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Brancacci Chapel, Chiesa Santa Maria del Carmine a Firenze
Travel guide for Tuscany
       
   

Filippo (Filippino) Lippi
| Brancacci Chapel in Santa Maria del Carmine, Firenze

   
   

Le origini di Filippino Lippi sono alquanto singolari, figlio del monaco carmelitano Filippo Lippi e della monaca Lucrezia Buti. Come racconta il Vasari i due si erano conosciuti a Prato quando Lippi padre, occupato negli affreschi del Duomo, era diventato cappellano nel convento di Lucrezia. Un giorno chiese alla madre badessa di poter ritrarre la giovane monaca in una pala della Madonna col Bambino e, ottenuto il permesso dopo qualche esitazione, dovette scoccare tra i due una scintilla, tanto che in occasione della processione della Sacra Cintola Filippo rapì la modella, con grande scandalo. Filippino nacque nel 1457, quando la coppia non era ancora sposata. Per riparare al fattaccio Cosimo de' Medici intercesse presso papa Pio II perché i due ottenessero una dispensa per potersi sposare. Anche se il matrimonio non avvenne i due convissero in una casa in piazza del Duomo, raccogliendo la grande tolleranza delle autorità religiose che, pur avendo tolto a Filippo l'incarico di cappellano, gli confermarono l'incarico per gli affreschi del Duomo, al quale l'artista lavorò fino al 1464.

Dal suo maestro Sandro Botticelli riprese lo stile lineare, ma lo usò per creare opere in cui risaltasse il carattere irreale della scena con figure allungate e scene ricche di dettagli fantasiosi. Dopo un viaggio a Roma compiuto tra il 1488 e il 1492, dove studiò i monumenti antichi e gli affreschi di Pinturicchio, riportò a Firenze il gusto per la decorazione a grottesche, che ne suoi dipinti divenne decorazione "animata", misteriosa, fantastica e inquietante, legandosi al clima di crisi politica e culturale della Firenze di Girolamo Savonarola.

La pittura di Filippino è tra le più rappresentative dell'evoluzione a Firenze avvenuta alla fine del XV secolo: dall'età dell'equilibrio e della purezza lineare l'arte venne traghettata all'esasperazione espressiva e alle tensioni appassionate, che sfociarono poi nel manierismo[1]. Fu uno dei primi pittori in assoluto a usare, sebbene relegata a dettagli secondari, una pennellata visibile e pastosa, "impressionistica". Il suo esempio venne ripreso e sviluppato da alcuni artisti fiorentini come Rosso Fiorentino, ed è possibile tracciare una linea ideale che lega lo sviluppo di questa tecnica, attraverso Parmigianino, il tardo Tiziano, Rubens, Rembrandt, Fragonard, fino ad arrivare agli impressionisti.

Agli inizi degli anni ottanta Filippino iniziò a ricevere commissioni importanti e il suo stile maturò velocemente verso forme più personali[1]. Dal 1482 dipinse due tondi dell''Annunciazione per San Gimignano, seguiti l'anno dopo dalla Pala Magrini, e in pannelli per San Ponziano a Lucca (questi ultimi oggi alla Norton Simon Art Foundation di Pasadena).

Il 31 dicembre 1482 l'artista venne nominato nella commissione per affrescare una parete nella Sala dell'Udienza a Palazzo Vecchio, opera non eseguita, ma che testimonia come iniziasse a farsi un nome ricevendo commissioni ufficiali.

Nello stesso periodo gli venne commissionata la conclusione del ciclo della Cappella Brancacci. Qui, entro il 1485, completò le Storie di san Pietro di Masaccio con gli episodi: Disputa di Simon Mago e crocifissione di san Pietro, Resurrezione del figlio di Teofilo, San Pietro in carcere visitato da san Paolo, Liberazione di san Pietro dal carcere[6].

Filippino venne probabilmente scelto per la fedeltà stilistica a suo padre, primo allievo di Masaccio, impegnandosi a completare la fascia inferiore di affreschi, in parte lasciata a metà da Masaccio (o forse parzialmente distrutta per la presenza di ritratti di personaggi "scomodi") e in parte da rifare ex novo. Filippino si sforzò di adattarsi allo stile dell'illustre predecessore (che vi aveva lavorato fino al 1427 circa), accordando la gamma cromatica, semplificando al massimo le figure e mantenendo un rigore più stretto possibile. Se in alcuni brani la mimesi può dirsi perfettamente compiuta (come nel paesaggio della Resurrezione del figlio di Teofilo, incertamente attribuito all'uno o all'altro), nel modo di rappresentare i personaggi invece si può misurare la distanza della raffinata arte dell'epoca di Lorenzo il Magnifico rispetto all'austerità e la mancanza d'ornamento di Masaccio. Nonostante ciò la visione globale risulta armonica, con le differenze percepibili solo a un esame attento.

La datazione degli affreschi della Cappella Brancacci è problematica e si basa solo su elementi indiziali. In ogni caso dovette essere completa non più tardi del 1487.


La Cappella dei Brancacci


La Cappella Brancacci, situata all'interno della chiesa di Santa Maria del Carmine di Firenze rappresenta uno degli esempi più elevati di pittura del Rinascimento (1424-1428). Essa è frutto della collaborazione di due dei più grandi artisti dell'epoca Masaccio e Masolino da Panicale, ai quali deve aggiungersi la mano di Filippino Lippi, chiamato a completare l'opera circa cinquant'anni dopo.


I Brancacci

I Brancacci possedevano la cappella alla testata del transetto di Santa Maria del Carmine fin dalla fine del Trecento, quando venne fondata da Pietro di Piuvichese Brancacci (1367). Antonio Brancacci iniziò una serie di lavori nella cappella nel 1387, ma fu solo con suo nipote Felice, un ricco mercante della seta, tra i protagonisti della scena politica fiorentina nella prima metà del Quattrocento, che commissionò probabilmente alla bottega di Masolino la decorazione ad affresco, con un ciclo sulle Storie di san Pietro, il protettore di famiglia. Non si è conservata una documentazione diretta circa la decorazione alla cappella, ma le vicende sono oggi ricostruite tramite fonti indirette o più tarde. Per esempio Vasari nelle Vite ricorda come i due artisti avevano eseguito in un periodo immediatamente precedente un San Paolo (di Masaccio) e un San Pietro (di Masolino, entrambi perduti) in una cappella sull'altro lato del transetto, che gli valsero la prestigiosa commissione.

Questa risalirebbe al 1423, dopo il ritorno di Felice Brancacci da un'ambasceria al Cairo (15 febbraio) ed entro la fine del 1424 i lavori dovevano essere avviati[1]. Masolino fu impegnato con lavori a Empoli fino al novembre del 1424, per cui si può pensare che abbia iniziato a lavorare alla cappella Brancacci immediatamente dopo. Il suo aiutante Masaccio prese la direzione dei lavori dopo la partenza di Masolino per l'Ungheria (1º settembre 1425), per essere poi sospesi nel 1427 o 1428 quando Masaccio partì a sua volta per Roma, dove morì nell'estate del 1428. Alcuni ipotizzano che Masaccio non vi lavorasse già più dal febbraio 1426, quando i Carmelitani di Pisa gli affidarono un'altra importante opera (il Polittico), che difficilmente i Carmelitani fiorentini avrebbero permesso, tenendosi un'opera incompiuta. È più probabile che l'interruzione avvenne su iniziativa del committente, con un frettoloso completamento dell'ultima scena avviata, la Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra testimoniata dall'esecuzione meno rifinita e dall'uso più cospicuo di assistenti (la scena venne poi probabilmente mutilata in seguito e ricompletata da Filippino Lippi). Lo stesso Felice Brancacci, nel suo testamento del 1432, cita la cappella come incompleta[2].

Oggi gli affreschi masoliniani sono nettamente in minoranza, ma in antico essi si trovavano anche sulla volta a crociera e in una o due delle lunette superiori, andate distrutte, con un effetto d'insieme completamente diverso.

Chiudeva probabilmente il ciclo su San Pietro il rilievo sull'altare con la Consegna delle chiavi, opera di Donatello oggi al Victoria and Albert Museum, scena fondamentale per la chiusura delle Storie e del discorso sull'autorità di Pietro nella Chiesa.


Organizzazione del lavoro tra Masolino e Masaccio


Masolino e Masaccio lavorarono separatamente a scene diverse, pianificando accuratamente i loro interventi in modo da poter operare contemporaneamente. Essi usarono un solo ponteggio dipingendo scene contigue, in modo da evitare una netta separazione tra le loro opere, che avrebbe creato maggior squilibrio rispetto a una divisione "a scacchiera" come si vede oggi. Sul ponteggio di forma rettangolare l'uno dipingeva la scena sulla parete laterale, l'altro su quella frontale, per poi scambiarsi i compiti sul lato opposto. Con questo metodo venne sicuramente eseguito il registro superiore e forse la parte delle lunette, mentre l'interruzione dei lavori comportò la mancata applicazione nel registro inferiore.

Una questione molto dibattuta è quella degli aiuti che i due pittori offrirono reciprocamente in scene destinate all'altro. Alcuni studiosi tendono ad escluderle, altri, basandosi su confronti stilistici, le sottolineano. Per esempio si attribuiva in genere a Masaccio lo schema prospettico della Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita, identico a quello del Tributo, ma forse venne elaborato da entrambi. A Masaccio sono attribuite le montagne realistiche nella Predica di San Pietro, come mai ne dipinse in lavori successivi, mentre a Masolino è stata attribuita la testa del Cristo nel Pagamento del Tributo, dolcemenete sfumata come quella dell'Adamo masolinesco nella Tentazione di Adamo ed Eva.

Schema della cappella

La scelta iconografica

Pietro apostolo, primo papa, era il protettore di Pietro Brancacci, il fondatore della cappella, e della famiglia Brancacci in generale.

Pietro era anche l'apostolo fondatore della Chiesa Romana, dal cui potere discendeva quello del papa, per cui celebrandolo si celebrava il papato stesso, in linea con la politica filopontificia verso Martino V, condivisa dalla maggior parte dei fiorentini dell'epoca e dai Carmelitani, patroni della chiesa del Carmine. La presenza di scene della Genesi (Peccato originale e Cacciata dal paradiso terrestre) si collegano infatti al tema della salvezza dell'umanità operata dal Signore proprio attraverso Pietro.

L'accostamento delle storie di Pietro a quelle della Genesi inoltre poteva essere letta come un parallelo tra la Creazione di Dio e la creazione della Chiesa e del papato da parte di Pietro, in parallelo con la ri-creazione voluta da Martino V della sede romana dopo il lungo scisma d'Occidente.

Alcune scene, rare in altri cicli pittorici, sembra che furono scelte per esprimere una posizione riguardo all'istituzione del catasto fiorentino, all'epoca già nell'aria (venne avviato nel 1427), con il quale si introduceva, per la prima volta in Italia, un sistema di tassazione proporzionale basato sul reddito, che attingeva in maniera maggiore dalle ricchissime famiglie della borghesia di mercanti e banchieri. In questo senso, scene come il Pagamento del Tributo e la Distribuzione delle elemosine e morte di Anania sembrano dipinte proprio per ribadire la necessità civile e religiosa di pagare le tasse per il bene dell'intera comunità.

Affreschi del ciclo di San Pietro :

Tentazione di Adamo ed Eva (Masolino)

Cacciata dal Paradiso Terrestre (Masaccio)

Pagamento del tributo (Masaccio)

Guarigione dello storpio e resurrezione di Tabita (Masolino)

Predica di san Pietro (Masolino)

Battesimo dei neofiti (Masaccio)

San Pietro risana gli infermi con la sua ombra (Masaccio)

Distribuzione delle elemosine e morte di Anania (Masaccio)

Raising of the Son of Theophilus and St Peter Enthroned (Masaccio and Filippino Lippi)

Disputation with Simon Magus and Crucifixion of St Peter (Filippino Lippi)

St Paul Visiting St Peter in Prison (Filippino Lippi)

Peter Being Freed from Prison (Filippino Lippi)

 


Masaccio e Filippino Lippi, Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, (dettaglio: spettatori), 1426-27, affresco, 230 x 598 cm, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze



La sospensione dei lavori e il completamento di Filippino



   
L'opera rimase incompiuta, anche per l'esilio di Felice Brancacci nel 1436, a causa del suo schierarsi nel partito avversario a Cosimo de' Medici. È probabile che in quel contesto vennero martellati via anche i ritratti dei Brancacci e di altri cittadini dell'epoca che si trovano nella scena della Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra, dove la pittura di Masaccio si interrompe bruscamente sopra a metà delle vesti. Nel 1458, quando l'esilio diventò perenne, la cappella venne probabilmente svuotata di tutti i riferimenti alla casata dei Brancacci, essendo ormai sconveniente, per i Medici e per i carmelitani stessi, un ciclo pittorico tanto famoso che legasse una famiglia ribelle con il papato (san Pietro era dopotutto il primo papa). La cappella venne allora ridedicata alla Madonna del Popolo e vi fu posta la tavola della Madonna col Bambino, risalente probabilmente all'anno della fondazione della chiesa, il 1268, e tutt'oggi presente sull'altare. In quell'occasione venne probabilmente cancellata la scena dietro l'altare del Martirio di san Pietro, ridipinta poi dal Lippi sulla parete destra.

Solo con la riammissione della famiglia Brancacci a Firenze, nel 1480, la decorazione della cappella poté essere portata a termine incaricando Filippino Lippi, che oltre che essere un artista di spicco era adatto all'incarico anche perché figlio di Fra Filippo, uno dei primissimi allievi di Masaccio. Filippino cercò di temperare il suo stile, adeguando la sua tavolozza alla cromia degli affreschi più antichi e mantenendo la solenne impostazione delle figure, per non rompere l'omogeneità dell'insieme. Nonostante ciò il suo stile appare oggi facilmente riconoscibile, poiché improntato a un chiaroscuro più maturo e dotato della linea di contorno che è tipica dello stile intellettualistico del Rinascimento all'epoca di Lorenzo il Magnifico e che è opposto alla pittura "di getto" fatta di veloci stesure di colore e luce di Masaccio.


 
Filippino Lippi, Disputation with Simon Magus and Crucifixion of Peter, 1481-82, Brancacci Chapel, Church of Santa Maria del Carmine in Florence

Filippino Lippi, Disputa di Simon Mago e Crocifissione di san Pietro, 1424-26 e 1489-91, affresco, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze [1]

 

Descrizione

Il tema della decorazione a affresco è quello della historia salutis, cioè la storia della salvezza dell'uomo, dal peccato originale all'intervento di Pietro, quale diretto erede di Cristo e fondatore della Chiesa romana. Le fonti del complesso sono la Genesi, i Vangeli, gli Atti degli Apostoli e la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze. Pietro è sempre riconoscibile, negli affreschi di ciascuna mano, per l'abito verde scuro con il mantello arancione e per la tipica capigliatura corta e bianca, corredata da barba.

La cappella era originariamente organizzata su tre registri, coperti da volta a crociera dove nelle vele si trovavano i quattro Evangelisti di Masolino, oggi sostituiti dalla cupola con gli affreschi di Vincenzo Meucci. Le lunette, pure perdute, raffiguravano, secondo la testimonianza di Vasari, la Vocazione di Pietro e Andrea e la Navicella, probabilmente di Masolino.

Sulla parete di fondo si trovavano il Pianto di Pietro dopo il triplice rinnegamento o Pentimento di Pietro (ritrovata la sinopia) attribuito Masaccio e il Pasci i miei agnelli di Masolino (ritrovata la sinopia).

   
   


Filippino Lippi, Disputa di Simon Mago e crocifissione di san Pietro, 1481-82, Brancacci Chapel, Church of Santa Maria del Carmine in Firenze


Il grande pannello del registro inferiore della parete destra è interamente opera di Filippino Lippi. Fuori dalle mura della città (Roma, riconoscibile dalla piramide di Caio Cestio sulle Mura aureliane e dagli edifici che spuntano oltre la merlatura) si vede a destra la disputa tra Simon Mago e san Pietro davanti a Nerone, con un idolo pagano abbattuto ai piedi del re. A sinistra invece ha luogo la crocifissione del santo che sta per venire appeso a testa all'ingiù per il suo rifiuto di essere crocifisso come il Cristo. La scena è ricca di ritratti. Il giovane col berretto all'estrema destra è l'autoritratto di Filippino. Il vecchio col berretto rosso nel gruppo vicino a San Pietro e Simon Mago è Antonio del Pollaiolo. Il ragazzo che invece sta sotto l'arco e guarda verso lo spettatore è il ritratto di Sandro Botticelli, amico e maestro di Filippino. Nella figura di Simon Mago alcuni hanno voluto leggere un ritratto di Dante Alighieri, celebrato come creatore del volgare illustre col quale componevano Lorenzo il Magnifico e Agnolo Poliziano.

 


Sandro Botticelli
     
Masaccio | Brancacci Chapel in Santa Maria del Carmine, Florence

San Pietro risana gli infermi con la sua ombra (Masaccio) 1426-27, affresco, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze


Il registro inferiore fu l'ultimo ad essere completato e vi si sente uno stacco per l'assenza di Masolino, l'evoluzione dello stile di Masaccio (che vi mise mano dopo essere stato a Pisa) e, ovviamente, l'intervento di Filippino.

La successiva scena, di grandi dimensioni sulla parete sinistra, è quella della Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra ed è per metà di Masaccio (che vi lavorò nel 1427) e per metà di Filippino Lippi, testimoniando il punto il cui vennero interrotti i lavori originariamente. Al primo maestro spetta la scena centrale, dal personaggio seduto a quello in piedi col vestito verde (compreso san Paolo inginocchiato) e la maggior parte della scena della cattedra, dai monaci carmelitani (esclusa la testa di quello inginocchiato) a Pietro, fino all'estremità; a Filippino appartengono i cinque fiorentini sulla sinistra, il gruppo centrale, compreso il fanciullo resuscitato e il bambino, e la testa del monaco in ginocchio, vistosamente sostituita. Sicuramente la scena era stata dipinta da Masaccio in misura maggiore, ma la presenza di personaggi antimedicei o comunque scomodi ne avesse resa necessaria una parziale demolizione: nel gruppo centrale dovevano essere presenti molti ritratti della famiglia Brancacci, sostituiti da Filippino con i membri delle grandi famiglie d'Oltrarno al tempo di Lorenzo il Magnifico: i Soderini, i Pulci, i Guicciardini, i del Pugliese, assieme ad altri notabili della cerchia medicea.

Masaccio e Filippino Lippi, Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra, 1426-27, affresco, 230 x 598 cm, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze


L'architettura è di Masaccio, con l'invenzione del muro con specchiature in marmo oltre il quale si vedono alberi e vasi, che verrà ripresa puntualmente da Domenico Veneziano, Andrea del Castagno, Alesso Baldovinetti e Domenico Ghirlandaio.

Grandi lacune sono state integrate nel recente restauro, come nella parte inferiore del San Pietro in cattedra.

Sono stati identificati molti personaggi dell'epoca. Il gruppo all'estrema destra mostrerebbe Filippo Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Masaccio e Masolino; il carmelitano corpulento in piedi, a destra di quello anziano, potrebbe essere un ritratto del giovane Filippo Lippi, allievo di Masaccio della prima ora e padre di Filippino; il fanciullo resuscitato viene indicato da Vasari come un ritratto del futuro pittore Francesco Granacci quindicenne, che permetterebbe di datare l'intervento di Filippino al 1485; il carmelitano di sinistra è stato indicato come il cardinale Branda Castiglione; sul lato opposto Teofilo in cattedra sarebbe Gian Galeazzo Visconti e la figura incappucciata sotto di lui Coluccio Salutati.

Arte in Toscana | Masaccio e Filippino Lippi | Resurrezione del figlio di Teofilo e san Pietro in cattedra


Disputa di Simon Mago e crocifissione di san Pietro


 


I ritratti di Masaccio, Brunelleschi, Alberti e Masolino
Filippino Lippi, Disputa di Simon Mago e crocifissione di san Pietro, 1481-82, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze


Il grande pannello del registro inferiore della parete destra è interamente opera di Filippino Lippi. Fuori dalle mura della città (Roma, riconoscibile dalla piramide di Caio Cestio sulle Mura aureliane e dagli edifici che spuntano oltre la merlatura) si vede a destra la disputa tra Simon Mago e san Pietro davanti a Nerone, con un idolo pagano abbattuto ai piedi del re. A sinistra invece ha luogo la crocifissione del santo che sta per venire appeso a testa all'ingiù per il suo rifiuto di essere crocifisso come il Cristo. La scena è ricca di ritratti. Il giovane col berretto all'estrema destra è l'autoritratto di Filippino.. Il vecchio col berretto rosso nel gruppo vicino a San Pietro e Simon Mago è Antonio del Pollaiolo. Il ragazzo che invece sta sotto l'arco e guarda verso lo spettatore è il ritratto di Sandro Botticelli, amico e maestro di Filippino. Nella figura di Simon Mago alcuni hanno voluto leggere un ritratto di Dante Alighieri, celebrato come creatore del volgare illustre col quale componevano Lorenzo il Magnifico e Agnolo Poliziano.
San Pietro in carcere visitato da san Paolo

Il ciclo prosegue ripartendo quindi da sinistra, sul pilastro, nel registro inferiore, con la scena di San Pietro in carcere visitato da San Paolo, opera di Filippino Lippi. Vi si vede il santo che si affaccia da una finestra con le sbarre, mentre il visitatore dà le spalle a chi osserva. Forse la scena seguì un disegno di Masaccio, come dimostrerebbe la perfetta continuità architettonica con la contigua scena della Resurrezione del figlio di Teofilo.


Liberazione di san Pietro dal carcere


 
   
L'ultima scena, da mettere in relazione sulla parete opposta con il santo imprigionato, mostra la Liberazione di San Pietro dal carcere da parte dell'angelo ed è interamente opera di Filippino Lippi. Anche qui l'architettura è connessa a quella della scena attigua. La guardia, armata di spada, dorme in primo piano appoggiata ad un lungo bastone, mentre avviene la scarcerazione miracolosa, che sottintende alla salvezza cristiana e forse anche alla riconquistata autonomia di Firenze dopo la minaccia milanese.

La scena della Liberazione di san Pietro dal carcere si trova sul pilastro destro, sotto il Peccato originale di Masolino. Mostra san Pietro che viene liberato di prigione da un angelo, mentre la guardia dorme per intervento divino.

L'impostazione riprende fedelmente quella della parete opposta dove si trova San Pietro visitato da san Paolo, ambientato tutto sommato nello stesso carcere. Anche in questo caso l'architettura è connessa a quella della scena attigua.

Nella figura di san Pietro, di spalle a profil perdu, si vede lo sforzo di Filippino di adattarsi allo stile di Masaccio. Il santo è infatti avvolto dall'ampio mantello che "macchia" di colore la scena e dà al corpo un volume dilatato. Anche la mano, il piede e il volto hanno un disegno e un chiaroscuro semplificato, che si confanno alla pittura "di getto" masaccesca. Riconoscibile come più tardo è però l'uso della linea di contorno.

Per contrasto invece l'angelo appare molto più moderno, con la leggera veste e il volto bello e leggermente malinconico che pare uscito da un'opera di Botticelli, maestro di Filippino.

La guardia, armata di spada, dorme in primo piano appoggiata ad un lungo bastone, con una posizione sciolta e morbida, impensabile per il primo Quattrocento.

La scarcerazione miracolosa sottintende alla salvezza cristiana e forse aveva anche un significato politico, legato alla riconquistata autonomia di Firenze dopo la minaccia milanese di Galeazzo Maria Sforza.
 

Liberazione di san Pietro dal carcere
     
Lo scarto tra la parte dipinta da Masolino e Masaccio si è assottigliato dopo la pulitura, smorzando la polemica che contrapponeva il Masolino tradizionalista al Masaccio innovatore e evidenziando invece le influenze reciproche tra i due. Masolino è di solito inquadrato come continuatore della pittura tardogotica, o tutt'al più come figura di transizione, mentre Masaccio applica più rigorosamente le nuove idee che furono alla base della rivoluzione rinascimentale: definizione spaziale precisa, individuazione psicologica degli individui raffigurati e riduzione all'osso degli elementi decorativi. In questo Masaccio fu un pioniere, che ebbe una straordinaria influenza sia sugli artisti contemporanei che su quelli delle generazioni a venire.

Masaccio usò molto rigorosamente la luce per "scolpire" le superfici macchiandole di colori e lumeggiature che creavano volumi estremamente plastici (cioè simili a sculture dipinte illusionisticamente), in uno stile "di getto" che metteva in secondo piano la predisposizione di un disegno esatto.

Nonostante le evidenti differenze, i due artisti si accordarono su una serie di punti che dessero all'insieme un aspetto armonioso:
Organizzazione delle scene in un'unica ingabbiatura architettonica, composta da paraste corinzie dipinte, reggenti una cornicetta dentellata. Spesso i paesaggi proseguono tra una scena e l'altra.
Adozione di un'unica gamma cromatica limpida e brillante, pur con le differenze di stesura.
Unificazione spaziale tra le scene tramite l'uso di un unico punto di fuga negli episodi contigui (come ai lati della bifora) o opposti. La visuale risulta ottimizzata per un ipotetico spettatore fermo al centro della cappella.

Gli affreschi di Masaccio nella Cappella sono senza dubbio "una delle conquiste più esaltanti della civiltà figurativa dell'Occidente"[6], grazie alla sicura spazialità architettata secondo le regole della prospettiva coerente, al realismo severo delle figure impregnate di profondità psicologica e vigore morale, alla ricchezza plastica e classicheggiante ma al tempo stesso libera e espressiva. Già Cristoforo Landino aveva descritto Masaccio come "opimo imitatore di natura [...] puro sanza ornato". Il restauro ha restituito tutto il colore dell'artista, potendo finalmente ricollocarlo in una linea ideale che passa da Beato Angelico e arriva infine a Piero della Francesca, il migliore dei suoi eredi per la sintesi tra luce e colore.

Se la fama di Masaccio ha trovato la più forte conferma, riguardo a Masolino si è assistito a una vera e propria rivalutazione, con la riscoperta delle sue raffinate sfumature coloristiche e la sua altissima qualità pittorica.

Masaccio e Masolino da Panicale | Cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine, Firenze
 
   

[1] Photo by jean louis mazieres, published under a Attribution-NonCommercial-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-NC-SA 2.0) license. [2]"non esset in totum picta et ornata.", in A. Molho, 1977, p.51.
[3] Soprattutto i colori contenenti composti di ferro subirono una reazione. Ciò si vede ad esempio nel corpo arrossato del giovane in primo piano nel Battesimo dei neofiti.
[4] Casazza, 1986, p. 69
[5] La scheda ufficiale di catalogo | www.polomuseale.firenze.it
[6] Carniani, cit., pag. 23.
[7] Carniani, cit., pag. 23

Bibliografia

Mario Carniani, La Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine, in AA.VV., Cappelle del Rinascimento a Firenze, Editrice Giusti, Firenze 1998.

John T. Spike, Masaccio, Rizzoli libri illustrati, Milano 2002 ISBN 88-7423-007-9

Guida d'Italia, Firenze e provincia ("Guida Rossa"), Edizioni Touring Club Italiano, Milano 2007 (per la storia della cappella dopo il XV secolo).

[8] Storia | Dal XVI al XVIII secolo | Nel corso del Cinquecento il giuspatronato dei Brancacci decadde, ma nessuna famiglia lo rilevò.

Al 1565 risale un primo intervento di pulitura, seguito poi da un altro restauro nel 1670-1674. A fine del XVII secolo la cappella venne abbellita da argenti preziosi, da una cornice intagliata e dorata, da una balaustra marmorea e da una spalliera. Nel 1690 il marchese Feroni, d'accordo con i Carmelitani, mise in progetto la trasformazione della cappella da gotica a barocca, in maniera da fare pendant con la recente Cappella Corsini, ma il progetto non andò in porto.

Risale al 1642 circa la copertura delle nudità dei personaggi con fronde, all'epoca del "cattolicissimo" Cosimo III de' Medici.

Nel 1746-1748 le vele nella volta a crociera, affrescate da Masolino con i quattro evangelisti, vennero distrutte per creare una cupoletta, dove Vincenzo Meucci affrescò la Madonna che dà lo scapolare a san Simone Stock, mentre le due lunette superiori, dove il ciclo aveva inizio, vennero rimpiazzate da finte prospettive di Carlo Sacconi. Venne smantellata la bifora gotica e si creò una più ampia finestra barocca, distruggendo gran parte degli affreschi nella parte superiore della parete di fondo. In quell'epoca venne anche approntato un massiccio tabernacolo marmoreo per ospitare la Madonna del Popolo, oggi rimosso.

La cappella venne danneggiata dal grave incendio che distrusse la basilica nel 1771, ma tutto sommato gli affreschi si conservarono bene, nonostante alcuni inevitabili danni all'intonaco ed alla cromia, incotta ed annerita, ai quali si fece fronte con una successiva rinettatura[3]. La Madonna duecentesca si salvò per puro caso, essendo stata spostata all'interno del convento da circa un anno. A ricordo dell'incendio sugli scudi dei pennacchi venne aggiunta la scritta "SIGNUM SALUTIS IN PERICULIS".

Nel 1780 i discendenti dei Brancacci, i marchesi de Brancas ormai trasferitisi in Francia, firmarono la rinuncia ufficiale ai diritti sulla cappella, che passò così ai Riccardi (1782), che operarono alcuni restauri. Il loro stemma (con la chiave) è ben visibile ai lati dell'altare odierno.

Il restauro

Nel 1940 si ebbe un restauro conservativo delle pitture, a base di un "beverone" protettivo con uovo e caseina, che ravvivò il colore (curatore F. Fiscali). Nel frattempo la patina di sporco e un velo di nerofumo avevano coperto i colori originari a tal punto che era maturata nella critica una considerazione di Masaccio quale pittore dai colori "petrosi", ma ne veniva comunque apprezzata la ricchezza plastica. L'opera di Masolino e Lippi era invece valutata scarsamente. La lettura critica dei contributi di Masaccio e Masolino fu dominata dalla confusione tra i due fino alla metà del XX secolo.

La decisione della necessità di procedere a un restauro venne presa già nel 1932, quando Ugo Procacci scoprì sotto due lastre di marmo dell'altare settecentesco alcuni ritagli di affreschi non interessati dall'incendio e dai restauri, che mostravano ancora la brillante cromia ante 1748. L'intervento di restauro vero e proprio prese il via solo negli anni ottanta, preceduto da un capillare check-up sullo stato degli affreschi e dei muri, in modo da distinguere le parti originali da quelle via via più tarde. Il restauro vero e proprio ha avuto luogo tra il 1983 e il 1990, quando venne rivelata, nello stupore internazionale, una cappella "inedita", restituita ai brillanti colori di Masaccio ed ai chiari e soffusi cromatismi di Masolino.

Durante le indagini sono state anche ritrovate le sinopie di due scene sulla parete dietro l'altare accanto alla finestra barocca, che sono riferibili alle scene distrutte del Pentimento di san Pietro, probabilmente di Masaccio, e della Chiamata di san Pietro, attribuibile a Masolino. La mano di Masaccio in una delle semilunette è un indizio fondamentale che prova la presenza dell'artista fin dall'inizio dei lavori. Niente resta invece degli Evangelisti nella volta a crociera né delle due lunette. Dallo smontaggio del tabernacolo marmoreo (oggi ricomposto in un altro ambiente del convento) sono riemersi gli sguanci della bifora originale, dove sono presenti racemi decorativi e due testine (maschile e femminile), i cui colori chiari hanno fatto da termine di paragone per il recupero dei colori durante il restauro.



 
 

La Cacciata dal Paradiso Terrestre, prima e dopo il restauro

Molto interessante anche il ritrovamento nella parete sotto la finestra di un frammento pittorico attribuito alla Crocifissione di San Pietro, che Masaccio avrebbe dipinto sopra la mensa dell'altare. Per quanto riguarda invece le scene già visibili è stato giudicato straordinaria la nuova lettura della trama pittorica, il valore dei nudi (liberati dalle fronde settecentesche), del paesaggio, della purezza di elementi come l'aria e l'acqua, delle architetture e volti celati, nonché la riscoperta dell'equilibrio sostanziale tra i vari interventi artistici che si sono succeduti nel tempo.


Giorgio Vasari | Lives of the Most Eminent Painters Sculptors and Architects

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Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Filippino Lippi

The Metropolitan Museum of Art | From Filippo Lippi to Piero della Francesca: Fra Carnevale and the Making of a Renaissance Master

www.museumsinflorence.com | Brancacci_chapel



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Santa Maria del Carmine, Firenze

   

La chiesa di Santa Maria del Carmine, originariamente in stile romanico-gotico, fu quasi completamente ricostruita nel '700 ed è famosa per gli affreschi nella Cappella Brancacci.La chiesa di Santa Maria del Carmine, con annesso il convento dei frati Carmelitani, fu fondata nel 1268. Il complesso fu ingrandito in diversi periodi: una prima volta nel 1328, quando il comune concesse ai frati l'uso del terreno adiacente la quinta cerchia di mura, e poi nel 1464, quando furono aggiunti sala del capitolo e refettorio; al termine dei lavori di ampliamento, durati fino al XVII sec., il convento comprendeva due chiostri, uno interno (facente parte del nucleo iniziale e restaurato nel 1490) ed uno esterno (costruito fra il 1600 e il 1612 seguendo lo stile originario della chiesa).
La chiesa venne quasi completamente distrutta nel 1771, quando scoppiò un incendio durante la realizzazione di un nuovo soffitto in legno intagliato; le fiamme, fortunatamente, risparmiarono la Cappella Brancacci, ma il resto dell'edificio dovette essere ricostruito.

L'interno è a croce latina e caratterizzato da una sola navata e cinque altari per ogni parte, decorati con stucchi in stile settecentesco. La chiesa ha una lunghezza di 82 metri, è larga 15 e l'altezza della cupola è di 34 metri.

I soffitti sono decorati con affreschi di artisti del calibro di Giuseppe Romei, e nelle cappelle sono conservati dipinti del XVII secolo tra cui la Crocefissione di Giorgio Vasari (1560). Inoltre come già ricordato all'interno della chiesa, ma con ingresso indipendente, troviamo la Cappella Brancacci, una meta del massimo interesse storico-artistico dovuto alla presenza di capolavori del Masaccio e di Masolino. La cappella è visitabile tramite un percorso che attraversa varie sale poste alla destra della chiesa.

Santa Maria del Carmine
Piazza del Carmine, 14, 50124 Firenze
Ingresso da: Piazza del Carmine.
Orario di apertura: Festivi: 8.00-12.00 e 17.30-18.00; feriali: 8.00-17.30.


 

 

 

 

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