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Cimabue, Crocifisso, (dettaglio), 1268-71, 336 x 267 cm, San Domenico, Arezzo

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Crocifisso di San Domenico ad Arezzo
   
   
Il Crocifisso di San Domenico ad Arezzo (336x267 cm) è una croce sagomata e dipinta a tempera e oro su tavola di Cimabue, databile attorno al 1268-1271 circa e conservata nella chiesa di San Domenico di Arezzo. [1] Prima opera attribuita al maestro, vi si legge un distacco dalla maniera bizantina all'insegna di un maggior espressionismo.


Storia

La somiglianza del crocifisso con quello bolognese di Giunta Pisano si spiega anche con un'esplicita richiesta dei domenicani aretini, essendo il crocifisso di Giunta conservato nella chiesa principale dell'ordine, la basilica di San Domenico a Bologna.

Da sempre conservato nella chiesa, il Crocifisso di Cimabue fu restaurato una prima volta nel 1917 e, più recentemente, nel 2005. Non è ricordato dalle fonti antiche e il primo a pubblicarlo fu cavalcaselle nel 1875, che però lo attribuì a Margaritone d'Arezzo. Adolfo Venturi (1907) fu il primo a fare il nome di Cimabue, seguito con decisione dal Toesca (1927), che fu confermato da quasi tutti gli studiosi successivi.

La datazione si basa unicamente su dati stilistici e a poco sono valsi gli studi sull'origine della chiesa e del convento, che risultano fondati nel 1242 e ampliati un data imprecisata, probabilmente su impulso da Roma.


Descrizione

   
   
     

In questa opera Cimabue si orientò verso le recenti rappresentazioni della crocifissione con il Christus patiens, dipinte negli anni precedenti da Giunta Pisano e dal Maestro di San Francesco, ma aggiornò l'iconografia arcuando ancora maggiormente il corpo di Cristo, che ormai debordava occupando tutta la fascia alla sinistra della croce. Il corpo di Cristo, il tipo di panneggio e la decorazione della croce derivano da Giunta e la croce aretina potrebbe apparire come una semplice imitazione se non fosse per la particolare flessione, che si sforza di trovare un equilibrio fra realismo e intellettualismo, con effetto più dinamico ed espressivo, ma anche di geometrica purezza. Più dolce è il volto di Cristo, ottenuto con pennellate più sciolte e morbide; il colore è steso in un tratteggio sottile che imprime al corpo uno stacco dalla tavola. Il torace è segnato da una muscolatura tripartita, le mani appiattite sulla croce e i sontuosamente preziosi, sia per l'uso dell'oro che dello squillante rosso.

Un'altra novità rispetto al modello fu l'uso delle striature d'oro nel panneggio che copre il corpo di Cristo o nelle vesti dei due dolenti ("agemina"), un motivo introdotto da artisti come Coppo di Marcovaldo e derivato dalle icone bizantine.

Sempre ai modelli di Giunta rimandano le due figure nei tabelloni ai lati dei bracci della croce (Maria e San Giovanni raffigurati a mezzo busto in posizione di compianto) e lo stile asciutto, quasi "calligrafico" della resa anatomica del corpo del Cristo.

Nel tondo in alto è raffigurato il Cristo benedicente, opera di corredo probabilmente di un aiuto di bottega.

 


Cimabue, Crocifisso, 1268-71, 336 x 267 cm, San Domenico, Arezzo

 
   
   

[1] Biografia di Cimabue
(1240 ca - 1301/1302) "Fu mandato, acciò si esercitasse nelle lettere, in S. Maria Novella a un maestro suo parente (.) ma Cimabue in cambio d'attendere alle lettere, consumava tutto il giorno, come quello che a ciò si sentiva tirato dalla natura, in dipingere, in su' libri et altri fogli (.). Perché essendo chiamati in Firenze, da chi allora governava la città, alcuni pittori di Grecia, non per altro, che per rimettere in Firenze la pittura più tosto perduta che smarrita, cominciarono, fra l'altre opere tolte a far nella città, la cappella de' Gondi, di cui oggi le volte e le facciate sono poco meno che consumate dal tempo, come si può vedere in S. Maria Novella allato alla principale cappella, dove ell'é posta. Onde Cimabue, cominciato a dar principio a questa arte che gli piaceva, fuggendosi spesso dalla scuola, stava tutto il giorno a vedere lavorare que' maestri; di maniera che, giudicato dal padre e da quei pittori in modo atto alla pittura, che si poteva da lui sperare, attendendo a quella professione, onorata riuscita; con non sua piccola soddisfazione fu da detto suo padre acconciò con esso loro; là dove di continuo esercitandosi, l'aiutò in poco tempo talmente la natura, che passò di gran lunga, sì nel disegno come nel colorire, la maniera de' maestri che gli insegnavano". Giorgio Vasari.
Sono poche le notizie certe sulla vita di Cenni di Pepo, detto Cimabue. Negli anni che seguirono la sua morte (probabilmente nel 1301), la sua fama di pittore - nonché di maestro di Giotto - continuò immutata.

L'idea favolosa e mitica che ne diede il Vasari non gode ormai di molta attendibilità (con questo, però, non se ne nega la grandezza), seppure si è sempre dato credito all'episodio dell'inizio di una smodata passione per la pittura che lo portasse a seguire i greci in Santa Maria Novella. Alla fine del Trecento Filippo Villani lo descriveva come il pittore che "per primo richiamò alla somiglianza della natura l'arte della pittura". Di Cimabue si ricorda, sempre, la terzina dantesca che lo lega al discepolo che lo superò in fama e bravura: Giotto. "Credette Cimabue ne la pittura, tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura": così Dante, nel "Purgatorio", descrive la situazione del fermento artistico a lui contemporaneo. La data di nascita di Cenni di Pepo (Bencivieni di Giuseppe) si identifica generalmente intorno al 1240, quasi certamente a Firenze. Egli fu soprannominato Cimabue, probabilmente a causa dell'eccessivo orgoglio. In gioventù, fu a bottega presso Coppo di Marcovaldo, uno dei più celebri ed avanzati pittori fiorentini del tempo. Il Crocifisso della chiesa di San Domenico ad Arezzo, databile al 1265, è il suo primo lavoro pervenutoci. Poche altre notizie sulla sua vita risultano da atti pubblici. Nel 1272, fu chiamato a Roma per testimoniare in una controversia relativa all'ordine femminile di San Damiano, che in quell'occasione venne assoggettato alla regola di San Agostino. Negli anni tra il 1280 ed il 1290, Cimabue attese alla decorazione della Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi (a cui parteciparono Duccio di Buoninsegna e Giotto), sua più imponente opera. Durante i dieci anni di attività, il pittore dipinse la Maestà a S. Trinità a Firenze. Nel 1301 documenti attestano la sua presenza a Pisa, dove dipinse una Maestà per l'ospedale di S. Chiara - opera oggi perduta - e il grandioso mosaico di San Giovanni Evangelista nel Duomo pisano, attestato da alcuni documenti di pagamento. Morì, probabilmente, tra il novembre del 1301 e il marzo del 1302. [Fonte: Il Crocifisso di San Domenico ad Arezzo | www.italica.rai.it

[2] La chiesa di San Domenico è uno dei più rinomati edifici sacri di Arezzo per la presenza, al suo interno del Crocifisso ligneo dipinto da Cimabue, considerato uno dei capolavori della pittura del Duecento, databile alla fine degli anni sessanta.

La chiesa fu iniziata nel 1275 e finita nel XIV secolo.
La decorazione pittorica trecentesca è tutt'oggi bene documentata. È lavoro maturo (1395-1400) di Spinello Aretino l'affresco con i Santi Filippo e Giacomo Minore e storie della loro vita e di Santa Caterina. Del figlio Parri di Spinello è la Crocifissione tra santi.
La cappella Dragondelli ha struttura gotica con altare scolpito da Giovanni di Francesco da Firenze (1368) e affresco con Gesù tra i dottori di Gregorio e Donato di Arezzo. Al Maestro del Vescovado è attribuito il trittico con San Michele Arcangelo tra i santi Domenico e Paolo. Una Madonna col Bambino in pietra, di ambito aretino, faceva parte della serie di sculture che a partire dal 1339 decoravano le dieci porte delle mura della città.
Vi fu sepolto il pittore rinascimentale Niccolò Soggi (1479-1551c.) citato dal Vasari nelle sue Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori.

 


 



Cimabue, Crucifix (detail), 1268-71, tempera on wood, 336 x 267 cm, San Domenico, Arezzo

 




 

La veste di Cristo,
con le lumeggiature in oro


Madonna
 
 
San Giovanni
 
Bibliografia

Eugenio Battisti, Cimabue, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1963.

Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975.

   
The Kunsthistorisches Institut in Florence | L'alluvione del 4 novembre 1966 | Santa Croce | Cimabue’s Crucifix
La basilica di Santa Croce (1295-1385) con i suoi celebri cicli di affreschi, il crocifisso di Cimabue e i monumenti sepolcrali di rinomati artisti italiani è considerata una delle più insigni chiese di Firenze. A causa della sua vicinanza all’Arno la chiesa francescana fu duramente colpita dalla massa d’acqua dell’alluvione. In mezzo al fango e all’immondizia s’impone il monumento del poeta Dante.
Il simbolo delle tragiche conseguenze dell’alluvione è diventato la quasi completa distruzione del gigantesco crocifisso di Cimabue. La croce, dipinta a tempera su legno (intorno al 1272) da uno dei più considerevoli pittori del Duecento, aveva perso gran parte del suo strato pittorico. Come primo provvedimento l’opera d’arte fu trasferita dall’ex refettorio di Santa Croce nella Limonaia del Giardino di Boboli. Nel 1976 il crocifisso fu sottoposto ad un radicale restauro, per quanto fu possibile conservare solamente i resti dello strato pittorico.

l’Istituto svolge anche un ruolo importante nella documentazione dell’evento: nel 1975 la Fototeca ha infatti acquisito il Fondo Bazzechi, dal quale proviene la maggior parte delle circa 80 foto mostrate nell’esposizione qui presentata, che furono scattate dal fotografo Ivo Bazzechi nei drammatici giorni dell'alluvione.


Il fotografo Ivo Bazzechi, dal quale proviene una gran parte delle foto qui esposte, ha immortalato le sue impressioni proprio durante l’alluvione. Le fotografie rendono chiara la situazione durante e dopo la catastrofe, quando furono arrecati enormi danni a strade, piazze, edifici e opere d’arte. La principale pretesa della serie di foto qui presentata è quella di mostrare soprattutto i danneggiamenti e la distruzione di opere d’arte come nelle chiese di Santa Maria Novella e Santa Croce oppure di singole opere come per esempio il crocifisso di Cimabue, distrutto quasi completamente.

The symbol of the devastating effects of the flood is the almost complete destruction of the huge Crucifix by Cimabue. The crucifix, painted in distemper on wood (around 1272) by one of the most significant painters of the 13th century, had lost the majority of its layer of paint. The first action taken was to move this work of art from the former Santa Croce refectory to the Limonaia in the Giardino di Boboli. In 1976, the Crucifix underwent a major restoration, during which it was possible to conserve the remains of the layer of paint.
La mostra del Kunsthistorisches Institut documenta le immediate conseguenze dell'alluvione sulla città e sui suoi tesori artistici. Una prima sezione mostra i danni e le distruzioni di opere d'arte. Una seconda sezione illustra le devastanti distruzioni nella città, nelle strade, nei vicoli, nelle piazze e nelle case.

The majority of the exhibition’s 80 photographs, taken by Ivo Bazzechi, date from the dramatic days following the flood.

 
Interior of the Basilica of Santa Croce,
6 Nov 1966

Il Battistero e la Loggia del Bigallo (fotografo Bazzechi)


[L’opera d’arte fu trasportata nella Limonaia del Giradino di Boboli. (fotografo Bazzechi)]
 
         




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Questo articolo è basato sugli articoli Cimabue, Chiesa di San Domenico (Arezzo) e Crocifisso di San Domenico ad Arezzo dell' enciclopedia Wikipedia ed è rilasciato sotto i termini della GNU Free Documentation License.

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