Piero della Francesca

Giorgio Vasari | Le vite | Piero della Francesca


Opere in ordine cronologico


Polittico della Misericordia

Battesimo di Cristo

San Girolamo penitente


San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi,


Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo

Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta,

Storie della Vera Croce
       Morte di Adamo
       Adorazione del sacro legno e incontro di Salomone con        la Regina di Saba
       Sollevamento del legno della Croce
       Annunciazione
       Vittoria di Costantino su Massenzio
       Tortura dell'ebreo
       Ritrovamento e verifica della vera Croce
       Battaglia di Eraclio e Cosroè
       Profeta Geremia
       Angelo

Maria Maddalena

Polittico di Sant'Agostino


San Giuliano

Madonna del parto

Resurrezione

San Ludovico di Tolosa

Polittico di Sant'Antonio

Doppio ritratto dei Duchi di Urbino, sul verso Trionfo di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza

Pala di Brera

Flagellazione di Cristo

Ercole

Madonna di Senigallia

Natività

Madonna col Bambino e quattro angeli






 





 
Arte in Toscana
             
 
Piero della Francesca, San Girolamo penitente (dettaglio), 1450, tempera su tavola, Gemäldegalerie, Berlino
 
       
   

Piero della Francesca | San Girolamo penitente (1450)


   
   
San Girolamo penitente è un'opera, tempera su tavola di castagno (51x38 cm), di Piero della Francesca, datata 1450 e conservata nella Gemäldegalerie di Berlino.[1]


Storia


L'opera è una delle pochissime di Piero della Francesca, infatti sul piccolo cartiglio in basso a destra si legge "PETRI D[E] BURGO [SAN SEPOLCRO] OPUS MCCCCL. L'autografia del dipinto è stata riconosciuta comunque solo nel 1968, in seguito a un restauro che eliminò una vecchia ridipintura, che stravolgeva l'opera pierfrancescana. Tra gli anni quaranta e cinquanta Pietro aveva intrapreso numerosi viaggi (Urbino, Ferrara e forse Bologna) e può darsi che la tavola sia stata dipinta durante uno di questi soggiorni, commissionata per la devozione privata.[2]
Recentemente infatti è statao scoperto un documento che testimonia la presenza di Piero ad Ancona il 18 marzo 1450, come testimone a un testamento in casa dei conti Ferretti, dove è segnalato tra i "cittadini ed abitanti di Ancona", quindi non di passaggio. Dalla tavoletta deriva anche palesemente un'altra opera anconetana, la lunetta di analogo soggetto di Nicola di Maestro Antonio d'Ancona, oggi alla Galleria Sabauda di Torino e facente forse parte del coronamento della Madonna in trono col Bambino e santi al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh[1], proveniente dalla cappella Ferretti nella chiesa di San Francesco alle Scale ad Ancona.[3]

Gli alberi si riflettono nell'acqua limpidissima di un rivo, che attraversa la scena percorrendo con Ie sue curve il prato di un verde smeraldo, di cui si coglie la freschezza anche se il colore è fortemente abraso. Domina la scena un grande albero che è in tutto simile a quello del Battesimo ed a quelli che Piero renderà quasi protagonisti, alla pari coi personaggi umani, sulle pareti di San Francesco ad Arezzo. Gli alberi più piccoli, in lontananza, hanno una precisa funzione prospettica.
Accanto a San Gerolamo vi è il piccolo leone ridotto ad una massa marrone priva di
modellato: se ne leggono solo i contorni e la coda sottile.
 

 


Piero della Francesca, San Girolamo penitente (dettaglio), 1450, tempera su tavola, Gemäldegalerie, Berlino

San Gerolamo era un erudito vissuto tra il 347 e 420, che ebbe soprattutto il merito di tradurre dall’ebraico l’Antico Testamento e di averci lasciato numerosi altri scritti di soggetto religioso. Per questo viene qui ritratto in uno studio, intento a leggere un libro. San Gerolamo visse anche un periodo da asceta nel deserto, e qui, secondo la leggenda, incontrò un leone al quale si era conficcata una spina nella zampa. San Gerolamo gliela estrasse, e per questo motivo il leone gli divenne fedele, seguendolo ovunque. Il leone divenne quindi, nell’iconografia del santo, un elemento costante nella sua rappresentazione pittorica.

Descrizione e stile


La tavola fonde le due rappresentazioni tradizionali di san Girolamo in una sola: la prima è quella del "penitente", che vede il santo come eremita nel deserto, vestito di stracci e con in mano un sasso per percuotersi il petto e il rosario per la preghiera, oltre al cappello cardinalizio gettato in terra ed al leone ammansito (al quale il santo aveva tolto una spina dalla zampa, facendoselo amico); la seconda è quella del "san Girolamo nello studio", diffusa soprattutto nella pittura nordica, al quale Piero allude con la nicchia nella roccia con i libri, che ricordano la sua attività erudita di traduttore della Bibbia dall'ebraico e dal greco in latino (la Vulgata). La prima versione era legata soprattutto alla devozione popolare come modello di rinuncia ai beni terreni, mentre nella seconda veste Girolamo era il prototipo del dotto umanista.

Il santo è raffigurato mentre guarda verso una semplice croce di legno (oggi poco distinguibile per l'appiattimento dei colori a causa della conservazione cattiva), che è appesa al tronco di un albero sull'estremo bordo destro.

La scena è ambientata in una vasto paesaggio che occupa circa tre quarti della tavola. A differenza dell'iconografia tradizionale non si tratta di un deserto, ma di una piana alberata ai piedi della colline, nella quale si vede anche un edificio e un fiume scorre sinuoso, riflettendo gli alberi come uno specchio.


Stile

L'opera, sebbene di dimensioni piccole e in uno stato di conservazione non ottimale, mostra diverse caratteristiche tipiche dell'arte di Piero. La colorazione delicata potrebbe essere causata dalle condizioni della tavola, ma vi si possono cogliere comunque notazioni legate alla realistica rappresentazione di una scena all'aperto. Le nuvole hanno quella consistenza solida, come cilindri sospesi in aria, che si incontrano di continuo nell'opera di Piero.

I colori hanno una funzione anche di definizione spaziale, tipica dell'artista e ancora più evidente in opere successive, maggiormente influenzate dalla pittura fiamminga: le forme più lontane sono infatti leggermente più chiare e i toni bruni riappaiono ritmicamente indicando allo sguardo dello spettatore la scansione spaziale.

Una prova di un contatto già avvenuto coi fiamminghi è la piccola natura morta dei libri, trattati con estrema precisione nei dettagli e con un'attenzione ai riflessi luminosi, per quell'epoca, che si spiega solo con la conoscenza di artisti nordici, magari Rogier van der Weyden, che pure nel 1450 soggiornò a Ferrara. In questo Piero fu un artista d'avanguardia e le sue ricerche hanno un parallelo solo con i pittori genovesi e napoletani che avevano rapporti privilegiati con le Fiandre, come Donato de' Bardi o Colantonio.


   
   


Piero della Francesca, San Girolamo penitente (dettaglio), 1450, tempera su tavola, Gemäldegalerie, Berlino


Esiste un'altra tavola di dimensioni simili su san Girolamo, il San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi, conservata alle Gallerie dell'Accademia di Venezia e databile nello stesso periodo (1440-1450 circa).
In entrambe si registra un interesse per il paesaggio e per la fine resa dei dettagli, nelle variazioni di materiale e di "lustro" (cioè di riflessi di luce), che possono essere spiegati solo attraverso una conoscenza diretta della pittura fiamminga.

Anche nella tavola di Venezia che rappresenta un San Gerolamo con un devoto figura un'iscrizione: PETRl DE BU(R)GO S(AN)C(T)I SEP/ULCRI OP{US, e a destra in basso, sul terreno davanti devoto inginocchiato, HIER.AMADI.AUG.F.
II dipinto è a Venezia almeno dagli inizi dell'Ottocento, facendo parte de Collezione Renier.
Poiché il cognome Amadi appartiene ad una famiglia veneziana vissuta tra il Quattrocento ed il Cinquecento, il Longhi pensò che intorno al 1450, in occasione dei suoi viaggi tra Rimini e Ferrara, Piero sia stato anche a Venezia e qui abbia avuto la commissione di questo dipinto. Ma la cosa è molto dubbia, poiché è possibile invece che l'iscrizione sia stata apposta quando la tavola entrò in possesso della famiglia Amadi.
D'altra parte una committenza veneziana mal si concilierebbe da una parte con la veduta di Sansepolcro che domina l'orizzonte, dall'altra con il personaggio del devoto-committente in ginocchio che da molti, è stato identificato con la figura dell'orante sotto il manto della Madonna della Misericordia di Sansepolcro.
Questo devote in abito rosso, di dimensioni quasi superiori a quelle del San Gerolamo a cui sta di fronte in ginocchio, è quanto di più legato ai modelli fiamminghi che Piero abbia mai dipinto.

I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi

 
Piero della Francesca, San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi
 
   

Piero della Francesca | Opere


Lista di opere (dipinti su tavola e affreschi) in ordine cronologico
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* Madonna col Bambino, 1440 circa, tempera su tavola, 53x41 cm, collezione privata, Italia
* Polittico della Misericordia, 1444-1465, tecnica mista su tavola, 273x330 cm, Museo Civico, Sansepolcro
* Battesimo di Cristo, 1440-1460 (datazione incerta), tempera su tavola, 167x116 cm, National Gallery, Londra
* San Girolamo penitente, 1450, tempera su tavola, 51x38 cm, Gemäldegalerie, Berlino
* San Girolamo e il donatore Girolamo Amadi, 1450 circa, tempera su tavola, 49x42 cm, Gallerie dell'Accademia, Venezia
* Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo, 1451, affresco, 257x345 cm, Tempio Malatestiano, Rimini
* Ritratto di Sigismondo Pandolfo Malatesta, 1451-1460, tecnica mista su tavola, 44,5x34,5 cm, Louvre, Parigi
* Storie della Vera Croce, 1452-1466, affreschi, Basilica di San Francesco, Arezzo
       Morte di Adamo, 390x747 cm
       Adorazione del sacro legno e incontro di Salomone con la Regina di Saba, 336x747 cm
       Sollevamento del legno della Croce (esecuzione di Giovanni da Piamonte), 356x190 cm
       Annunciazione, 329x193 cm
       Vittoria di Costantino su Massenzio, 322x764 cm
       Tortura dell'ebreo (con Giovanni da Piamonte), 356x193 cm
       Ritrovamento e verifica della vera Croce, 356x747 cm
       Battaglia di Eraclio e Cosroè, 329x747 cm
       Eraclio riporta la Vera Croce a Gerusalemme, 390x747 cm
       Profeta Ezechiele (esecuzione di Giovanni da Piamonte), base 193 cm
       Profeta Geremia, 245x165 cm
       Angelo, frammento, base 70 cm
       Cupido, base 70 cm
* Polittico di Sant'Agostino, 1454-1469, tecnica mista su tavola, smembrato e parzialmente disperso
       Sant'Agostino, 133x60 cm, Museu Nacional de Arte Antiga, Lisbona
       San Michele Arcangelo, 133x59,5 cm, National Gallery, Londra
       San Giovanni Evangelista, 131,5x57,8 cm, Frick Collection, New York
       San Nicola da Tolentino, 136x59 cm, Museo Poldi Pezzoli, Milano
       Santa Monica, 39x28 cm, Frick Collection, New York
       Santo agostiniano, 39x28 cm, Frick Collection, New York
       Sant'Apollonia, 39x28 cm, National Gallery of Art, Washington
       Crocifissione, 37,50x41 cm, Frick Collection, New York
* San Giuliano, 1454-1458, affresco frammentario staccato, 130x80 cm, Museo Civico, Sansepolcro
* Maria Maddalena, 1460-1466, affresco, 190x105 cm, Duomo, Arezzo
* Madonna del parto, 1455-1465, affresco staccato, 260x203 cm, Museo della Madonna del Parto, Monterchi
* Resurrezione, 1450-1463, affresco, 225x200 cm, Museo Civico, Sansepolcro
* San Ludovico di Tolosa, 1460, affresco frammentario staccato, 123x90 cm, Museo Civico, Sansepolcro
* Polittico di Sant'Antonio, 1460-1470, tecnica mista su tavola, 338x230 cm, Galleria nazionale dell'Umbria, Perugia
* Doppio ritratto dei Duchi di Urbino, sul verso Trionfo di Federico da Montefeltro e di Battista Sforza, 1465-1472 circa, olio su tavola, 47x33 cm ciascun pannello, Uffizi, Firenze
* Pala di Brera, 1469-1474, tecnica mista su tavola, 248x170 cm, Pinacoteca di Brera, Milano
* Flagellazione di Cristo, 1470 circa, tecnica mista su tavola, 58,4x81,5 cm, Galleria Nazionale delle Marche, Urbino
* Ercole, 1470 circa, affresco staccato, 151x126 cm, Isabella Stewart-Gardner Museum, Boston
* Madonna di Senigallia, 1470-1485, olio su carta riportata su tavola, 61x53,5 cm, Galleria nazionale delle Marche, Urbino
* Natività, 1470-1485, olio su tavola, 124x123 cm, National Gallery, Londra
* Madonna col Bambino e quattro angeli, 1475-1482, tecnica mista su tavola, 107,8x78,4 cm, Clark Art Institute, Williamstown (Massachusetts)

[1] Piero della Francesca | Biografia di Piero della Francesca
[2] La scritta "PETRI DE BVRGO OPVS MCCCCL", posta nel cartiglio – in basso sulla destra – è apparsa dopo una ripulitura. Sulla composizione in esame, soltanto nel 1924 vi fu la prima proposta (Bode, "JPK) alla piena autografia di Piero della Francesca, la quale venne accolta quasi all'unanimità dalla critica ufficiale, salvo qualche studioso, tra i quali il Toesca che la considerava "debolissima".
Poco più tardi, nel 1932, si pronunciava il Berenson, assegnando all'artista la sola stesura del Santo. Anche il Longhi (1942) ipotizzava autografa la figura del San Gerolamo, ma, in più, vedeva la mano dell'artista nella struttura compositiva, nonostante assegnasse ad altri pittori (fine Quattrocento) la stesura di molte zone, escluse la roccia con la nicchia, il panchetto dei volumi, il leone (sulla sinistra) ed il calamaio, gli alberelli sullo sfondo e la strada. Infine lo stesso Longhi, nel 1962, sollevò delle perplessità anche riguardo la scritta sul cartiglio.
[3] La chiesa sorge all'apice di una scalinata in Piazza San Francesco. Fondata nel 1323 dai Francescani, fu in origine dedicata a Santa Maria Maggiore e soltanto verso la metà del XV secolo assunse la denominazione che la contraddistingue ancora oggi. Nel 1454, Giorgio Orsini da Sebenico realizzò sulla facciata il portale presente ancora oggi, ispirato all'impianto architettonico gotico fiorito della Porta della Carta del Palazzo Ducale di Venezia. Nel XVIII secolo venne sopraelevata ed ingrandita ad opera dell'arch. Francesco Maria Ciaraffoni, che ricostruì anche il convento annesso con i due chiostri. Adibito il complesso chiesa-convento a civico ospedale dopo la parentesi napoleonica e civico museo dopo gli anni venti del secolo scorso, venne restaurata e riaperta al culto nel 1953. Il campanile venne ricostruito negli anni immediatamente successivi in forme vagamente rieccheggianti quello settecentesco crollato in un bombardamento nel 1944.


Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Piero della Francesca
Art in Tuscany | Giorgio Vasari's Lives of the Artists | Piero della Francesca

Birgit Laskowski, Piero della Francesca, collana Maestri dell'arte italiana, Gribaudo, Milano 2007.

Attilio Brilli, Borgo San Sepolcro. Viaggio nella città di Piero, Città di Castello, Tibergraph Editrice, 1988.

Luca Madrignani (21-10-2007). Insurrezione e lotta armata a Sansepolcro. Patria Indipendente: pp. 25-27

Keith Christiansen, Un San Girolamo di Matteo di Giovanni dal polittico senese di San Pietro a Ovile, Fondazione Piero della Francesca, Museo Civico di Sansepolcro, Città di Castello 1998.

Anna Maria Maetzke, Piero della Francesca, (fotografie di Alessandro Benci), Silvana Editoriale, Milano, 1998.


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Biografia di Piero della Francesca

Piero della Francesca è senza dubbio uno dei più grandi pittori italiani del Quattrocento. La sua pittura spaziosa, monumentale e impassibilmente razionale è senza dubbio uno dei raggiungimenti più alti degli ideali artistici del primo Rinascimento, un'età in cui arte e scienza erano unite da vincoli profondi. Come Leonardo da Vinci, nato due generazioni dopo di lui, Piero fu un grande sperimentatore: grande maestro dell'affresco, tecnica nella quale eccelse, fu interessato soprattutto all'applicazione delle regole recentemente riscoperte della prospettiva alla pittura narrativa e devozionale: l'assoluto rigore matematico delle sue creazioni contribuisce ad esaltare la qualità astratta ed iconica della sua pittura, conferendo ai suoi capolavori una potente valenza sacrale.
«Monarca della pittura» ai suoi tempi - come lo dichiarò il concittadino Luca Pacioli (1494) -, poco dopo la morte la sua opera venne ben presto dimenticata, se si eccettuano il profilo che gli dedicò Giorgio Vasari nelle due edizioni delle sue Vite (1550; 1568) e i ricordi per la sua attività di teorico della prospettiva contenuti in alcuni trattati cinquecenteschi di architettura. La grande stagione della «maniera moderna» con i suoi protagonisti - Leonardo, Raffaello e Michelangelo - fece d'un tratto apparire ad artisti, committenti e collezionisti di un gusto ormai superato tutti i capolavori dei grandi maestri del Quattrocento. Si dovette attendere la riscoperta sette e ottocentesca dei «pre-raffaelliti» perché amatori e storici dell'arte ritornassero a guardare e ad apprezzare le opere del maestro di Sansepolcro: ma sono stati soprattutto gli studi novecenteschi a far riacquistare a Piero della Francesca quel ruolo di primo piano che gli compete nello sviluppo della pittura italiana moderna.

Piero nacque intorno al 1415 a Borgo San Sepolcro: il padre, Benedetto, era mercante di cuoiami e di lane, mentre la madre, Romana di Perino, era originaria del vicino borgo di Monterchi. Sansepolcro era allora un fiorente centro strategicamente collocato all'incrocio tra Toscana, Marche ed Umbria: passato dalla signoria dei Malatesta al controllo dello Stato della Chiesa nel 1431, papa Eugenio IV lo cedette, poco dopo la battaglia di Anghiari (29 giugno 1440), al Comune di Firenze per 25.000 fiorini (20 marzo 1441). Nella città dell'alta val tiberina Piero dovette fare il suo primissimo apprendistato pittorico, insieme al poco conosciuto Antonio d'Anghiari: ma le sue prime opere note manifestano una profonda comprensione dell'arte fiorentina del primo Quattrocento, in particolare della pittura chiara, luminosa e prospettica di Domenico Veneziano. A fianco di questo artista Piero è infatti documentato nel 1439 nel capoluogo toscano, come aiuto per l'esecuzione degli affreschi con le Storie della Vergine per il Coro della chiesa di Sant'Egidio. Anche i capolavori di Donatello e Masaccio dovettero lasciare sul giovane pittore una traccia profonda e indelebile. I riflessi più immediati di questa educazione artistica si ritrovano in una delle opere più antiche di Piero che ci sia pervenuta, il Battesimo di Cristo (Londra, National Gallery), proveniente da Sansepolcro e acquisito dal museo inglese poco dopo la metà del secolo scorso.

A partire dal quinto decennio del Quattrocento la carriera di Piero si svolse alternando soggiorni presso le principali corti dell'Italia centro-settentrionale e nella città natale. Nella seconda metà degli anni quaranta dovrebbe collocarsi la sua attività a Ferrara, dove lavorò per il marchese Leonello d'Este, uno dei più raffinati mecenati del Rinascimento: purtroppo interamente perduti sono gli affreschi che Piero eseguì lì nel Castello estense e nella chiesa di Sant'Agostino. Datato 1451 è invece l'affresco raffigurante Sigismondo Pandolfo Malatesta in adorazione di San Sigismondo all'interno del Tempio Malatestiano di Rimini, rinnovato in forme rinascimentali da Leon Battista Alberti; più tardi Piero replicò il ritratto di profilo del condottiero malatestiano nella tavola oggi al Louvre, concordemente assegnatagli dopo la pulitura e le analisi del 1977. È probabile che nella città romagnola il pittore biturgense abbia stretto delle relazioni proprio con l'Alberti, che dovette incoraggiarlo a perseguire la sua indagine appassionata sulle leggi prospettiche e proporzionali.
Frattanto, nel 1445, i suoi concittadini gli avevano commissionato il grande Polittico della Misericordia (Sansepolcro, Museo Civico), al quale l'artista lavorerà in modo discontinuo, per consegnarlo dopo tante insistenze solo nel 1462: il vigoroso impianto plastico delle figure - di ascendenza masaccesca - è messo in risalto dal rigore astratto della composizione e dal valore luminoso ed atmosferico attribuito persino all'arcaico fondo d'oro. Le scene della predella, probabilmente ideate da Piero, vennero eseguite dal monaco camaldolese fiorentino Giuliano Amedei.

Nel 1452, alla morte del pittore fiorentino ultratradizionalista Bicci di Lorenzo, Piero accettò l'incarico di proseguirne il lavoro nella grande cappella absidale della chiesa di San Francesco ad Arezzo, su commissione della famiglia Bacci. Le Storie della Vera Croce, affrescate in tre registri sovraspposti sulle alte pareti, lo occuperanno in una prima fase fino alla fine degli anni cinquanta, quando Piero si trasferì temporaneamente a Roma (1459), invitato dal papa umanista Pio II Piccolomini per dipingere a fresco alcune scene nei palazzi vaticani, distrutte cinquant'anni più tardi per far posto agli affreschi di Raffaello nelle celebri Stanze. Il ciclo di Arezzo, certamente terminato entro il 1465 dopo il rientro dalla città pontificia, rimane così come una fulgida testimonianza dell'arte di Piero della Francesca nella fase centrale della sua attività ed uno dei maggiori cicli di pittura murale nell'Italia del Quattrocento.

Sin dal 1454 un'altra prestigiosa commissione gli era giunta dai propri concittadini, l'esecuzione del Polittico destinato all'altar maggiore della chiesa degli Agostiniani: ancora una volta il lavoro si protrasse a lungo e il grande dipinto, smembrato già nel Cinquecento, fu consegnato solo negli anni sessanta. Perduta la centrale Madonna col bambino, i pannelli laterali, effigiantiSant'Agostino, San Michele, San Giovanni Evangelista e San Nicola da Tolentino, sono oggi divisi tra diversi musei (rispettivamente Lisbona, Londra, New York, Milano) mentre alcuni elementi della predella sono divisi tra Washington (Sant'Apollonia) e la collezione Frick di New York (due santi agostiniani e la Crocifissione). All'inizio degli anni sessanta risalgono pure la commovente Madonna del parto per la cappella del cimitero di Monterchi e la straordinaria Resurrezione nella Sala dei Conservatori della Residenza (il Palazzo Comunale) di Sansepolcro (oggi sede del Museo Civico), al contempo simbolo civico e sacra icona, che lo scrittore contemporaneo Aldous Huxley ha definito «la più bella pittura del mondo».
Nel 1954 venne ritrovato nella chiesa di Sant'Agostino a Sansepolcro un frammento di affresco con una figura di santo, probabilmente San Giuliano (oggi Sansepolcro, Museo Civico), un'opera di grande eleganza, eseguita con il consueto magistero tecnico probabilmente dopo il ritorno dal soggiorno romano del 1458-59. Ancora discussa è invece la datazione del Polittico per le monache francescane di Sant'Antonio a Perugia (Perugia, Galleria Nazionale dell'Umbria), nel quale ancora una volta Piero riesce a superare le limitazioni dell'antiquato fondo oro impostogli dalle committenti, lasciando libero spazio alla sua genialità nelle belle scene della predella e nel prodigioso tour de force prospettico dell'Annunciazione sovrastante.

Nel corso degli anni sessanta e settanta Piero strinse dei rapporti particolarmente intensi con la splendida corte di Urbino e con il duca Federigo del Montefeltro, per il quale portò a termine alcune delle sue opere più celebri: il dittico con i ritratti dei duchi, Federigo e la moglie Battista Sforza (Firenze, Galleria degli Uffizi), la celebre Flagellazione (Urbino, Galleria Nazionale dell'Umbria), una vera e propria summa delle sue indagini sulla prospettiva, nonché la Sacra Conversazione per la chiesa di San Bernardino (Milano, Pinacoteca di Brera), con il celebre ritratto in armatura del duca Federigo (1472-74): un dipinto rivoluzionario che rompe con la tradizione medievale del polittico a scomparti per proporre il concentrato dialogo tra la Vergine e i Santi in uno spazio prospetticamente unitario e misurabile, in diretto rapporto con lo spettatore.
In questi dipinti dell'estrema maturità, cui si devono aggiungere almeno l'intima Madonna di Senigallia (Urbino, Galleria Nazionale dell'Umbria) e la poetica Natività di Londra (National Gallery), Piero rivela un interesse sempre più profondo per la coeva pittura di Fiandra, che si manifesta nella più complessa tessitura cromatica e nell'osservazione minuziosa della realtà, analiticamente indagata nella sua relazione con la luce.

In questi anni urbinati, stimolato dall'ambiente intellettuale della corte, Piero si dedicò anche alla stesura di alcuni trattati teorici, intesi a ricondurre alla essenziale e misurabile regolarità delle forme geometriche l'infinità varietà degli oggetti naturali. Sono giunti sino a noi il Trattato dell'Abaco, una sorta di manuale di matematica elementare come quelli in uso nelle scuole d'abaco; il Libellus de quinque corporibus regularibus, dedicato a Guidobaldo duca di Urbino e pubblicato da Luca Pacioli dopo la morte dell'artista come opera propria; infine la fatica maggiore, il De prospectiva pingendi, trattato ricco di disegni e inteso come guida pratica alla prospettiva.Divenuto cieco nei suoi anni estremi, Piero della Francesca si spense a Borgo San Sepolcro il 12 ottobre del 1492.'
Fondazione Piero della Francesca | Biografia di Piero | www.fondazionepierodellafrancesca.it

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