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Filippino Lippi, San Filippo scaccia il dragone dal tempio di Hierapolis, Filippo Strozzi Chapel


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Filippino Lippi | Cappella di Filippo Strozzi

   
   
La Basilica di Santa Maria Novella è una delle più importanti chiese di Firenze e sorge sull'omonima piazza. Se Santa Croce era ed è un centro antichissimo di cultura francescana e Santo Spirito ospitava l'ordine agostiniano, Santa Maria Novella era per Firenze il punto di riferimento per un altro importante ordine mendicante, i domenicani.
La Cappella di Filippo Strozzi (o di San Giovanni Evangelista) si trova nel transetto destro della basilica di Santa Maria Novella a Firenze, accanto alla cappella centrale. È celebre per gli affreschi di Filippino Lippi, realizzati tra il 1487 e il 1502.
La cappella fu commissionata da Filippo Strozzi il vecchio, che aveva aquistato il giuspatronato della cappella dalla famiglia Boni intorno al 1486.

La decorazione della cappella fu commissionata da Filippo Strozzi il vecchio nel 1486, vent'anni dopo il suo rientro dall'esilio a Napoli, quando stava iniziando un vasto programma di riabilitazione del suo nome e della sua famiglia che si esplicò anche nella costruzione del celeberrimo palazzo Strozzi.[1] Quell'anno il banchiere acquistò il giuspatronato dai Boni della cappella già dedicata a san Giovanni Evangelista. In data 21 aprile 1487 veniva stipulato il contratto con il pittore Filippino Lippi, uno degli artisti più all'avanguardia nella scena fiorentina dell'epoca, il quale avviò, per un compenso pattuito di 350 fiorini d'oro, il programma pittorico negli anni immediatamente successivi, entro il 1488. Il committente morì già nel 1491, senza protestare per la dilazione dei lavori che sarebbero dovuti essere conclusi da contratto entro il 1490. Tanto meno lo fecero gli eredi, che lasciarono lavorare l'artista senza problemi di tempo, venendo conclusa solo nel 1502, a quindici anni dalla stesura del contratto. La maggior parte dei pagamenti all'artista avvenne infatti nel 1494-1498, ad opera di Alfonso Strozzi, figlio di Filippo. Alfonso fu uno dei più attivi oppositori di Savonarola; il frate nelle sue prediche attaccò coloro che si facevano allestire monumenti funebri particolarmente sontuosi e la cappella Strozzi fu in quel senso uno dei più vistosi del momento.

I lavori avevano subito un'interruzione per il soggiorno romano dell'artista durante il quale aveva affrescato la cappella Carafa in Santa Maria Sopra Minerva (1488-1493), per rientrare a Firenze e lavorare intensamente tra il 1494 e il 1495, poi più lentamente tra il 1497 e la conclusione. Probabilmente gli affreschi seguirono lo schema classico dei lavori di tale genere: iniziati dagli spicchi della volta, seguirono nelle lunette, nella parete centrale e poi, sicuramente dopo il soggiorno romano, le due scene di Miracoli nel registro mediano, con il termine nella scena della Resurrezione di Drusiana, dove si trova la data 1502.

La presenza di fastose architetture "archeologiche" fa pensare all'influenza ricevuta dai monumenti romani durante il suo soggiorno nella città eterna. Lo stile segna la maturità dell'artista e il definitivo distacco dai modi di Sandro Botticelli: per la sfarzosità, i capricci e l'attenzione ai dettagli, questi affreschi vengono indicati come una delle più antiche testimonianze della maturazione di un gusto manierista a Firenze. Le vetrate, disegnate dallo stesso Filippino, vennero installate solo dopo la morte del committente, fra il giugno e il luglio 1503.

La Basilica di Santa Maria Novella

Piazza di Santa Maria Novella
50123 Firenze (FI)
Orario visite

Giorni feriali 9.00 - 17.30
Giorni festivi 13.00 - 17.00
Venerdi 11.00-17.30

   
   

 

 
Descrizione e stile


Filippino Lippi, San Filippo scaccia il dragone dal tempio di Hierapolis (dettaglio), Filippo Strozzi Chapel


Il tema del ciclo è la rappresentazione di Storie delle vite dei santi Filippo e Giovanni Evangelista: il primo è legato al nome del committente, il secondo è il patrono della cappella. Le due pareti mostrano, su esplicita richiesta del committente già dal contratto, un miracolo di resurrezione in basso e una scena di martirio in alto.


La volta

Sulla volta si trovano quattro Patriarchi dell'Antico Testamento: Adamo, che difende un fanciullo da un serpente attorcigliato a un tronco d'albero, Noè, col corno dell'abbondanza, la colomba e l'olivo, Abramo, col coltello del sacrificio di Isacco, e Giacobbe, che è chino su un libro sorretto da angeli dove si legge l'iscrizione HEC EST DOMUS DEI ET PORTA COELI ("questa è la casa di Dio e la porta dei cieli"). Ciascuno di essi sya su una nube tenuta su da cherubini a monocromo, i quali reggono anche le insegne coi nomi in carattere capitale romano dei patriarchi.

Noè in particolare mostra una citazione dall'antico nella posa che sembra quella di una divinità fluviale, come le statue del Nilo e del Tevere con la cornucopia, che nel Quattrocento si trovavano a Montecavallo (il colle del Quirinale) e oggi sono in piazza del Campidoglio. Molto originale è la figura di Adamo, che compare con uno solo dei suoi figli, forse Seth, che si rifugia tra le braccia del padre spaventato dalla vista del serpente.

Le vele sono divise da costoloni con decorazioni a monocrocmo raffiguranti delle volute intrecciate in cui si alternano mascheroni, palmette e mezzelune, impresa araldica degli Strozzi.


Storie di San Filippo

 
La parete destra è occupata dalla Storie di San Filippo: in basso San Filippo scaccia il dragone dal tempio di Hierapolis e sulla lunetta la Crocifissione di San Filippo.

Il miracolo, tratto dalla Leggenda Aurea, parla dell'episodio in cui san Filippo, trovandosi in Scizia, venne costretto dai pagani a fare un sacrificio al tempio di Marte, la cui statua è ben visibile al centro dell'affresco, accanto agli animali simbolici del picchio e del lupo sacro. Mentre il sacerdote però sta preparando il fuoco per il sacrificio, un drago pestilenziale sbuca dalla base della statua e uccide il figlio del sacerdote con il suo alito mortifero. La buca nel gradino venne lodata dal Vasari che raccontò l'aneddoto secondo cui un giovane aiutante di Filippino la scambiò per vera cercando di nasconderci un oggetto. Il santo, ritratto in primo piano, ricaccia il demone pagano e resuscita il giovane con un gesto di benedizione. In alto, sulla sommità dell'emiciclo dell'altare che incornicia la statua di Marte, sotto statue di angeli che sottomettono due prigionieri, si legge l'iscrizione EX H[OC] TRI[UMPHO] D[EO] M[AXIMO] VICT[ORIA] ("da questo trionfo vittoria a Dio massimo"), una precisazione della vittoria del Cristianesimo sui pagani. La forma dell'altare, che assomiglia per sontuosità a un tempio vero e proprio, venne ripresa da un altare conservato ai Musei Vaticani. Marte sembra tutt'altro che un simulacro inanimato, ma sembra vivente nell'atto di scagliare i fulmini (anche se sarebbero attributo esclusivo di Giove) in sfida al santo cristiano, mentre accarezza il lupo (con il mantello reso in maniera morbidissima) e ha accanto un picchio, suoi animali sacri. Anche le quattro erme sotto di lui hanno un aspetto molto umano, che reggono un cornicione dove sono appoggiate vasellami e recipienti variopinti e due trofei d'armi, ispirati ai rilievi del basamento della Colonna Traiana.

Il negroide all'estrema destra, esoticamente abbigliato con un colbacco, è probabilmente lo schiavo di Filippo a cui il banchiere diede la libertà prima di morire. Il personaggio alla sua sinistra è stato talvolta proposto come autoritratto di Filippino. Si vede anche un orientale con turbante, forse una figura che colpì l'immaginazione di Filippino durante il suo viaggio a Venezia nel 1489. Tra i personaggi uno tiene in mano un alto candelabro a cinque braccia, probabilmente una citazione della menorah che copare sui rilievi dell'arco di Tito.

Il tema è ovviamente lo scontro fra cultura cristiana e paganesimo, di scottante attualità per l'epoca, essendo il periodo del "governo" teocratico del Savonarola: si pensi per esempio al chiaro messaggio del mostro evocato da San Filippo dal tempio di Marte, simbolo del demonio, che con il suo venefico respiro uccide il figlio del sacerdote, mettendo tutti in guardia dalla pericolosità della religione pagana. Secondo la Leggenda Aurea infatti, san Filippo era stato fatto prigioniero dai pagani di Scizia, e venne portato nel tempio per obbligarlo a sacrificare al Dio pagano. Nel cielo sulla destra poi appare Cristo con la Croce.

Filippino inserì i suoi personaggi in scenografie che ricreano quindi il mondo antico in ogni minimo dettaglio ma le sovraccaricò di decorazioni a grottesche, frutto del soggiorno romano, tanto da creare una decorazione "animata", misteriosa, fantastica e inquietante, raggiungendo l'irrealtà di un incubo. Il fastoso altare del tempio di Hierapolis, per esempio, è realizzato con un accumulo di trofei, telamoni e sfingi.

Nella fascia tra questa scena e quella superiore corre una ricca decorazione con al centro due putti che reggono una torcia accesa in mano e la Veronica, su cui si trovano il calice e la patena che alludono alla morte di Cristo.

La lunetta soprastante raffigura il Martirio di San Filippo, che venne crocifisso dopo la cattura a Hierapolis, tra le rovine del tempio che aveva fatto distruggere. Tra gli astanti del gruppo di sinistra si trovano i ritratti del committente e di suo figlio.

In queste scene, come nelle successive, gli equilibri sono volutamente spezzati, i colori discordanti, le scene affollate, i gesti calcati, le espressioni caricate, le figure e le architetture ambigue, il tutto a creare un inseime anticlassico per eccellenza. Nelle scene di martirio l'artista pose carnefici feroci deformati da smorfie, che si accaniscono contro i santi.


Storie di san Giovanni

 

St Philip Driving the Dragon from the Temple of Hieropolis
Filippino Lippi, Resurrezione di Drusiana (dettaglio), Filippo Strozzi Chapel


A sinistra si trovano le Storie di San Giovann Evangelista: in basso San Giovanni resuscita Drusiana e in alto il Martirio di San Giovanni.

La scena della Resurrezione di Drusiana è sempre tratta dalla Leggenda Aurea e mostra san Giovanni che, tornato a Efeso dopo la morte di Domiziano, si imbatte nel funerale della devota Drusiana, che nonostante avesse manifestato il desiderio di conoscerlo ai familiari, attendendo a lungo nella speranza di vederlo, era spirata proprio quel giorno. Filippino scelse di ritrarre il momento il cui Giovanni con un gesto resuscita la donna, nel panico generale per l'evento prodigioso. Nell'edificio di destra, sui pilastri, si legge A.S. MCCCCII (1502) e la firma PHILIPPINUS DE LIPPIS FACIEBAT. Tra le colonne del tempietto circolare si trova un'ara con l'iscrizione ORGIA, un'allusione ai riti pagani. Nel gruppo di donne sulla destra alcuni hanno proposto di identificare Selvaggia Gianfigliazzi, la vedova di Filippo Strozzi, tra le figlie Alessandra, Lucrezia e Caterina.

Nell'alta fascia decorativa tra scena e scena si trovano al centro due putti che sorreggono il libro aperto con l'iscrizione IN HOC SIGNO VINCES, legata alla vittoria di Costantino alla battaglia di Ponte Milvio tramite la visione della Vera Croce.

La lunetta soprastante mostra la Tortura di san Giovanni Evangelista. A sinistra si vede l'imperatore che ordina la tortura, con un gesto analogo a quello usato da Filippino nella cappella Brancacci per la scena della Disputa di Simon Mago, mentre Giovanni è al centro immerso nel pentolone colmo d'olio bollente, dal quale uscirà miracolosamente indenne. La drammaticità è quasi bandita dalla scena, all'insegna della serena sopportazione del santo, con alcuni dettagli ricchi di fascino, come il carnefice che si ripara dal fumo e dal calore dietro lo scudo di un soldato mentre tenta di attizzare il fuoco. Numerose sono le citazione dell'antico, come i fasci littori, i trofei d'armi, la colonna onoraria, il vessillo con la scritta SPQR.




 

Resurrezione di Drusiana
Resurrezione di Drusiana

La parete di fondo


La parete di fondo venne concepita da Filippino come fulcro della decorazione pittorica, riproducendo una fastosa architettura illusionistica in dicromia, con alcune figure policrome di contorno. La scelta dell'effetto grisaille accentua il carattere di trompe-l'oeil e crea giochi raffinati con il sepolcro in pietra scura di Benedetto da Maiano, quasi che la parete fosse una prosecuzione fittizia della tomba scolpita; inoltre potenzia per contrasto gli affreschi delle pareti. L'apparato scenografico, ripreso dai modelli antichi che aveva avuto modo di vedere a Roma è grandioso, ma rielaborato così profondamente da apparire irreale e anticlassico.

A partire dall'arcosolio due angeli dipinti tengono tra le mani un teschio e un altro sotto un piede e stanno rivolti verso una tabella scolpita davanti a un finto scomparto con altri teschi, dove si legge NI HANC DESPEXERIS VIVES ("se non disprezzerai questo - il teschio - vivrai"). Accanto agli angeli si ergono due alte colonne riccamente ornate, sui cui plinti si trovano le personificazioni della Carità (sinistra), che allatta tre fanciulli e ha vicino il fuoco, suo emblema, e della Fede (destra), con un crocifisso, una pisside e un'ostia.

Un po' più in alto, ai lati delle colonne, si trovano altri due gruppi allegorici:
a sinistra la Parthenice, la Musa Pagana che abitava nel Partenio, cioè il monte dell'Arcadia, che suona la lira con due amorini all'ombra di una palma, simbolo cristiano del trionfo sul mondo antico; nel cartiglio superiore si legge SACRIS SUPERIS INITIATI CANUNT ("gli iniziati cantano agli dèi celesti"), un riferimento dall'Ecclesiastico alla conoscenza pagana; con lei stanno due angeli dall'aspetto piuttosto paganeggiante che suonano una siringa e un flauto che Filippino copiò da un sarcofago romano delle Muse, forse quello dalla collezione Giustiniani oggi nel Kunsthistorisches Museum.
a destra le Muse Cristiane, con l'iscrizione "Deo Max[imo]", che si appoggiano a un altare per suonare un'altissima lira con un plettro formato da ossa; il cartiglio sospeso reca l'iscrizione D[EO] M[AXIMO] QUONDAM NUHC (nunc) CANIMUS ("in questo momento cantiamo a te, oh Dio supremo"). La musa alla sinistra calpesta una maschera, simbolo delle illusioni terrene che terminano con la morte, mentre quella destra ne tiene una in mano, simbolo dell'anima del defunto che si toglie la maschera terrena in attesa della resurrezione.

Questa complessa allegoria si riferisce quindi in buona sostanza alla contrapposizione dei due tipi di sapienza, pagana e cristiana, che mediano tra la terra ed il cielo permettendo la Salvezza. La stessa fuga ascensionale degli elementi architettonici simboleggia la salita dell'anima verso il cielo. Le Muse inoltre figuravano spesso sui sarcofagi antichi come simboli di immortalità, secondo un'idea che il cristianesimo ha ereditato almeno in parte.

La vetrata venne disegnata dallo stesso artista entro il 1497 e collocata nel 1503. Vi sono rappresentati in alto la Madonna col Bambino e due angeli, sotto i quali, oltre una fascia con lo stemma Strozzi, si trovano i due santi titolari della cappella, Filippo e Giovanni Evangelista; La figura del Bambino che benedice verso san Filippo dimostra la preminenza del santo nel ciclo decorativo poiché protettore del committente. In alto si vede la figura dell'Agnello accovacciato, uno degli emblemi di Filippo Strozzi, con il motto MITIS ESTO ("sii mite"). L'impostazione della vetrata, filtro tra la luce naturale e quella "divina", è strettamente legata alle finte architetture che la circondano, tra le quali appare come il fornice di un arco di trionfo. Negli strombi della finestra corrono ricche candelabre intervallate da scudi triangolari inscritti in cerchi, dove si legge la parola GLO/VI/S, che va letta all'incontro come "SI VOLG[E]", alludendo alla fortuna variabile, come nella vita del committente, ma anche al volgersi della morte fisica in vita eterna.

Nella parte superiore della parete, oltre la trabeazione dipinta, si trovano due coppie di angeli colorati, nelle posizioni simmetriche di genuflessione e vittoria, che simboleggiano il Trionfo della Fama, con gli scudi degli Strozzi, vittoriosi nel giorno del giudizio: si tratta di un tema umanistico derivato dal Petrarca (che Filippo Strozzi possedeva in un prezioso commentario di Poggio Bracciolini finemente miniato), cioè della Fama che vince la Morte. Sopra gli angeli trionfanti infine, due clipei riportane le iscrizione SI SCIRES / DONUME DEI, che alludono all'"acqua di vita" quale pegno di immortalità, promessa da Gesù alla Samaritana al pozzo (Giovanni 4, 10). Qui si trovano anche i tre emblemi di Filippo: il già citato agnello accovacciato nella parte superiore della vetrata, il falcone nella strombatura con il motto EXPECTO ("ti aspetto"), riferito alla vittoria paziente sulle avversità, e la mezzaluna alata, simbolo araldico dell'apoteosi del committente.

La tomba di Filippo Strozzi di Benedetto da Maiano

Dietro l'altare è presente la tomba di Filippo Strozzi, scolpita da Benedetto da Maiano (1491-1495): si presenta come un arcosolio, con una Madonna col Bambino entro un tondo sorretto da quattro angeli; il sarcofago è in pietra nera (la "pietra di paragone" o basanite), con decorazioni di cherubini a rilievo che reggono un cartiglio con bucrani; l'arcosolio è decorato da raffinate candelabre che incorporano le mezzelune araldiche degli Strozzi, mentre sulla chiave di volta si trova l'emblema di Filippo dell'agnello; il busto di Filippo si trova oggi al Louvre. Nonostante il costo e il pregio artistico del sepolcro, la sua collocazione è schiva e al buio, nascosta dietro l'altare, in antitesi con le posizioni prominenti, ad esempio, dei sepolcri di Francesco Sassetti e la moglie nella Cappella Sassetti di Santa Trinita, di pochi anni anteriore: lo spirito di glorificazione individuale del committente era ormai irrimediabilmente sfumato con la nuova e inquieta sensibilità religiosa della Firenze della fine del XV secolo.
 
   


Art in Tuscany | Florence | Santa Maria Novella

Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Filippino Lippi

Art in Tuscany | Art in Tuscany | Giorgio Vasari | Lives of the Most Excellent Painters, Sculptors, and Architects

Sito della mostra su Filippino Lippi organizzata dal Museo Civico di Prato nel 2004 | www.filippinolippi.it
La città di Prato ha dedicato una mostra al pittore Filippino Lippi in occasione del quinto centenario della sua morte. Prato, 8 maggio - 25 luglio 2004.


[1] Nato a Firenze nel 1406, Filippo Lippi fu uno degli artisti più significativi del Quattrocento. Prese i voti al Convento del Carmine a Firenze nel 1421 e qui poté assistere alla decorazione a fresco della cappella Brancacci - uno dei cicli più importanti dell'epoca - da parte di Masolino da Panicale e Masaccio. Quest'ultimo in particolare realizzò qui una delle più straordinarie pagine dell'arte italiana, rinnovando il linguaggio pittorico tradizionale ancora legato al gotico e introducendo, attraverso l'impostazione prospettica e i volumi solidamente costruiti delle figure, un nuovo concetto di spazio, di storia, di uomo. Fra Filippo riuscì a coniugare queste innovazioni con il linguaggio scultoreo di Donatello e con l'influsso della luminosità tipica delle opere fiamminghe che iniziavano a circolare in Italia. Era stimato "buon maestro" dai suoi contemporanei, ma la sua fama venne in parte oscurata dal giudizio morale del Vasari, che lo criticò aspramente per via della sua peccaminosa relazione con la monaca Lucrezia Buti, dalla quale nacque Filippino Lippi, anch'esso noto pittore. Filippo è documentato anche a Padova, dove lavorò dal 1434 presso la Basilica del Santo e sviluppò il suo stile in senso personale, con figure che si fecero nel tempo via via più delicate ed eleganti. Nel 1452 gli venne affidato dal Comune di Prato l'incarico per gli affreschi della Cappella Maggiore di Santo Stefano, completati tredici anni dopo, nel 1465, fra varie interruzioni. Nel 1466 l'Opera del Duomo di Spoleto gli commissionò gli affreschi con Storie della Vergine per la tribuna della Cattedrale, che Lippi iniziò nel 1467 e che vennero conclusi solo dopo la sua morte da collaboratori. Nell'affresco raffigurante La morte della Vergine è visibile l'autoritratto del pittore, nonché il probabile ritratto del figlio Filippino, nella figura dell'angelo. Filippo morì nel 1469 a Spoleto, nella cui Cattedrale venne sepolto. Il figlio Filippino disegnò il sepolcro di marmo con il busto e il grande letterato Angelo Poliziano ne scrisse l'epitaffio.  

Bibliografia

Silvia Giorgi, La Cappella Strozzi a Santa Maria Novella, in AA.VV., Cappelle del Rinascimento a Firenze, Editrice Giusti, Firenze 1998. ISBN 88-8200-017-6

Guida d'Italia, Firenze e provincia ("Guida Rossa"), Edizioni Touring Club Italiano, Milano 2007.

Giulia Cosmo, Filippino Lippi, serie Art dossier, Giunti, Firenze 2001. ISBN 8809020316

Questo articolo è basato sull'articolo Filippino Lippi, Cappella di Filippo Strozzi, Palazzo Strozzi e altri articoli dell' enciclopedia Wikipedia ed è rilasciato sotto i termini della GNU Free Documentation License.
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La Chiesa di Santa Maria Novella

 

La Chiesa di Santa Maria Novella era il centro dell'ordine domenicano a Firenze. La chiesa conserva uno stile romanico all'esterno con i marmi bianchi e verdi con disegni geometrici ed uno stile gotico al suo interno.
La sua costruzione fu iniziata nel 1246 e completata nella prima metà del 1300 da Jacopo Talenti: la bellissima facciata fu ripresa nella metà del XV secolo da Leon Battista Alberti.
All'interno, nella sacrestia, è possibile ammirare la croce dipinta da Giotto per il convento domenicano di Santa Maria Novella. La decorazione interna è stata curata dai maggiori artisti del XIV secolo. La cura e la bellezza dei suoi ornamenti può essere riassunta con il nome di Michelangelo il quale chiamava la chiesa di Santa Maria Novella 'La mia sposa'. All'interno è presente il chiostro e sul lato settentrionale il Convento (Convento di Santa Maria Novella).

La Facciata

Ricostruita su una preesistente, la facciata di S. Maria Novella è stata progettata nel 1456 da Leon Battista Alberti su commissione del mercante Bernardo Ruccellai. Egli era un ricco signore fiorentino e presentò il progetto all’ Alberti per esaltare la propria famiglia e salvarsi dalla grazia divina, infatti fece incidere il nome del padre sulla facciata.
Rispetto alla facciata del tempio Malatestiano, creata ex novo, l’intervento a S. Maria Novella era più complesso,poiché andavano mantenuti elementi preesistenti: in basso le tombe inquadrate da archi a sesto acuto e i portali laterali; superiormente era già stabilita la quota di apertura del rosone. In basso, Alberti inserì al centro un portale classico, e pose una serie di archetti a tutto sesto a conclusione delle lunghe paraste addossate alla facciata; proseguì superiormente con un secondo ordine di paraste a sostegno di un frontone triangolare. Il problema era quello di legare le due parti, l’inferiore e la superiore, perché la prima risultava essere una commistione gotico-rinascimentale; adottò allora un altissimo attico liscio come cerniera che al contempo univa e separava le due parti e mascherava le eventuali contraddizioni (per es. il fatto che le lesene esterne della parte superiore non hanno corrispondenza in quella inferiore) e completò la composizione con incrostazioni a tarsia ispirate al proromantico fiorentino, come nella facciata della chiesa di San Miniato, che fusero ancor più le parti tra loro. Due eleganti volute colmavano gli angoli d’ incontro dell’attico e dell’ordine superiore, mascherando gli spioventi del tetto. Ne risultò un’opera piena di armonia. Vi è infatti un gioco nascosto di proporzioni che razionalizzano l’insieme e anche se la decorazione a tarsie contraddice tale intelaiatura armonica, essa non inficia il risultato finale, anzi evita che una eccessiva regolarità possa dar luogo a un risultato monotono.

Il segreto della bellezza e dell’armonia nella facciata di Santa Maria Novella è rivelata dalla sottile rete di rapporti modulari che lega le parti tra loro e queste all’insieme. La facciata s’inscrive perfettamente in un quadrato avente un lato coincidente con la linea di base della chiesa. Dividendo in quattro tale forma di base si ottengono quattro quadrati minori equivalenti alle pareti fondamentali della facciata: due di essi, accostati, inquadrano la zona inferiore; in uno di essi si inscrive perfettamente l’ordine superiore. Aggiungiamo ancora che spartendo in quattro i quadrati minori si ottengono quadrilateri ancora più piccoli (1/16 del quadrato di partenza) che, a loro volta, determinano altre misure dell’edificio, per esempio quelle delle volute laterali dell'ordine superiore.

Passando poi a esaminare altre parti della costruzione si possono stabilire ulteriori relazioni. Se analizziamo nel piano superiore la misura del rosone rispetto a quella dei tondi a intarsio che ornano il timpano e le volute laterali, vediamo che il diametro del tondo inscritto nel timpano corrisponde alla metà di quella del rosone sommato alla sua cornice. E ancora: la campata del portale è di altezza pari a una volta e mezzo la sua larghezza (segue dunque un rapporto di 2/3).
I lati dei quadrati intarsiati sulla fascia-cerniera che separa gli ordini inferiore e superiore misurano un terzo dell’altezza della fascia stessa e corrispondono al doppio del diametro delle colonne che sostengono l’ordine inferiore. Si potrebbe proseguire in questo tipo d’analisi e si scoprirebbero così altri rapporti e corrispondenze, che permettono di concludere, con le parole dello storico dell’architettura Franco Borsi, secondo cui 'l’esigenza teorica dell’Alberti di mantenere in tutto l’edificio la medesima proporzione, è qui stata osservata; ed è appunto la stretta applicazione di una serie continua di rapporti che denuncia il carattere non medievale di questa facciata pseudo-proto-rinascimentale, e ne fa il primogrande esempio di eurythmia del Rinascimento'.

L’antica basilica domenicana fu ridisegnata in stile gotico-romanico alla fine del 1200. Pregevole è la facciata in marmo bianco e verde, magistralmente completata dall’Alberti intorno al 1470. All’ interno si trovano capolavori come “La Trinità” di Masaccio, i celebri 'crocifissi' di Giotto e di Brunelleschi e, nel transetto, i vivaci cicli pittorici rinascimentali del Ghirlandaio e di Filippino Lippi.
La Cappella Strozzi, alla destra dell'altare maggiore, è dedicata a San Giovanni Evangelista e scene della sua vita sono ritratte in bellissimi affreschi di Filippino Lippi.


Art in Tuscany | Florence | Santa Maria Novella

La Basilica di Santa Maria Novella
Web: www.chiesasantamarianovella.it

Indrizzo:
Piazza di Santa Maria Novella
50123 Firenze (FI)
Orario visite

Giorni feriali 9.00 - 17.30
Giorni festivi 13.00 - 17.00
Venerdi 11.00-17.30

 

The Tornabuoni Chapel La Capella Tornabuoni

Domenico Ghirlandaio, Apparizione dell'angelo a Zaccaria, affresco nella Cappella Tornabuoni, Santa Maria Novella, Firenze
Ovvero la corte di poeti e filosofi di cui il de Medici si circondava.: Marsilio Ficino, Cristoforo Landino, Angelo Poliziano and Demetrios Chalkondyles, 1486-1490.

 

La famiglia Strozzi

   

La famiglia Strozzi era stata esiliata da Firenze nel 1434 per via della sua opposizione ai Medici, ma grazie alla fortuna accumulata da Filippo Strozzi come banchiere a Napoli, poté fare rientro in città nel 1466, deciso a schiacciare i suoi rivali. La sua divenne una vera ossessione e per anni acquistò e demolì edifici attorno alla sua residenza pur di disporre del terreno necessario per innalzare il più grande palazzo che si fosse mai visto a Firenze. Tra le case acquistate c'erano quelle di altri Strozzi, di Piero Ardinghelli, di Francesco Rucellai, di Cecca e Niccolò Popoleschi, di Piero Tornaquinci e la torre dei Conti Guidi di Poppi. Si trovava qui inoltre la piazza dei Tornaquinci, dove varie famiglie avevano le proprie torri e logge; solo grazie all'intervento di Lorenzo il Magnifico lo Strozzi poté ottenere i diritti dai proprietari per raddrizzare la linea della piazza e per occupare con il nuovo edificio ogni porzione di strade o interpassaggi che fosse necessaria. L'unica condizione che gli Strozzi subirono fu quella di iniziare i lavori entro un anno dalla ratifica dell'atto notarile (datato 10 aprile 1489) e che la costruzione fosse continuata senza interruzione, pena la confisca.

Giuliano da Sangallo eseguì un modello di Palazzo Strozzi in legno tra il 1489 ed il 1490 (oggi tornato dal palazzo, in deposito dal Bargello) ma il Vasari attribuì il progetto primitivo a Benedetto da Maiano, architetto preferito di Lorenzo il Magnifico. Con tanto denaro a disposizione, nulla fu lasciato al caso, tanto che furono convocati perfino gli astronomi per decidere quale fosse il giorno più propizio per porre la prima pietra. I lavori iniziarono quindi nel 1489, ma solo due anni dopo morì Filippo Strozzi (1491). I suoi eredi proseguirono seppur con difficoltà, nella dispendiosa costruzione del sogno di Filippo. Nel 1507 il pian terreno iniziò ad essere abitato.

Alla morte di Benedetto da Maiano, quando l'edificio era oramai giunto al secondo piano, i lavori furono affidati a Simone del Pollaiolo, detto il Cronaca, che realizzò il coronamento della facciata e il cortile porticato, rimanendo in carica fino al 31 ottobre 1504, come attestano i documenti dell'epoca.

Dopo varie interruzioni, dovute alle altalenanti condizioni economiche della famiglia, grazie alla fortuna commerciale di Filippo Strozzi il Giovane, ricco banchiere, il palazzo fu terminato nel 1538 da Baccio d'Agnolo, che curò anche gli spazi interni e gli arredi, ma lasciò il cornicione incompleto su un lato, come è tutt'oggi. L'edificio fu confiscato dal Granduca Cosimo I de' Medici lo stesso anno, a causa della guerra contro i fuorusciti fiorentini capeggiati da Filippo e Piero Strozzi. Solo trent'anni dopo, il palazzo fu restituito al cardinale Lorenzo Strozzi, fratello di Filippo nel frattempo morto in carcere.

Nel 1638 Gherardo Silvani realizzò la cappella al primo piano e nel 1662 ingrandì lo scalone su via Tornabuoni.

Solo nel 1864 venne aggiunta lungo via Tornabuoni la cosiddetta panca di via da Giuseppe Poggi, su incarico del principe Ferdinando Strozzi. In quell'occasione venne anche riaperto il portone murato su piazza Strozzi e fu collegato il cortile con il livello stradale tramite una rampa, per permettere alle carrozze di accedere al cuore del palazzo. Tra il 1886 e il 1889 si restaurarono le facciate, e poi di nuovo a inizio del Novecento.

Nel 1907 Piero Strozzi morì senza eredi e nel 1937 il palazzo passò all'Istituto Nazionale delle Assicurazioni (INA). Il palazzo, ceduto nel 1999 dall’Istituto Nazionale delle Assicurazioni allo Stato Italiano, oltre alla ormai storica presenza del Gabinetto G. P. Vieusseux e dell’Istituto di Studi sul Rinascimento ambedue dal 1940), accoglie oggi anche l’Istituto di Studi Umanistici e la Fondazione Palazzo Strozzi.

 


Palazzo Strozzi

 

Il cortile di Palazzo Strozzi

         
 
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