che va dalla base del sarcofago alla sua aureola, suggerito anche dalle linee di forza delle pose dei soldati. Cristo si erge solenne e ieratico, e la sua figura divide in due parti il paesaggio: quello a sinistra, invernale e morente; quello a destra, estivo e rigoglioso.
La Ressurezione è sicuramente una delle più grandi opere realizzate da Piero della Francesca per la sua città. Questo spiega l'abilità di Piero di usare elementi iconografici arcaici appartenenti alle immagini sacre popolari, inserendoli in un nuovo contesto culturale e stilistico. L'opera è suddivisa in due distinte zone prospettiche. La zona in basso con le guardie che dormono, ha un punto prospettico molto basso che potrebbe essere all'altezza degli occhi delle figure. In questo modo Piero rappresenta in prospettiva le guardie imponendo una monumentale solidità. Al di sopra delle guardie, Piero ha posto la figura del Cristo, perfettamente frontale. Il Cristo risorto è la perfetta rappresentazione dell'uomo ideale di Piero: concreto e sobrio. Lo splendido sfondo appartiene al repertorio delle immagini sacre popolari: per metà lo sfondo ha un carattere spoglio invernale e per l'altra metà di rinascita primaverile.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Resurrezione (1450-1463), Sansepolcro

 

Piero della Francesca, Resurrezione.
Nella figura del guardiano dormiente con la testa appoggiata al bordo del sarcofago si è voluto riconoscere tradizionalmente, il ritratto di Piero.

 

 

San Ludovico di Tolosa, 1460, affresco frammentario staccato, 123x90 cm, Museo Civico, Sansepolcro


San Ludovico di Tolosa, 1460, affresco frammentario staccato, 123x90 cm, Museo Civico, Sansepolcro

L’affresco San Ludovico di Tolosa faceva parte di un affresco staccato dalla parete dell’antico Palazzo Pretorio di Sansepolcro. Il santo ha in testa la mitria bianca papale, nella mano destra stringe il pastorale, nella sinistra un libro. La figura è volta leggermente a sinistra, con lo sguardo lontano. L’ovale geometrico del volto, i volumi plastici, i colori stesi con accurati chiaroscuri sono elementi propri della pittura di Piero della Francesca.

La figura con San Ludovico di Tolosa, conservata solo in parte, fu staccato nella seconda metà dell’Ottocento e successivamente collocato in questa sala del Museo Civico di Sansepolcro. Il Santo indossa l’abito francescano con sopra un piviale vescovile, ha in testa una mitra bianca con fregi dorati, impugna con la destra un pastorale e regge con la sinistra un libro. Un’iscrizione latina, perduta al momento dello stacco dell’affresco, informava che l’immagine era stata commissionata nel 1460 da Ludovico Acciaioli, governatore fiorentino a Sansepolcro. Il dipinto rivestiva così una valenza religiosa e civile in quanto intendeva omaggiare la figura di Ludovico Acciaioli che era riuscito a far ripristinare per Sansepolcro la carica di gonfaloniere di giustizia.
L’opera a causa delle sue cattive condizioni conservative ha sollevato dubbi sulla sua paternità pierfrancescana. L’ultimo restauro del 1998 ha però reso possibile un nuovo giudizio sull’affresco e, considerandone attentamente le peculiarità coloristiche e volumetriche, è risultato essere una creazione autografa di Piero della Francesca. Questa considerazione è avvalorata dal confronto stilistico con il San Ludovico della cappella Maggiore di San Francesco ad Arezzo; le due immagini hanno all’incirca le stesse dimensioni e si diversificano solo per alcuni dettagli del piviale e della mitra.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | San Ludovico di Tolosa, 1460

 

 

 
Polittico di Sant'Antonio, 1460-1470, tecnica mista su tavola, 338x230 cm, Galleria nazionale dell'Umbria, Perugia

Piero della Francesca, Polittico di Sant'Antonio, 1460-1470, tecnica mista su tavola, 338 x 230 cm, Galleria nazionale dell'Umbria, Perugia

L'opera, destinata al convento di Sant'Antonio di Perugia venne cominciata poco dopo il rientro da Roma, verso il 1460. Come il Polittico della Misericordia si tratta di un'opera di impostazione arcaica, sicuramente su richiesta dei committenti, con le figure principali dipinte su un prezioso fondo d'oro bulinato, con un motivo che imita le stoffe preziose, forse ispirato a modelli iberici che l'artista poteva aver visto durante il soggiorno romano. Decisamente moderno è invece il riquadro superiore dell'Annunciazione.

ra i molti lavori che, secondo Vasari, Piero dipinse a Perugia, lo storico descrive con grande ammirazione il polittico commissionato dalle suore del convento di Sant'Antonio da Padova. Questo complesso dipinto, oggi alla Pinacoteca Nazionale di Perugia, fu iniziato velocemente dopo il ritorno di Piero da Roma, ma non fu completato per diversi anni.
La parte centrale della composizione, La Madonna col Bambino e i santi Antonio, Giovanni Battista, Francesco ed Elisabetta, rivela nel suo sfondo damascato la conoscenza dell'artista degli orientamenti dei pittori spagnoli contemporanei, che Piero potrebbe avere avuto modo di conoscere a Roma. Il pannello si può così datare attorno al 1460. Il polittico è costituito inoltre da tre pannelli nella predella che mostrano Sant'Antonio da Padova che resuscita un bambino, le stigmate di San Francesco e Santa Elisabetta che salva un ragazzo caduto in un pozzo, e anche da due medaglioni posti tra il pannello principale e la predella. La qualità di questa predella è straordinaria: i valori spaziali e di luce, caratteristici di Piero, sono tutti presenti, su piccola scala, enfatizzando i bianchi muri degli interni, gli sprazzi di luce e le ombre profonde della scena notturna all'esterno. Queste scene, dove i corpi e anche le ombre acquistano completa tridimensionalità, divennero un esempio di predella che fu largamente seguito dagli artisti italiani della seconda metà del XV secolo, dal giovane Perugino a Bartolomeo della Gatta e, via Antonello da Messina, fino al napoletano Maestro di San Severino e Sossio. Pochi anni più tardi Piero completò il polittico: sopra le decorate e fondamentalmente gotiche cornici egli dipinse la sua straordinaria Annunciazione. La mancanza di unità compositiva con la parte centrale del polittico ha indotto alcuni studiosi a ipotizzare che Piero abbia semplicemente aggiunto questa Annunciazione molto più tardi. In realtà l'intero polittico possiede una unità strutturale; Piero semplicemente ha tagliato la parte superiore, che originariamente doveva essere rettangolare, trasformandola in una sorta di cornice a cuspide. Ancora una volta Piero riesce a superare i limiti imposti dal committente con gusto artistico tradizionale, dandoci uno dei più perfetti esempi dell'uso della prospettiva. Grazie anche all'uso dei colori ad olio, Piero della Francesca raggiunge uno straordinario dettaglio nella serie di capitelli che corrono verso il punto di fuga. Ciascun architrave, così come ciascuna colonna, proietta una sottile striscia di ombra nello splendido chiostro ad archi, che sembra superare ogni ispirazione derivata dall'architettura dell'Alberti.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Polittico di Sant'Antonio, 1460-1470

 

 

 
Nel corso degli anni sessanta e settanta Piero strinse dei rapporti particolarmente intensi con la splendida corte di Urbino e con il duca Federigo del Montefeltro, per il quale portò a termine alcune delle sue opere più celebri: il dittico con i ritratti dei duchi, Federigo e la moglie Battista Sforza (Firenze, Galleria degli Uffizi), la celebre Flagellazione (Urbino, Galleria Nazionale dell'Umbria), una vera e propria summa delle sue indagini sulla prospettiva, nonché la Sacra Conversazione per la chiesa di San Bernardino (Milano, Pinacoteca di Brera), con il celebre ritratto in armatura del duca Federigo (1472-74): un dipinto rivoluzionario che rompe con la tradizione medievale del polittico a scomparti per proporre il concentrato dialogo tra la Vergine e i Santi in uno spazio prospetticamente unitario e misurabile, in diretto rapporto con lo spettatore.

In questi dipinti dell'estrema maturità, cui si devono aggiungere almeno l'intima Madonna di Senigallia (Urbino, Galleria Nazionale dell'Umbria) e la poetica Natività di Londra (National Gallery), Piero rivela un interesse sempre più profondo per la coeva pittura di Fiandra, che si manifesta nella più complessa tessitura cromatica e nell'osservazione minuziosa della realtà, analiticamente indagata nella sua relazione con la luce.


Doppio ritratto dei Duchi di Urbino, sul verso Trionfo di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza, 1465-1472


Diptych Portrait of Battista Sforza and Federico da Montefeltro, Duke of Urbino (1472) Diptych Portrait of Battista Sforza and Federico da Montefeltro, Duke of Urbino (1472)
Doppio ritratto dei Duchi di Urbino, sul verso Trionfo di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza, 1465-1472 circa, olio su tavola, 47x33 cm ciascun pannello, Uffizi, Firenze


Molto famosi sono i Ritratti dei duchi d'Urbino di Piero della Francesca del 1465 circa, esemplare via di mezzo fra il realismo (soprattutto dei dettagli, come i gioielli, le acconciature, le rughe della pelle) e l'idealizzazione delle effigi dei duchi, con una grande attenzione anche ai paesaggi e alla prospettiva. L'uomo viene esaltato nella sua dignità e diventa soggetto pittorico. Sul retro delle due piccole tavole i duchi sono raffigurati ciascuno sul cocchio di rappresentanza. In questa coppia di ritratti vengono rappresentati il duca di Urbino, Federico da Montefeltro, e sua moglie, Battista Sforza. Sono due ritratti «all’italiana», secondo quella moda, tipicamente quattrocentesca, inaugurata dal Pisanello.
Una moda che si opponeva a quella dei fiamminghi che eseguivano i ritratti mettendo il volto a tre quarti. Questi ritratti sono un tipico esempio di arte rinascimentale. La loro immagine è realistica per la verosimiglianza dei dati fisionomici, ma molto idealizzata nella posa fissa e nello sguardo non rivolto a qualcosa in particolare. Sono la rappresentazione aulica e cerimoniale di due personaggi che vogliono rappresentare se stessi secondo canoni classici, ossia senza tempo. Le due figure si stagliano infatti su uno sfondo paesaggistico che dà ai ritratti una sensazione di incredibile profondità. Anche qui vi è la ricerca di spazialità, intesa non tanto come costruzione di prospettive geometriche, quanto di capacità di guardare in lontananza. Anche perché, in fondo, «prospettiva» significava soprattutto «guardare lontano». In questo caso la lontananza è creata prestando attenzione ai giusti valori atmosferici del cielo e dell’orizzonte, che prendono colorazioni che nel loro schiarirsi ci rendono il senso della lontananza.

Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Doppio ritratto dei Duchi di Urbino, 1465-1472

 

 

Pala di Brera, 1469-1474


Pala di Brera, 1469-1474, tecnica mista su tavola, 248x170 cm, Pinacoteca di Brera, Milano


La Pala di Brera (1472-74) di Piero della Francesca è un dipinto votivo già collocato sull'altare maggiore della Chiesa di San Bernardino ad Urbino. Il significato e i riferimenti a vicende della vita del donatore Federico II da Montefeltro non sono chiari, tuttavia nei sei santi intorno la Madonna gli studiosi hanno riconosciuto Giovanni Battista (a sinistra), Francesco(destra), Pietro martire e Andrea (destra). La Madonna tiene in braccio il Bambino e molto probabilmente è un'allusione alla moglie, morta per partorire (per questo il bambino). Dal soffitto cade un uovo, probabilmente di struzzo, che ci mostra come nulla sia tanto piccolo da non poter rientrare in una proporzione universale e ha valore apotropaico, ovvero allontana i flussi maligni come anche la collana di coralli al collo del Bambino. La luce è raccolta nel centro e trasmessa ovunque. I santi sono in semicerchio e la parete liscia separa le figure dallo spazio chiuso in penombra. Nel dipinto c'è un senso di maternità di casa. Ci sono riferimenti all'arte fiamminga, come il riflesso della corazza. Per finire poi la conchiglia, simbolo dell'amore divino.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Pala di Brera, 1469-1474

 

 

 
Flagellazione di Cristo, 1470 circa, tecnica mista su tavola, 58,4 x 81,5 cm, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino


La flagellazione di Urbino è stata realizzata tra il 1444 e il 1469, cioè fra l’interruzione dei dipinti di Arezzo. La scena si svolge all’interno di un’architettura classica e rinascimentale, con la scacchiera del pavimento e i cassettoni del soffitto che contribuiscono a dare l’impressione della profondità. Infatti, la tavoletta nonostante le su dimensioni ridotte, mostra grandi spazi grazie all’applicazione magistrale della prospettiva. La luce proviene da due punti differenti, da sinistra e da destra, e illumina anche il riquadro del soffitto sotto cui è collocato il Cristo. La forza straordinaria dell'arte di Piero sta propriamente nell'avere connaturato il colore, che in lui è immediatamente luce, con la forma, fino a fargli assumere valore plastico. Tutta la scena è bloccata e immobile e tale impressione è accentuata dall’uso di una luce chiara e diffusa che deriva dall’angelico ma non ha più alcun valore religioso. La composizione è molto equilibrata: all’ambiente chiuso di sinistra corrisponde a destra un ambiente aperto; agli uomini attorno a Cristo corrispondono quelli in primo piano che con molta probabilità sono il cardinale Bessarione, Buonconte da Montefeltro e Giovanni Bacci, caratterizzati da una gestualità “congelata”in una specie di vitalità sospesa. Lavorando a Urbino e Ferrara, Piero della Francesca diffonde i risultati della sua ricerca e allo stesso tempo entra in contatto con gli artisti fiamminghi attivi in quelle corti e da essi apprende le loro tecniche. [11]

Questo quadro, uno dei più famosi, venne realizzato da Piero durante la sua prima visita ad Urbino. Contiene dei sottili riferimenti alla situazione del tempo, difficile da comprendere oggi. Secondo la teoria più frequente, il quadro fu commissionato come tentativo per favorire la riconciliazione tra le due chiese Cristiane, di oriente ed occidente, in vista dell'imminente attacco Turco a Costantinopoli. Sia la presenza del personaggio al centro, vestito con abiti greci, che l'iscrizione nel frontale (convenerunt in unum), rafforzerebbe questa interpretazione. Dal punto di vista della composizione e prospettiva, la pittura è realizzata molto rigorosamente. La composizione sembra divisa in due scene separate dalla colonna del tempio in cui avviene la flagellazione del Cristo. Sulla destra ci sono tre persone poste a semicerchio, la cui identità non è certa. Probabilmente erano personaggi noti in quel tempo e sono stati dipinti nel loro reale aspetto.

L'importanza della struttura di questa pittura, con l'elegante tempio classico, potrebbe suggerire che Piero era in contatto con scrittori teoretici del tempo. Chi guarda la pittura si trova esattamente nel centro e può rivolgere lo sguardo ad un punto prospettico. La pittura è un massimo esempio della prospettiva lineare del Quattrocento. Sebbene Piero lavori in un unico spazio, non ha tralasciato il suo interesse per i particolari come il soffitto del tempio o la scultura di bronzo sulla colonna con i suoi splendidi riflessi di luce. Il magnifico vestito di damasco indossato dal personaggio all'estrema destra, con il contrasto tra il blu e l'oro, rivela le preferenze di Piero per gli abiti di lusso e di elevato stile, che diversi pittori fiorentini avevano eliminato dalle proprie opere.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Flagellazione di Cristo, 1470

 

 

 

Ercole, 1470 circa


Ercole, 1470 circa, affresco staccato, 151x126 cm, Isabella Stewart-Gardner Museum, Boston

L'Ercole è un affresco staccato (151x126 cm) di Piero della Francesca, databile a dopo il 1465 e conservato oggi all'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston. Si tratta dell'unico soggetto profano conosciuto nella produzione artistica del maestro di Sansepolcro.
L'affresco dell'Ercole venne trovato nella seconda metà del XIX secolo in una stanza di quella che era stata la casa della famiglia di Piero della Francesca a Sansepolcro, in via delle Aggiunte. Venne staccato, non senza subire pochi danni durante le fasi del distacco e del trasporto, e, approdato nel mercato antiquario, in particolare nelle mani del fiorentino Elia Volpi, venne acquistato da Isabella Stewart Gardner tramite Joseph Lindon Smith nel 1903.

È stata avanzata l'ipotesi, mai confermata, che l'affresco potesse fare parte di un ciclo di personaggi mitologici.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Ercole, 1470


Madonna di Senigallia, 1470-1485, olio su carta riportata su tavola, 61x53,5 cm, Galleria nazionale delle Marche, Urbino


Madonna di Senigallia, 1470-1485, olio su carta riportata su tavola, 61x53,5 cm, Galleria nazionale delle Marche, Urbino


La Madonna di Senigallia è un dipinto in apparenza tradizionale: il soggetto è molto comune e la destinazione privata e famigliare. Eppure questo capolavoro si presta a molte letture diverse e non sono ancora chiare le vicende storiche alle quali si lega. Fioccano le interpretazioni e le ipotesi. C'è chi ritiene che l'opera sia stata commissionata da Giovanna Feltria e Giovanni Della Rovere in occasione del loro matrimonio celebrato nel 1478. Per altri è stato invece un dono del padre Federico da Montefeltro alla figlia Giovanna, ma non un regalo di nozze quanto piuttosto un lascito in punto di morte. Per altri invece il dipinto fu voluto da Federico per rievocare la figura dell'amatissima moglie Battista Sforza dopo la sua scomparsa. Secondo questa tesi, autorevolmente sostenuta da Maria Grazia Ciardi Duprè dal Poggetto, il luogo dove Piero della Francesca ha collocato la Madonna di Senigallia è il Palazzo di Gubbio, dimora prediletta di Battista Sforza, come dimostrato dalle travature lignee della stanza retrostante.
"Sembrano, in Piero, i colori nascere per la prima volta come elementi di un'invenzione del mondo".
Così il grande critico d'arte Roberto Longhi provava a spiegare quel senso della luce che resta uno degli aspetti più affascinanti dell'esperienza artistica di Piero Della Francesca. Già durante il suo soggiorno a Firenze Piero apprende la grande lezione di Domenico Veneziano, vale a dire una pittura luminosa, chiara, tersa che costruisce le figure nella luce. Una luce diffusa, che nasce dall'impasto cromatico del colore. Non sovrapposta, ma armoniosamente integrata al disegno. Fu poi l'incontro con la cultura fiamminga, avvenuta durante la sua attività nelle Corti di Urbino e Ferrara, ad accrescere in lui la tecnica del colore. La pittura fiamminga è nota per aver portato in Italia l'uso della pittura ad olio, offrendo al pittore la possibilità di un controllo più raffinato della luce. Piero costruisce le immagini con il colore e costruisce il colore con la luce. L'ora delle sue meditazioni pittoriche è il mezzogiorno, quando la luce zenitale cancella le ombre della terra.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Madonna di Senigallia, 1470-1485

 

 

 

Natività, 1470-1485


Natività, 1470-1485, olio su tavola, 124x123 cm, National Gallery, Londra

Piero della Francesca fu un punto di riferimento per molti artisti rinacimentali e propone la Natività come una scena scarna e quasi inquietante, con il Bambino adagiato su di un drappo di velluto blu, mentre un coro di angeli non troppo felici cantano e suonano i liuti.

Tra le varie pitture di Piero troviamo la Natività. Il Bambino è situato per terra, su di un lembo del mantello di Maria, secondo la tradizionale iconografia nordica che si riflette anche nelle sembianze del Bambino. Altri elementi della cultura nordica possono essere trovati in pochi dettagli naturalistici, interpretati da Piero in un alto ed originale stile, come ad esempio la figura di San Giuseppe, seduto con indifferenza su di una sella, o i due animali nello sfondo, dipinti con grande realismo.

Da apprezzare la miniatura del panorama sullo sfondo a destra: perfino le strade e le finestre delle case sono visibili. Perfino la composizione della pittura è completamente innovativa rispetto alle precedenti. L'ampio spazio a terra cosparso di erba ed il tetto della capanna con l'ombra proiettata contro i mattoni rovinati, sembrano indicare un tentativo di Piero di frammentare lo spazio dell'opera, infrangendo la regola a cui aveva sempre tenuto fede. Il punto prospettico è leggermente sollevato e permette di vedere il panorama del fiume con gli alberi, i cespugli e le rocce. Gli aspetti legati ad una nuova composizione prospettica e ad un naturalismo sperimentale, devono essere visti come un segno del miglioramento dell'abilità di Piero ad aggiornare la sua arte alle ultime novità degli artisti fiorentini ed olandesi. Ma è anche chiaro che Piero era intenzionato ad abbandonare i principi di base di questa arte.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Natività, 1470-1485

All'ultima fase di Piero è attribuita la Natività, dove spicca l'impianto prospettico e l'amorevole cura dei dettagli. Alcuni critici ipotizzano che il volto della Madonna sia stato realizzato da altra mano "fiamminga".

A questo periodo è attribuita anche la Madonna col Bambino e quattro angeli del museo di Williamstown (Massachusetts).
L'opera non è universalmente accettata come del maestro, per via di un certo deficit qualitativo nella cromia e nella resa volumetrica che alcuni interpretano come lavoro della bottega o addirittura di un copista che usò varie "citazioni piefrancescane", mentre altri giustificano come opera tarda della vecchiaia dell'artista. La seconda tesi è in genere quella prevalente. Un'opera simile, dalla stessa cromia spenta, attribuita allo stesso periodo è la Natività della National Gallery di Londra.

La tavola fu uno dei primi acquisti d'arte di Robert Sterling Clark sul mercato antiquario parigino, nel 1914, prima di dirigere i suoi interessi collezionistici verso l'impressionismo.


Madonna col Bambino e quattro angeli, 1475-1482


Madonna col Bambino e quattro angeli, 1475-1482, tecnica mista su tavola, 107,8x78,4 cm, Clark Art Institute, Williamstown (Massachusetts)


Maria è seduta su una sedia rinascimentale di tipo pieghevole, posta su di uno zoccolo marmoreo decorato da rosette. In braccio tiene il robusto Bambino, che sporge le mani verso una rosa bianca, simbolo di purezza, che la Vergine tiene nella mano destra.
Attorno a loro sono disposti quattro angeli a semicerchio, solidi come colonne, con vesti diverse ma fisicamente simili, che riprendono in alcuni casi le fisionomie tipiche degli angeli di Piero, presenti con gli stessi tratti somatici ad esempio nella Pala Montefeltro o nella Madonna di Senigallia. Particolare attenzione desta l'angelo sulla destra, vestito di una tunica rossa vaporosamente piegata in vita, che guarda verso lo spettatore e lo invita, con un gesto della mano destra, a concentrarsi sulla scena sacra al centro.
Lo sfondo architettonico è un armonioso loggiato architravato di stampo classico con ghirlande appese, che crea effetti di profondità grazie alla scansione di piani più in ombra man mano che ci si addentra. I rapporti tra figure e architettura sono estremamente equilibrati e seguono una concezione rigorosamente proporzionale.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Madonna col Bambino e quattro angeli, 1475-1482


A questo periodo è attribuita anche la Madonna col Bambino e quattro angeli del museo di Williamstown (Massachusetts).
In questi anni urbinati, stimolato dall'ambiente intellettuale della corte, Piero si dedicò anche alla stesura di alcuni trattati teorici, intesi a ricondurre alla essenziale e misurabile regolarità delle forme geometriche l'infinità varietà degli oggetti naturali. Sono giunti sino a noi il Trattato dell'Abaco, una sorta di manuale di matematica elementare come quelli in uso nelle scuole d'abaco; il Libellus de quinque corporibus regularibus, dedicato a Guidobaldo duca di Urbino e pubblicato da Luca Pacioli dopo la morte dell'artista come opera propria; infine la fatica maggiore, il De prospectiva pingendi, trattato ricco di disegni e inteso come guida pratica alla prospettiva.

Divenuto cieco nei suoi anni estremi, Piero della Francesca si spense a Borgo San Sepolcro il 12 ottobre del 1492.

 
   


[1] Zuffi, cit. pag. 328.
[2] Lankowski, cit., pag. 6
[3] Mille Anni di Scienza in Italia
[4] Vasari dopotutto non era nuovo ad errori del genere, dovendo purtroppo affidare la sua ricerca sui secoli precedenti anche a fonti orali non confermabili. Per esempio scrisse, restando nel campo dell'arte quattrocentesca, che Andrea del Castagno era stato responsabile dell'omicidio di Domenico Veneziano, nonostante oggi si sappia che il secondo sopravvisse almeno quattro anni al primo.
[5] Banker, cit. pp. 16-21.
[6] Lankowski, cit., pag. 116.
[7] Secondo la testimonianza di Alessandro Maggiori.
[8] Nel testo Vasari si sbaglia, nominandolo Guidobaldo, ma precisa che si tratta del "duca vecchio di Urbino".
[9] Daniele Radini Tedeschi in Piero della Francesca 2005 e Arsenico su tela 2007.
[10] Enrico Gamba e Vico Montembelli, Piero della Francesca matematico, pubbl. su Le Scienze (American Scientific), n. 331, marzo 1996, pagg. 70-
[11] 'Negli anni '70 la storica dell'arte Marilyn Aronberg Lavin della Università di Princeton, ha identificato nella scena del loggiato Ponzio Pilato seduto sul trono e Erode di spalle, per analogia con altre numerose rappresentazioni della Flagellazione che dovevano essere note a Piero. Le figure in primo piano sarebbero: a destra Ludovico Gonzaga, marchese di Mantova ed a sinistra il suo intimo amico, l'astrologo Ottavio Ubaldini della Carda che viveva presso il palazzo ducale di Urbino e viene identificato dalle decorazioni di cardo sulla ricca veste. Secondo quanto riportato dalle cronache La Flagellazione, oggi collocata nel Palazzo Ducale di Urbino, possedeva originariamente una cornice sui cui era inciso Convenerunt in Unum (si riunirono insieme), una citazione dal Salmo II che fa parte del servizio del Venerdi' santo. All'epoca del dipinto sia Ottavio che Ludovico avevano appena subito la perdita di un figlio e la figura al centro ne rappresentebbe appunto il ritratto congiunto. La scena si articolerebbe dunque come un parallelo tra il lutto dei due personaggi e la passione di Cristo e questo spiegherebbe l'iscrizione sulla cornice. Secondo la Lavin il dipinto sarebbe stato commissionato da Ottavio per la sua cappella privata, denominata Del Perdono, collocata nel Palazzo Ducale di Urbino e nella quale si trova un altare di dimensioni compatibili con La Flagellazione. Immaginando di collocare il dipinto sull'altare, la prospettiva apparirebbe perfettamente strutturata per il punto di vista di un osservatore inginocchiato di fronte ad esso. Oltre alla precedente, le interpretazioni più interessanti sono quelle della bizantinista Silvia Ronchey e dello storico Carlo Ginzburg che inquadrano la scena nel quadro storico-politico dell'epoca. Agli inizi del XV secolo la chiesa cattolica romana e quella orientale erano divise a proposito dei rapporti interni alla Trinità. Un fallito tentativo di riconciliazione delle due diverse posizioni teologiche era stato messo in atto nel Concilio di Ferrara e Firenze del 1438 - 1439, aperto dal Arcivescovo di Nicea Giovanni Bessarione. La Ronchey individua nella figura con il turbante non Erode ma bensì il Sultano turco Maometto II, mentre Ponzio Pilato celerebbe l'Imperatore bizantino Ioannes VIII Paleologo, identificato dalla porpora delle calzature e del cappello, privilegio riservato agli Imperatori d'Oriente. Le tre figure in primo piano rappresenterebbero lo stesso Bessarione, il fratello dell'Imperatore bizantino Tommaso Paleologo, e Niccolò III d'Este duca di Ferrara, città nella quale si teneva il concilio. Il cardinale Bessarione tentò in seguito di promuovere una crociata per la liberazione di Costantinopoli, caduta sotto l'assedio degli Ottomani nel 1453. Tale ipotesi fu discussa nel successivo Concilio di Mantova e, secondo Carlo Ginzburg, il dipinto rappresenterebbe l'invito rivolto a Federico da Montefeltro a partecipare alla crociata antiturca dallo stesso Bessarione e dall'umanista Giovanni Bacci. La figura angelica al centro corrsiponderebbe a Bonconte II da Montefeltro, giovane protetto del Cardinale morto per malattia in giovane età.' [Piero della Francesca: La Flagellazione, di Marilyn Aronberg Lavin]


Siena

Arezzo

 

Massa Marittima


Dizionario Biografico degli Italiani | Piero della Francesca di R. Lightbown

Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Piero della Francesca

Art in Tuscany | Giorgio Vasari's Lives of the Artists | Piero della Francesca

Birgit Laskowski, Piero della Francesca, collana Maestri dell'arte italiana, Gribaudo, Milano 2007. ISBN 978-3-8331-3757-0

Marilyn Aronberg Lavin, Piero della Francesca | La Flagellazione

Attilio Brilli, Borgo San Sepolcro. Viaggio nella città di Piero, Città di Castello, Tibergraph Editrice, 1988.

Piero della Francesca | The Hidden Landscapes of Piero Della Francesca in Le Marche and the Montefeltro area

Luca Madrignani (21-10-2007). Insurrezione e lotta armata a Sansepolcro. Patria Indipendente: pp. 25-27

Il Museo di Piero della Francesca sorge nell’antico Palazzo della Residenza di Sansepolcro, uno dei più rappresentativi di tutta la Toscana. All’interno, su una parete della Sala dei Conservatori, fu affrescata intorno al 1460, più o meno in contemporanea con l’altrettanto famosa Madonna del parto di Monterchi, la celebre Resurrezione, opera, a ragione, definita dallo scrittore inglese Aldous Huxley “la più bella pittura del mondo”. Proprio da questa illustre presenza scaturì, già nel Cinquecento, l’idea di riunire in questa stanza un gruppo di opere d’arte realizzando così la prima collezione artistica cittadina. Questo stesso ambiente oggi, accanto al celebre affresco, conserva le altre opere che Piero eseguì per la sua città natale alla quale rimase sempre legato.
Museo Civico, Via Niccolò Aggiunti, 65, 52037 Sansepolcro Arezzo | www.museocivicosansepolcro.it

Piero della Francesca. De prospectiva pingendi (sec. XV) | Nel trattato, composto presumibilmente tra il 1472 e il 1475, Piero della Francesca propone una serie di problemi di riduzione prospettica, dai più semplici ai più complessi, in modo da introdurre gradatamente alle tecniche della prospettiva con esercizi pratici. Posto il quesito, si passa alla costruzione della prospettiva con disegni geometrici ed illustrazioni.
L’opera è la più nota ed importante tra quelle composte dal grande artista che scrisse anche un Libellus de quinque corporibus regolaribus ed un Trattato d’abaco. Complessivamente si conoscono sette manoscritti quattro-cinquecenteschi che ci tramandano l’opera, sia nella versione in volgare che nella traduzione latina curata da Matteo di Pietro Anghiari e rivista dallo stesso Piero.
Di questi solo tre sono riconosciuti come totalmente o parzialmente autografi ed uno di questi è il codice reggiano, in cui risultano autografi i disegni, due intere pagine e le più di sessanta annotazioni marginali, oltre alle correzioni.
Le oltre cento figure sono tracciate da Piero con un tocco leggero, espertissimo, servendosi di una penna talmente temperata da lasciare sulla carta solo un sottilissimo segno di inchiostro bruno.
Biblioteca Digitale Reggiana la Biblioteca Panizzi | SFOGLIA IL MANOSCRITTO

Manoscritto del De prospectiva pingendi
(Biblioteca "Antonio Panizzi", Reggio Emilia)



Bibliografia

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J. R. Banker, Piero della Francesca as Assistant to Antonio d'Anghiari in the 1430s: Some Unpublished Documents, in «The Burlington Magazine», CXXXV, 1993
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J. M. Wood (a cura di), The Cambridge companion to Piero della Francesca, Cambridge University Press, Cambridge-New York 2002.
M. Aronberg Lavin, Piero della Francesca, Phaidon, New York 2002.
J. R. Banker, The culture of San Sepolcro during the youth of Piero della Francesca, University of Michigan Press, Ann Arbor 2003.
J. V. Field, Piero Della Francesca: a mathematician's art, Yale University Press, New Haven 2005.
Carlo Bertelli e Antonio Paolucci (a cura di), Piero della Francesca e le corti italiane, catalogo della mostra (Arezzo 2007), Skira, Milano 2007
Birgit Laskowski, Piero della Francesca, collana Maestri dell'arte italiana, Gribaudo, Milano 2007. ISBN 978-3-8331-3757-0
Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999. ISBN 88-451-7212-0
Pierpaolo Tofanelli, La Natività, Pagine Nuove di Storia dell'Arte e dell'Architettura N. 4, Firenze, 2010. ISBN 978-88-95450-22-3
Stefano Zuffi, Il Quattrocento, Electa, Milano 2004. ISBN 88-370-2315-4
Matteo Mazzalupi, "Uno se parte dal Borgo ... e va ad Ancona": Piero della Francesca nel 1450, in "Nuovi studi. Rivista di arte antica e moderna", 11, 2006 (2007), pp. 37–54.

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