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Fra Angelico, Annunciazione della cella 3 (dettaglio), 1438-1440, Convento di San Marco, Florence

 
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Fra Angelico
| Affreschi nel convento di San Marco, 1438-1446

   
   
Al primo piano si trovavano le celle dove dormivano i monaci e la biblioteca. Michelozzo creò ampie superfici parietali lisce, suscettibili di essere dipinte ad affresco, alla cui decorazione lavorò l'Angelico e il suo team dal 1438 al 1446 circa. Il risultato fu la più estesa decorazione pittorica mai immaginata fino ad allora per un convento. Gli interventi procedettero organicamente, e compresero, nel complesso, gli spazi collettivi e quelli privati di ciascuna cella. Ispiratore di tale scelta fu probabilmente Antonino Pierozzi, priore del convento dal 1439 al 1444 e successivamente vescovo di Firenze. Egli considerava la pittura uno straordinario mezzo educativo e di catechesi, che poteva aiutare enormemente la meditazione[2].

Le quarantacinque celle sono disposte lungo tre corridoi, dei quali due hanno celle sue entrambi i lati, mentre il terzo (quello verso la piazza) solo sul lato nord. Nelle celle è conservato un ciclo affrescato senza pari, composto da una serie di quarantatré lunette o riquadri affrescati dal Beato Angelico e aiuti con le Storie di Cristo (1442-1445), che dovevano ispirare i monaci nella preghiera; per questo le scene più che descrivere più o meno realisticamente gli avvenimenti, sono attente a dare piuttosto spunti meditativi e di contemplazione. Il maestro vi lavorò probabilmente fino al 1444, quando venne chiamato a Roma per affrescare la Basilica di San Pietro e il Palazzo del Vaticano.

Molto si è scritto circa l'autografia dell'Angelico per un complesso di decorazioni di così ampia portata, realizzato in tempi relativamente brevi. Gli affreschi del piano terra vengono concordemente attribuiti all'Angelico, in toto o in parte. Più incerta e discussa è l'attribuzione dei quarantatré affreschi delle celle e dei tre dei corridoio del primo piano. Se i contemporanei come Giuliano Lapaccini attribuiscono tutti gli affreschi all'Angelico, oggi, per un mero calcolo pratico del tempo necessario a un individuo per portare a termine un'opera del genere e per studi stilistici che evidenziano tre o quattro mani diverse, si tende a attribuire all'Angelico l'intera sovrintendenza della decorazione ma l'autografia di solo un ristretto numero di affreschi, mentre gli altri vennero dipinti su suo cartone o nel suo stile da allievi, tra cui Benozzo Gozzoli.

Gli affreschi sono di proporzioni relativamente grandi in ciascuna cella ed occupano sempre la parete opposta alla porta, accanto alla finestra; è stato osservato che così ciascuna parete dispone di un'apertura sul mondo fisico e di una sul mondo spirituale. Gli affreschi non vanno letti come decorazioni, ma come aiuto alla meditazione, e costituiscono un vero e proprio esercizio spirituale, soprattutto quelli autografi dell'Angelico, che spiccano per semplicità.

Gli affreschi di San Marco non furono solo una pietra miliare dell'arte rinascimentale, ma sono anche i più famosi e amati del Beato Angelico. La loro forza deriva, almeno in parte, dall'assoluta armonia e semplicità, che consente di trascendere lo scopo immediato per il quale furono dipinti, e cioè quello della devota contemplazione fornendo spunti appropriati alla meditazione religiosa. Gli affreschi segnarono così una nuova fase dell'arte dell'Angelico, caratterizzata da una parsimonia nelle composizioni e da un rigore formale mai usati prima, frutto della raggiunta maturità espressiva dell'artista. I fatti evangelici vengono così letti con un'efficacia maggiore che in passato, scevra da distrazioni decorative superflue e adeguata più che mai alla concretezza narrativa e psicologica delle grandi opere di Masaccio. Le figure sono poche e diafani, gli sfondi deserti oppure composti da architetture nitide inondate di luce e spazio, arrivando a toccare vertici di trascendenza. Le figure appaiono semplificate e alleggerite, la cromia più tenue e spenta. In tali contesti la forte plasticità di forma e colore, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione. Spesso nelle scene compaiono santi domenicani come testimoni, che attualizzavano l'episodio sacro inserendolo nella gamma dei principi dell'Ordine.

Tutti gli affreschi vennero restaurati tra il 1976 e il 1983, quando vennero anche ridipinte le semplici cornici.


Piano terra


Davanti alle scale si trova il bellissimo affresco dell'Annunciazione, databile tra il 1440 e il 1450 circa, una delle opere più famose del maestro ed uno dei migliori esiti in assoluto su questo soggetto. Il pittore vi usò la preziosa azzurrite e mise anche inserti in oro. Notevole è la monumentalità delle figure, isolate nello schema prospettico del porticato, con un forte senso di silenziosa spiritualità.

L'Angelico dipinse questo stesso tema in altre famose opere: una al Museo del Prado, una a Cortona e una presso San Giovanni Valdarno.

   
   
L'Annunciazione


 


Fra Angelico, Anunciazione del corridoio Nord, 1440-42, affresco, Convento di San Marco, Firenze

 

L'Annunciazione del corridoio Nord è situato al primo piano, proprio davanti alle scale. L'opera, che misura 230 x 321 cm, è di datazione incerta, che oscilla tra gli anni 1440 e il periodo dopo il ritorno dal soggiorno romano, dopo il 1450. Si tratta una delle opere più famose del maestro ed uno dei migliori esiti in assoluto su questo soggetto.

L'Annunciazione è ambientata in un portico che dà su un cortile, come le Annunciazioni su pala degli anni 1430 (Annunciazione del Prado, di Cortona e di San Giovanni Valdarno), che si affaccia su un giardino chiuso da una palizzata (allusione all'hortus conclusus che simboleggia la verginità di Maria) oltre il quale si vede un boschetto con cipressi. L'architettura è più che mai impostata alla semplice eleganza rinascimentale, con il punto di fuga all'interno del portico stesso e con le colonne più massicce del solito. L'ambientazione è spoglia ed essenziale, come la stanzetta che si apre alle spalle della vergine. L'unica nota decorativo è data dai capitelli, resi con un forte accento sulla luce, e sono sia ionici che corinzi: un richiamo agli ordini architettonici trattati da Leon Battista Alberti nelle sue opere, che alcuni hanno messo in relazione con opere del soggiorno romano come l'affresco di Santo Stefano che riceve il Diaconato.

Un elemento di innovazione è la disposizione dei protagonisti lungo una diagonale, che partecipano così in maniera più efficace allo spazio, mentre riprendono opere anteriori, come l'Annunciazione della cella 3, l'umile gesto di Maria, in bilico tra accettazione e soggezione, e la sobrietà dell'Angelo, che risponde al gesto di Maria con una posizione analoga delle braccia in segno di sottomissione. Le parole dell'Annunciazione sono dipinte in basso, vicino alla base della colonna centrale, più o meno all'altezza degli occhi dello spettatore. Poco sotto, sullo spessore del gradino, si trova un'incitazione alla preghiera: VIRGINIS INTACTAE CUM VENERIS ANTE FIGURAM PRETEREUNDO CAVE NE SILEATUR AVE ("Quando passerai davanti alla figura della Vergine intatta, stai attento di non dimenticare di dire l'Ave Maria").

Il pittore vi usò la costosa azzurrite e mise anche inserti in oro. Notevole è la monumentalità delle figure, isolate nello schema prospettico del porticato, con un forte senso di silenziosa spiritualità.


Il Crocifisso di San Domenico


 
Un altro grande affresco si trova sul lato opposto nel corridoio e raffigura il Crocifisso che stilla sangue, ai piedi del quale è raffigurato San Domenico. Il particolare del sangue, che può apparire un dettaglio grottesco, è in realtà un preciso elemento simbolico: versato dal Cristo irrora l'umanità per redimerla. L'opera viene in genere ritenuta di un collaboratore dell'Angelico.

L'Angelico si dedicò alla decorazione di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua partenza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, quando completò alcuni affreschi e si dedicò alla stesura di codici miniati per il convento stesso.

Nel chiostro l'Angelico dipinse cinque lunette (una è oggi staccata e conservata nella sala del lavabo) e il grande Crocifisso, che si ispirava a uno analogo dipinto qualche anno prima per San Domenico di Fiesole ed oggi conservato al Louvre. Gli studiosi sono in genere concordi nell'attribuire l'autografia dell'Angelico a tutti gli affreschi del piano terra del convento.

Durante la ridecorazione del chiostro a cavallo tra XVI e XVII secolo, l'affresco venne affiancato da due figure dei Dolenti (Maria e san Giovanni). In un periodo imprecisato nel XVII secolo l'affresco venne ritagliato ai lati per adattarlo a una cornice barocca che ancora oggi si vede.


Descrizione e stile

Il grande affresco è il primo che si vede, oggi come allora, dirimpetto all'entrata. La figura di Cristo troneggia su un'alta croce su uno sfondo arido e deserto, composto da un semplice terreno e un cielo genericamente azzurro. Il Cristo è dipinto con un forte chiaroscuro che ne accentua la massa plastica, in conformità allo stile di Masaccio del quale l'Angelico fu uno dei primi continuatori. Ai piedi della croce sta inginocchiato san Domenico che la abbraccia, fondatore dell'Ordine Domenicano nel cui esempio si dovevano immedesimare i frati del convento. In questo senso la meditazione dei frati doveva essere quindi impostata a una mistica e umile compartecipazione ai dolori di Cristo. Per ottenere questo scopo l'affresco, come gli altri del convento, è scevro da dettagli decorativi superflui e impostato alla massima essenzialità. Unica concessione alla decorazione pare essere il dettaglio del perizoma svolazzante di Cristo, assente nel Crocifisso di Parigi.

Il santo è di profilo e guarda la Croce, anche se ha un rapporto meno esplicito ed emotivo dell'affresco del Louvre. La sua figura è ben modellata nel volume e si colloca con verosimiglianza nello spazio.
 


     

Il primo corridoio (Est)

 
Il primo corridoio è quello che si incontra proseguendo a dritto dopo le scale, nelle cui celle ha inizio il ciclo affrescato. Fu il primo infatti ad essere edificato e decorato. Le lunette presentano soprattutto Scene della vita di Cristo, ma non seguono una progressione naturale.

Nel chiostro l'Angelico dipinse cinque lunette (Cristo in pietà, San Pietro Martire che ingiunge il silenzio, San Domenico che mostra la regola dell'Ordine, San Tommaso d'Aquino con la Summa, e Cristo pellegrino accolto da due domenicani) e il grande Crocifisso, che si ispirava a uno analogo dipinto qualche anno prima per San Domenico di Fiesole ed oggi conservato al Louvre. Gli studiosi sono in genere concordi nell'attribuire l'autografia dell'Angelico a tutti gli affreschi del piano terra del convento.



 

San Pietro Martire che ingiunge il silenzio
     

Crocifissione con i santi (sala capitolare), 1442 circa


Fra Angelico, Crocifissione con i santi (sala capitolare), 1442 circa, Convento di San Marco, Firenze

La Crocifissione con i santi è conservato nella ex-sala capitolare del convento di San Marco. L'opera occupa una grande lunetta sulla parte superiore della parete nord (ben 550x950 cm) e risale al 1441-1442.

La Crocefissione della sala capitolare rappresenta l'unico caposaldo nella datazione del ciclo decorativo, poiché l'Angelico vi stava sicuramente lavorando nel 1441-1442. Da un atto notarile datato 22 agosto 1441 si apprende infatti che a quella data il Capitolo, a cui partecipava anche l'Angelico, si riuniva nella nuova sagrestia perché la sala non era ancora pronta; da un documento del 25 agosto 1442 si legge poi che le riunioni del Capitolo avevano già ottenuto la loro sede definitiva.

La critica è concorde nel ritenere l'opera in massima parte autografa, con collaborazioni limitate e sotto la direzione del maestro, tranne qualche isolata ipotesi che vorrebbe l'opera lasciata incompiuta dal maestro in partenza per Roma nel 1455 e terminata da collaboratori.

Risale al Vasari la notizia secondo cui l'Angelico nel dipingere quest'opera si commoveva fino alle lacrime. Vasari scrive anche che nel san Cosma l'Angelico ritrasse il suo amico Nanni di Banco.

Verso la fine del XV secolo la testa del beato Cavalcanti nella genealogia domenicana venne sostituita con quella di Antonino Pierozzi, arcivescovo fiorentino e poi santo che visse proprio a San Marco contemporaneamente all'Angelico.

Tutta la scena è caratterizzata da un senso contemplativo, sottolineato dall'assenza di un vero e proprio sfondo, che sacrifica la narrazione in favore di una sacralità improntata alla preghiera. La disposizione delle figure è allineata sul piano frontale del dipinto, e solo le croci dei due ladroni sono disposte in profondità, con inclinazione in diagonale. La Croce di Cristo si innalza sulla scena, dominandola per tutta la sua larghezza e dividendola in due comparti.

La grande Crocefissione presenta un'iconografia innovativa, poiché al posto dei personaggi consueti presenti al Calvario mostra tutta una serie di santi, vissuti nelle epoche e nei luoghi più disparati, secondo un complesso sistema allegorico che adombra vari significati. Si tratta di una raffigurazione mistica, invece della consueta scena narrativa, assimilabile a opere come il Compianto della Croce al Tempio, sempre dell'Angelico. Ciò che descrive l'immagine è il significato salvifico dell'evento: la Redenzione.

Lo sfondo della scena è, come nella maggior parte degli altri affreschi di San Marco, spoglio e deserto, composto da un suolo bruno, una fascia rocciosa quasi illeggibile e un cielo che in antico era blu, ma che la caduta del pigmento dell'azzurrite (o "blu d'Alemania") ha reso violaceo, scoprendo la preparazione rossiccia sottostante. La parte superiore della lunetta è occupata dalle sole croci di Gesù e dei ladroni, con la grande iscrizione in ebraico su quella di Cristo. Altri elementi tipici dei Calvari dipinti sono la presenza del teschio di Adamo (figura dell'umanità perduta) alla base della Croce (come memento mori) e il gruppo dei dolenti a sinistra, con le tre pie donne e il giovane san Giovanni Evangelista.

Il resto dei santi può essere diviso in due gruppi: a sinistra i protettori di Firenze (san Giovanni Battista) e della casata dei Medici, che aveva finanziato la ricostruzione e la decorazione del convento, e a destra un vasto gruppo di santi fondatori di ordini religiosi, che alludono alla Chiesa militante. Nel dettaglio si vedono, da sinistra, i santi Cosma e Damiano (protettori di Casa Medici e in particolare di Cosimo il Vecchio), san Lorenzo (protettore di Lorenzo il Vecchio), san Marco (titolare della Chiesa), san Giovanni Battista; a destra si trovano inginocchiati san Domenico (fondatore dei Domenicani), san Girolamo (riconoscibile dal cappello cardinalizio gettato in terra, fondatore dei Geronimiti), san Francesco (fondatore dei Francescani), san Bernardo di Chiaravalle (fondatore dei Cistercensi), san Giovanni Gualberto (fondatore dei Vallombrosani), san Pietro Martire (domenicano). Dietro a questi, in piedi, san Zanobi (vescovo di Firenze), sant'Agostino (fondatore degli Agostiniani), san Benedetto (fondatore dei Benedettini), san Romualdo (fondatore dei camaldolesi) e san Tommaso d'Aquino (teologo domenicano).

Sulla cornice superiore sono raffigurati dieci inserti di Profeti e Sibille, con al centro la figura allegorica del pellicano che nutre i figli con le proprie carni. I personaggi hanno ciascuno un cartiglio e il nome vicino; essi sono (da sinistra):

* Dionigi l'Areopagita, "Deus nature patitur"
* Daniele, "Post edomades VII et LXII occidet XPS"
* Zaccaria, "His palgatus sum"
* Giacobbe, "Addredan descendisti fili mi / Dormens accubuisti ut leo"
* David, "In siti mea potaveru[n]t me aceto"
* Pellicano, "Similis factu um pellicano solitudinis"
* Isaia, "Vere languores nostros ipse tulit et dolores nostros"
* Geremia, "O Vos omnes qui transite per viam attendite et videte si est dolo sicut dolor meus"
* Ezechiele, "Exaltavi lignum h[um]ile"
* Giobbe, "Quis det de carnibus eius ut saturemur"
* Sibilla Eritrea, "Morte morietur tribus diebus sonno subscepto trino ab inferis regressus ad lucem veniet primus".

I cartigli che tengono in mano quindi sviluppano il senso mistico della rappresentazione, soprattutto quelle di Isaia, di Geremia o di Giobbe.

Infine nella bordura inferiore è stata raffigurata la genealogia domenicana, con sedici papi, cardinali, vescovi, santi e beati dell'Ordine entro clipei, con al centro il fondatore. Secondo il Vasari, grazie all'aiuto di numerosi confratelli che visitarono quei personaggi e i loro luoghi d'origine, molti di questi ritratti sarebbero stati eseguiti "al naturale".

 



San Benedetto

 


San Romualdo

 


San Tommaso d'Aquino

 

 



Celle di sinistra (da nord)



Noli Me Tangere

Fra Angelico, Noli Me Tangere, 1440-41, affresco, 180 x 146 cm, Convento di San Marco, Firenze


Noli me tangere, è una delle opere sicuramente autografe del maestro, risalente al 1438-1440.
L'Angelico si dedicò alla decorazione di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua partenza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, quando completò alcuni affreschi e si dedicò alla statura di codici miniati per il convento stesso.

Molto si è scritto circa l'autografia dell'Angelico per un complesso di decorazioni di così ampia portata, realizzato in tempi relativamente brevi. Gli affreschi del piano terra vengono concordemente attribuiti all'Angelico, mentre più incerta e discussa è l'attribuzione dei quarantatré affreschi delle celle e dei tre dei corridoio del primo piano. Se i contemporanei come Giuliano Lapaccini attribuiscono tutti gli affreschi all'Angelico, oggi, per un mero calcolo pratico del tempo necessario a un individuo per portare a termine un'opera del genere e per studi stilistici che evidenziano tre o quattro mani diverse, si tende a attribuire all'Angelico l'intera sovrintendenza della decorazione ma l'autografia di solo un ristretto numero di affreschi, mentre i restanti si pensa che vennero dipinti su suo cartone o nel suo stile da allievi, tra cui Benozzo Gozzoli.

Il Noli me tangere si trova nella cella 1 del corridoio Est, lato esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel disegno che nell'esecuzione.

 

La scena è stata composta in maniera simile alla vicina Annunciazione della cella 3, con due figure pressoché immobili e uno sfondo che se anche apparentemente è più ricco e vario (la grotta, il prato fiorito, gli alberi), nella sostanza è appiattito dalla fascia orizzontale dell'incannicciata, che isola le figure ed evita qualunque distrazione che allontani la mente dai confini della scena. Non a caso i toni giallo-ocra della palizzata si intonano con quello della testa del Cristo, isolandola e mettendola in assoluta evidenza.

I corpi della Maddalena e del Cristo sono scolpiti dalla luce cristallina, che dà una forte sensazione, tramite il chiaroscuro, di rilievo plastico. Le fisionomia sono dolci ma incisive, il panneggio realistico, la collocazione spaziale così solida per la donna e così eterea per il Cristo soprannaturale.

Si tratta dell'unico degli affreschi delle celle di San Marco a dimostrare un diffuso interesse per la natura, con una resa minuta delle specie del prato. Tra gli alberi spicca la centro la palma, simbolo del martirio.


Il Compianto di Cristo


 


Fra Angelico, , affresco, Convento di San Marco, Firenze

Il Compianto di Cristo è un'opera dipinta con aiuti, in particolare il cosiddetto maestro della cella 2, risalente al 1440-1441 circa.
L'Angelico si dedicò alla decorazione di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua partenza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, quando completò alcuni affreschi e si dedicò alla statura di codici miniati per il convento stesso.

Il Compianto di Cristo si trova nella cella 5 del corridoio Est, lato esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa parte di quelle opere dipinte non direttamente dall'Angelico ma sotto la sua stretta sorveglianza e con piccoli interventi diretti.

Il Compianto è composto con le figure disposte a cerchio attorno al corpo morto di Gesù, con le tre pie donne, san Giovanni Evangelista e, in piedi a sinistra, san Domenico, che partecipa misticamente alla scena fornendo un esempio diretto per la meditazione dei frati. Sullo sfondo si vede la grotta col sarcofago già pronto, oltre ad alcuni alberi, dipinti con realismo, e un cielo scuro. In basso le rocce disegnano un arco che contribuisce a focalizzare l'attenzione sul centro della composizione.

Nel Compianto l'Angelico fornì probabilmente il cartone ed intervenne direttamente sulle figure di Maria, del Cristo e della Maddalena (Pope-Hennessy, confermato da Salmi e Baldini). Secondo Berti e Bonsanti invece sarebbe interamente autografa.

L'opera spicca per la cromia tenue e delicata, accordata su tonalità diverse ma armoniche nel complesso. La luce, tramite un chiaroscuro efficace, dà un forte rilievo plastico ai personaggi, che testimonia l'assimilazione dei principi scoperti da Masaccio. La collocazione spaziale, sebbene non eccessivamente profonda, per non creare una fonte di distrazione, è ben calibrata e composta con più punti di fuga, riuscendo a trasmettere la diversa posizione dei personaggi con efficacia.

 

L'Annunciazione della cella 3


 
Fra Angelico, Annunciazione della cella 3 (dettaglio), 1438-1440, Convento di San Marco, Firenze


L'Angelico si dedicò alla decorazione di San Marco su incarico di Cosimo de' Medici, tra il 1438 e il 1445, anno della sua partenza per Roma, per poi tornarvi negli anni 1450, quando completò alcuni affreschi e si dedicò alla statura di codici miniati per il convento stesso.

L'Annunciazione si trova nel corridoio Est, lato esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel disegno che nell'esecuzione.


Descrizione e stile

Angelico aveva già lavorato sul tema dell'Annunciazione, per pale di altare di sapore tardogotico, ricche di dettagli minuti e preziosi, ma anche con una struttura prospettica delle architetture e un'analisi psicologica dei personaggi pienamente rinascimentale.

In questo affresco, come in quello successivo dell'Annunciazione del corridoio Nord, l'Angelico ruppe con i modi del decennio precedente per dare origine a una scena severa e disadorna, con figure semplificate e alleggerite, dove la parsimonia compositiva e i modi essenziali sprigionano un forte misticismo. Questa nuova fase dell'arte dell'Angelico fu sicuramente influenzata dalla destinazione particolare degli ambienti, dove i monaci vivevano una vita fatta di contemplazione, preghiera e meditazione. Ciò portò a una lettura del fatto evangelico più essenziale e quindi più efficace, scevra da distrazioni decorative superflue e adeguata più che mai all'immediatezza narrativa e psicologica delle grandi opere di Masaccio.

Angelico aveva già lavorato sul tema dell'Annunciazione, per pale di altare di sapore tardogotico, ricche di dettagli minuti e preziosi, ma anche con una struttura prospettica delle architetture e un'analisi psicologica dei personaggi pienamente rinascimentale.

In questo affresco, come in quello successivo dell'Annunciazione del corridoio Nord, l'Angelico ruppe con i modi del decennio precedente per dare origine a una scena severa e disadorna, con figure semplificate e alleggerite, dove la parsimonia compositiva e i modi essenziali sprigionano un forte misticismo. Questa nuova fase dell'arte dell'Angelico fu sicuramente influenzata dalla destinazione particolare degli ambienti, dove i monaci vivevano una vita fatta di contemplazione, preghiera e meditazione. Ciò portò a una lettura del fatto evangelico più essenziale e quindi più efficace, scevra da distrazioni decorative superflue e adeguata più che mai all'immediatezza narrativa e psicologica delle grandi opere di Masaccio.

 

 


Annunciazione, dell'Angelico, dalla felice composizione, improntata ad un semplice ma efficacissimo rigore; a sinistra è raffigurato san Pietro Martire


L'angelo

 

   

La Trasfigurazione


   

La Trasfigurazione si trova nella cella 6 del corridoio Est, lato esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel disegno che nell'esecuzione. Nel caso della Trasfigurazione furono impiegate otto "giornate" di affresco, di cui una intera per il volto di Cristo, che fu trattato dall'Angelico con pennellate brevi e decise, con molte sfumature per rendere forte il modellato.

La scena viene spesso indicata come la più felice del ciclo, splendida sotto il profilo compositivo, coloristico e della luce. La simmetria è alla base dell'equilibrio della composizione. La figura di Cristo si erge maestosa al centro della scena sopra un'altura e spalancando le braccia, un gesto che preannuncia la Crocefissione, si staglia, bianco su bianco, entro una raggiera luminosa, che abbaglia gli astanti. Cristo ricorda un Pantocrator, adatto a rendere la potenza del momento in cui Dio proclamò ai discepoli "Questo è il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto". La composizione è divisa secondo la sezione aurea, con Cristo che divide l'affresco in due metà e con l'arco che misura un terzo rispetto all'altezza totale dell'opera.

In basso si trovano tre apostoli, Pietro, Giacomo il Maggiore (di spalle) e Giovanni: il primo fa un gesto per coprirsi gli occhi, Giacomo è in una posa carica di stupore (si notino le mani e i piedi contratti con studiato realismo), Giovanni invece, a destra, si inginocchia e alza le mani con profonda reverenza.

Sotto le braccia di Cristo si trovano le teste di Mosé e di Elia, testimoni mistici dell'avverarsi delle loro profezie, dove l'Angelico dispiegò tutta la sua potenza nel modellare. Ai lati si trovano infine la Madonna e san Domenico: quest'ultimo fa da testimone alla scena e la attualizza inquadrandola nella gamma dei principi dell'Ordine. San Domenico sembra ricevere luce dall'esterno, alle sue spalle.

I corpi dei personaggi sono scolpiti dalla luce cristallina, che dà una forte sensazione, tramite il chiaroscuro, di rilievo plastico. Le fisionomia sono dolci ma incisive, il panneggio realistico, la collocazione spaziale è solida e ben calibrata, a parte per le apparizioni mistiche dei profeti che fluttuano nell'aria con ali di cherubino.


 

Trasfigurazione (cella 6)

Cristo deriso


   
Fra Angelico, Cristo deriso, 1438-1440, affresco (Cella 7), Convento di San Marco, Firenze


Il Cristo deriso si trova nella cella 7 del dormitorio (corridoio Est, lato esterno), nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel disegno che nell'esecuzione.

La scena è tra le più celebri del ciclo, grazie alla straordinaria sinteticità con cui viene trattata l'episodio sacro. Alle spalle della Vergine e di san Domenico, quasi fosse una proiezione delle loro riflessioni, si trova, entro una composizione triangolare, la figura centrale del Cristo, assisa su un sedile che ha la forma di un semplice parallelepipedo posto su un gradino di pietra bianca. Se il sedile ricorda un trono ma non lo è, anche il bastone che Cristo regge in mano è una parodia di scettro e la sfera giallastra del globo dorato. Lo sfondo verde del tendaggio rettangolare fa risaltare il nucleo della scena, dove si trovano i simboli delle sue sofferenze: bastonate, mani che lo schiaffeggiano, loschi figuri che lo deridono togliendosi il cappello e poi sputandogli addosso. Nonostante la corona di spine e la benda (notare l'effetto di rilievo che fa percepire gli occhi chiusi e il naso) Cristo mantiene una calma imperturbabile e sembra effettivamente un re nella sua maestà.

Di questo tipo di iconografia si trovano precedenti nel XIV secolo, ma qui l'Angelico preferì sottolineare gli aspetti narrativi della scena piuttosto che quelli violenti. La scena trasmette dopotutto un senso di immobilità, che lo sfondo piatto accentua isolando la figura principale e evitando qualunque distrazione che allontani la mente dai confini della scena. L'estrema semplicità compositiva e cromatica non fa che moltiplicare la chiarezza della scena, senza rinunciare ad effetti di rara maestria, come la disposizione in profondità su più piani o le sottili diversità della cromia ridotta ma variata, come nei bianchi. L'abito di Cristo, ad esempio, è infatti trattato con estrema sicurezza e compiutezza volumetrica, che lo fa assomigliare al panneggio di una statua marmorea.

In basso si trovano le figure contemplative della Madonna e di san Domenico, che non partecipano direttamente alla scena, ma si rivolgono piuttosto allo spettatore. San Domenico, in silenziosa lettura, era il modello da seguire per i frati, la figura che suggeriva l'atteggiamento da tenere.

Le figure appaiono semplificate e alleggerite, la cromia tenue e spenta. In tali contesti la forte plasticità di forma e colore, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione. I gesti sono ispirati a una gamma varia e naturale, che si ritroverà poi negli affreschi del soggiorno romano del pitture (Cappella Niccolina in Vaticano). Alcuni attribuiscono la Vergine alla mano di un collaboratore.



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Fra Angelico, Cristo deriso

San Domenico, dettaglio

 


Incoronazione della Vergine (cella 9)


 

Fra Angelico, Incoronazione della Vergine (cella 9), 1441-1443 circa, affresco, Convento di San Marco, Firenze

 

L'Incoronazione della Vergine si trova nella cella 9 del corridoio Est, lato esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione, e fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al maestro assolutamente indiscussa, sia nel disegno che nell'esecuzione.

La scena è tratta in maniera molto diversa rispetto alle più antiche Incoronazioni degli Uffizi (1432 circa) e del Louvre (1434-1435), poiché essa non avviene davanti a un folto gruppo di spettatori, ma è isolato, con sei santi che assistono ma non partecipano all'avvenimento. Lo stesso nimbo di luce bianca, divina, che circonda i sedili fatti di nuvola, isola il gruppo sacro e lo carica di un silenzioso misticismo. In questo caso la lettura del fatto evangelico è più essenziale e quindi più efficace, scevra da distrazioni decorative superflue e adeguata più che mai alle conquiste di Masaccio. La scena trasmette dopotutto un senso di immobilità, che lo sfondo piatto accentua isolando la figura principale e evitando qualunque distrazione che allontani la mente dai confini della scena. Questa nuova fase dell'arte dell'Angelico fu sicuramente influenzata dalla destinazione particolare degli ambienti, dove i monaci vivevano una vita fatta di contemplazione, preghiera e meditazione.

Come la vicina Trasfigurazione, anche questo affresco è dominato dalla luce che fa stagliare, bianco su bianco, le figure sacre. La Madonna si protende in avanti con le braccia incrociate in segno di umiltà ed accettazione (la stessa posa dell'Annunciazione della cella 3), mentre Cristo le porge la corona, decorata da perle e rubini. L'aspetto più semplice della corona rispetto ai precedenti su tavola è da mettere in relazione con la tecnica dell'affresco e con la generale semplificazione delle forme nel ciclo di San Marco, destinato alla meditazione spirituale dei frati. Gli abiti bianchi di Cristo e della Madonna sono trattati con sicurezza e compiutezza volumetrica, che li fanno assomigliare ai panneggi delle statue marmoree.

In basso i sei santi sono legati al monachesimo in generale e all'ordine domenicano nello specifico. Essi sono, da sinistra: Tommaso d'Aquino, Benedetto da Norcia, Domenico di Guzman, Francesco d'Assisi, Pietro Martire e Paolo di Tarso.

Le figure appaiono semplificate e alleggerite, la cromia tenue e spenta. In tali contesti la forte plasticità di forma e colore, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione.

 


Presentazione al Tempio (cella 10), 1440-1441 circa


 


Fra Angelico, Presentazione al Tempio (cella 10), 1440-1441 circa, affresco, Convento di San Marco, Firenze

 

La Presentazione al Tempio si trova nella cella 10 del corridoio Est, lato esterno, nella fila di celle da cui si ritiene che sia iniziata la decorazione (databile al 1440-1441), e fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al maestro, almeno per una parte sostanziale dell'affresco.

La scena è quella che in fase di restauro (1981) ha rivelato le maggiori sorprese: lo sfondo rosso è stato rimosso rivelando una delicata ambientazione architettonica e riportando come all'origine gli intervalli di spazio e i rapporti di luce; le figure laterali e il Bambin Gesù inoltre erano state ridipinte nel XIX secolo, e ne è stata riscoperta l'autografia angelichiana.

La scena, come altre del ciclo dipinto, è impostata secondo un senso di immobilità, che lo sfondo regolare accentua isolando le figure principale e evitando qualunque distrazione che allontani la mente dai confini della scena. Al centro si trova un altare dove arde una fiamma, davanti al quale il sacerdote Simeone tiene in braccio affettuosamente il piccolo Gesù. La Madonna di profilo, così simile a quella della Trasfigurazione, allunga le braccia verso il figlio, mentre dietro di lei si trova san Giuseppe con un cesto di offerte. La nicchia chiara dà l'impressione di aprirsi illusionisticamente sul muro e il suo arco, con decorazione a conchiglia, ricalca la forma dell'arco della volta della cella, in una continuità spaziale tra architettura reale e architettura dipinta.

Ai lati assistono alla scena san Pietro Martire e la beata Villana, due santi legati all'ordine domenicano, in particolare all'ambiente fiorentino.

Le figure sono allungate, ma un efficace chiaroscuro evita di farle apparire eteree come nell'arte gotica. Soprattutto la veste di san Simeone è colpita incisivamente dalla luce, che ne esalta i riflessi cangianti al variare della profondità.

I personaggi appaiono semplificati e alleggeriti, la cromia tenue, che il restauro ha rivelato più brillante e ricca di sfumature di quello che si pensasse originariamente. In tali contesti la forte plasticità di forma e colore, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione.

 

 

 



Comunione degli Apostoli (cella 35), 1440-1441 circa


 

Fra Angelico, Comunione degli Apostoli (cella 35), 1440-1441 circa, affresco, Convento di San Marco, Firenze


La Comunione degli Apostoli si trova nella cella 35 del corridoio Nord, lato interno, in una fila di celle dove molti furono i contributi degli assistenti, tra i quali è stato individuato in particolar modo il giovane Benozzo Gozzoli.

La scena è di dimensioni più grandi e di formato diverso dalle altre del ciclo, anche perché le celle su questa fila erano di dimensioni maggiori. La scena è ambientata in una stanza che ricorda il refettorio di un convento, con una decorazione quasi del tutto assente, data dalla fascia rossa al muro e dalle finestrelle ad arco che mostrano scorci esterni. A destra si trova, oltre un arco, una veduta del pozzo. Come nell'Annunciazione della cella 3 l'ambiente nudo e disadorno aumenta la percezione della luce e dello spazio.

Gli apostoli sono seduti in fila alla tavola di forma a "L", e quattro di loro, che stavano seduti sui panchetti anteriori, si sono inginocchiati e messi in disparte per facilitare la visione della scena. A sinistra si trova la Vergine Maria, pure inginocchiata. Notevole è la resa spaziale, con figure ben calibrate a seconda della distanza ideale. La scena trasmette un senso di immobilità, essendo essenzialmente destinata ad ispirare la meditazione e la preghiera. Questa nuova fase dell'arte dell'Angelico fu sicuramente influenzata dalla destinazione particolare degli ambienti, dove i monaci vivevano una vita fatta di contemplazione, preghiera e meditazione.

Le figure sono sobrie e semplificate, la gamma cromatica è delicata e tenue, ma con una gamma più bassa e spenta rispetto alle opere su tavola dell'angelico. In tale contesto la forte plasticità di forma e colore, derivata da Masaccio, crea per contrasto un senso di viva astrazione.


Adorazione dei Magi (cella 39), 1441-1442 circa


 

Fra Angelico, Comunione degli Apostoli (cella 35), 1440-1441 circa, affresco, Convento di San Marco, Firenze

L'Adorazione dei Magi è una delle opere sicuramente autografe del maestro, risalente al 1441-1442 circa. Una parte dell'affresco è attribuita anche al giovane allievo Benozzo Gozzoli.
L'Adorazione dei Magi si trova nella cella 39 del corridoio Nord, la cella doppia dove risiedettero Cosimo de' Medici e altri ospiti di riguardo del convento (tra cui papa Eugenio IV). L'affresco fa parte di quel ristretto numero di opere di attribuzione diretta al maestro, almeno per una parte sostanziale dell'affresco. La scena viene in genere datata a un periodo vicino alla Crocifissione con i santi, con la quale ha alcune caratteristiche stilistiche in comune, appena dopo il completamento delle celle del lato esterno del corridoio Est. Aòcuni mettono questa scena in relazione col Concilio di Firenze, svoltosi nel 1439, per via della presenza di personaggi con fogge orientali.

John Pope-Hennessy attribuisce l'intero disegno all'Angelico, vista anche il prestigio della collocazione, e conferma anche l'intervento del Gozzoli, proposto dalla Gengaro.
La scena è la più grande del ciclo delle celle ed ha la forma di un lunettone con al centro in incavo che ospita un tabernacolo col Cristo in pietà.

La Madonna, il Bambino e san Giuseppe sono posti alla sinistra, mentre ricevono l'omaggio dei tre re Magi che, uno per volta, si stanno inginocchiando e stanno consegnando i doni. Dietro ad essi si dispiega il corteo, composto da letterati, cavalieri, uomini di scienza e militari. A differenza dello stesso tema trattato nella predella del tabernacolo dei Linaioli (1433-1435), qui la scena è trattata in maniera più tradizionale, con uno sviluppo in orizzontale che è stato messo in relazione con la composizione della Crocefissione con i santi che si trova nella Sala Capitolare del convento. Anche lo sfondo a rocce scheggiate è tratto dalla tradizione. Varie pose dei personaggi si trovano anche in alcune scene della predella della Pala di San Marco.

La luce è diafana e cristallina e dà origine a una cromia tenue e delicata, che, assieme alla ricchezza di personaggi, è una delle caratteristiche migliori dell'opera.


La Madonna delle Ombre ( Sacra Conversazione)

Fra Angelico, Sacra Conversazione, c. 1443, fresco, 195 x 273 cm, Convento di San Marco, Florence

La Madonna delle Ombre si trova al primo piano, lungo il corridoio est, nel corridoio tra la cella 24 e 25. L'opera è di datazione incerta, che oscilla tra gli anni 1440 e il periodo dopo il ritorno dal soggiorno romano, dopo il 1450. Si tratta un'opera sperimentale, che deve il suo nome agli effetti di luce e ombra, studiati a partire dalla reale fonte di luce in fondo al corridoio.

La Madonna delle Ombre rappresenta la Madonna col Bambino in trono affiancata dai santi Domenico, Cosma e Damiano, Marco, Giovanni Evangelista, Tommaso d'Aquino, Lorenzo e Pietro Martire.

Venne dipinto dopo il 1450 (quindi è un'opera della tarda maturità dell'artista) ed è a tecnica mista: a fresco per lo sfondo e a secco per le figure; per questo l'uso del disegno è quasi nullo e la resa dei personaggi è affidata quindi alla stesura diretta dei colori.

La Madonna delle Ombre è una Sacra Conversazione, [2] che vede la Madonna col bambino in trono, circondata da due gruppi simmetrici di santi, per un totale di otto, che sono disposti con scioltezza nello spazio e rimandano tra l'uno e l'altro con gesti e sguardi, come se stessero appunto conversando. La Madonna è posta su un trono rialzato di un gradino e incorniciato da una nicchia dorata sulla parete. I santi che sono rappresentati sono strettamente legati ai Medici e all'ordine Domenicano, per cui è ragionevole pensare a una commissione diretta da parte di Cosimo il Vecchio.
Da sinistra si incontrano:

* San Domenico di Guzman, fondatore dei Domenicani, con l'abito domenicano, la stella rossa sulla testa, il giglio e un libro aperto che mostra un salmo
* I santi Cosma e Damiano, protettori dei Medici in generale e di Cosimo in particolare, riconoscibili per l'abbigliamento col berretto, per la palma del martirio in mano e per il contenitore dorato, forse contenente gli strumenti del mestiere;
* San Marco evangelista, titolare della chiesa, riconoscibbile per la penna e il Vangelo e per il colore dell'abbigliamento (verde)
* San Giovanni evangelista, protettore di Giovanni di Bicci, padre di Cosimo, rioconoscibile per la penna e il Vangelo e per il colore dell'abbigliamento (rosa)
* San Tommaso d'Aquino, domenicano, riconoscibile per la stella dorata appuntata sul petto
* San Lorenzo, protettore di Lorenzo il Vecchio, fratello di Cosimo, riconoscibile per la graticola, la palma del martirio e la dalmatica
* San Pietro Martire, domenicano, riconoscibile per la palma del martirio e la ferita sanguinante sulla testa.

L'aspetto più importante dell'affresco è lo studio sulla luce, che pervade l'intera rappresentazione rendendo con efficacia sia i colori, armoniosamente accordati, che le ombre, per definire i volumi, che gli effetti di lustro nelle dorature delle aureole e della nicchia. Ma l'elemento più straordinario è l'ombra che i capitelli delle paraste proiettano sul muro, che sono lunghe e sottili, in accordo con la fonte luminosa naturale del corridoio, che è la finestra in fondo ad esso, sul lato sud. Negli occhi dei santi di destra inoltre si nota il riflesso della finestra negli occhi. Tali ricerche vennero inaugurate dall'Angelico ma non portate a compimento fino in fondo: non sono presenti infatti le ombre dei santi, che avrebbero dovuto produrre un effetto di taglio simile, e qualche incertezza si riscontra anche nella collocazione al suolo delle figure, come nei piedi di san Marco, probabilmente a causa dell'utilizzo di allievi, ben documentato in quel periodo.

Per ottenere questi originali effetti di luce l'Angelico fece un ampio ricorso alla tempera, che permetteva di restituire maggiormente gli effetti del variare della luce. In questo senso si può ipotizzare un avvicinarsi del pittore alla sensibilità luministica fiamminga, anche se per l'Angelico la luce era essenzialmente il mezzo per ottenere immagini nitide e chiare, in accordo con la destinazione monastica del ciclo affrescato.


 

 

 

 
   
Opere di Fra Angelico

Affreschi nel convento di San Marco, 1438-1446

* Piano terr

Crocifissione con san Domenico (chiostro), 1442 circa
o San Pietro Martire che ingiunge il silenzio, lunetta affrescata (chiostro)
o San Domenico che mostra la regola dell'Ordine, lunetta affrescata (chiostro)
o San Tommaso d'Aquino con la Summa, lunetta affrescata (chiostro)
o Cristo pellegrino accolto da due domenicani, lunetta affrescata (chiostro)
o Cristo in pietà, lunetta affrescata (chiostro)
o Crocifissione con i santi (sala capitolare), 1442 circa
o Crocifissione (refettorio, distrutto nel 1554)

* Primo piano

Madonna delle Ombre, 1439 circa o post 1450
o Annunciazione del corridoio Nord, 1440 circa o post 1450
o Noli me tangere (cella 1), 1438-1440
o Compianto di Cristo (cella 2), 1438-1440
o Annunciazione (cella 3), 1438-1440
o Trasfigurazione (cella 6), 1441-1443 circa
o Cristo deriso (cella 7), 1441-1443 circa
o Incoronazione della Vergine (cella 9), 1441-1443 circa
o Presentazione al Tempio (cella 10), 1440-1441 circa
o Comunione degli Apostoli (cella 35), 1440-1441 circa
o Adorazione dei Magi (cella 39), 1441-1442 circa


   

[1] Affreschi nel convento di San Marco, 1438-1446. Sono elencati solo i lavori ritenuti in maggioranza autografi dell'Angelico.
[2] L’iconografia della Sacra Conversazione è la rappresentazione della Madonna in trono circondata da santi. Talvolta può essere un colloquio su temi dottrinari e teologici in presenza della Vergine Maria con il Bambino Gesù.
L'opera che rappresenta probabilmente il primo esempio di questo tema è la Pala di Annalena del Beato Angelico (1430-1440 circa), secondo altri la Madonna del canonico van der Paele di Jan van Eyck (1436).
   


Art in Tuscany | Italian Renaissance painting

Art in Tuscany | Giorgio Vasari | Lives of the Most Excellent Painters, Sculptors, and Architects | Fra Angelico

Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Fra Giovanni da Fiesole (Fra Angelico)

Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999.

John Pope-Hennessy, Beato Angelico, Scala, Firenze 1981.

Guido Cornini, Beato Angelico, Giunti, Firenze 2000

Grove Dictionary of Art Online (excerpt) | "Italian painter, illuminator and Dominican friar. He rose from obscure beginnings as a journeyman illuminator to the renown of an artist whose last major commissions were monumental fresco cycles in St Peter’s and the Vatican Palace, Rome. He reached maturity in the early 1430s, a watershed in the history of Florentine art. None of the masters who had broken new ground with naturalistic painting in the 1420s was still in Florence by the end of that decade. The way was open for a new generation of painters, and Fra Angelico was the dominant figure among several who became prominent at that time, including Paolo Uccello, Fra Filippo Lippi and Andrea del Castagno. By the early 1430s Fra Angelico was operating the largest and most prestigious workshop in Florence. His paintings offered alternatives to the traditional polyptych altarpiece type and projected the new naturalism of panel painting on to a monumental scale. In fresco projects of the 1440s and 1450s, both for S Marco in Florence and for S Peter’s and the Vatican Palace in Rome, Fra Angelico softened the typically astringent and declamatory style of Tuscan mural decoration with the colouristic and luminescent nuances that characterize his panel paintings. His legacy passed directly to the second half of the 15th century through the work of his close follower Benozzo Gozzoli and indirectly through the production of Domenico Veneziano and Piero della Francesca. Fra Angelico was undoubtedly the leading master in Rome at mid-century, and had the survival rate of 15th-century Roman painting been greater, his significance for such later artists as Melozzo da Forli and Antoniazzo Romano might be clearer than it is."

Paolo Morachiello, Fra Angelico: The San Marco Frescoes, Museo Di San Marco, Thames & Hudson, 1996.

BERNARD BARRYTE Stanford University Museum of Art | Fra Angelico: Dissemblance and Figuration
"Fra Angelico's mural paintings in the Dominican priory of San Marco in Florence are the subject of this study. Finding art history's traditional categories to be misleading, Didi-Huberman turns to semiotics as the conceptual tool that enables him "to shore up the imperiled historical imagination" and recover the "universe of thought" inhabited by the community of monks instrumental in the creation and reception of these paintings. Focusing on the Noli me tangere, the Madonna with Eight Saints, and the Annunciation, he reveals their multivalent significance, treating the paintings as virtual figurations of theological speculation and vehicles for spiritual meditation."

John Spike, Fra Angelico, Abbeville Press, 1995.
In Fra Angelico (Abbeville Press, 1995) John Spike presents a major discovery: the secret program of the forty frescoes in the cells of the Dominican monastery of San Marco in Florence. All previous studies of this artist had concluded that the subjects and arrangement of these frescoes, the artists masterworks, were chosen at random, or by the friars themselves. Instead, as the author now shows, Fra Angelico drew upon the mystical writings of the early church fathers to construct a spiritual exercise organized into three ascending levels of enlightenment. The San Marco frescoes can finally be seen as not only the most extensive cycle of works by any single painter of this century, but indeed the most complete pictorial expression of Renaissance theology.

Arte in Toscana | Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Fra Giovanni da Fiesole (Fra Angelico)

Giorgio Vasari | Lives of the Most Eminent Painters Sculptors and Architects, Fra Angelico | Detailed biography of the artist



Podere Santa Pia, un’oasi di pace immersa nel verde delle colline della Maremma, si trova poco chilometri da Montalcino, città conosciuta nel mondo per il suo famoso vino Brunello ma anche per la sua storia, i suoi monumenti e i suoi paesaggi.

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Museo di San Marco

       
Il museo occupa una vasta area del convento domenicano di San Marco e ne conserva intatta l'atmosfera.

Fondato nel 1436 e realizzato su progetto dell'architetto Michelozzo, il convento ebbe un ruolo importante nella vita religiosa e culturale della città come testimonia anche la vicenda di frate Gerolamo Savonarola. La fama del museo è dovuta soprattutto ai dipinti di Beato Angelico, uno dei massimi pittori del Rinascimento, che affrescò molti ambienti del convento. Altri dipinti dell'Angelico, di varia provenienza, vi sono stati raccolti nel Novecento, pertanto il museo offre una straordinaria documentazione dell'attività del pittor. eVi sono anche importanti esempi di pittura cinquecentesca, come testimoniato dalle numerose opere di Fra Bartolomeo.

Museo di San Marco
Piazza di San Marco, 1
50121 Firenze


Apertura:

Dal lunedì al venerdì: ore 8,15 – 13,50
La biglietteria chiude alle 13,20

Sabato, Domenica e festivi: 8,15 - 16,50
La biglietteria chiude alle ore 16,20

Chiusura: 1a, 3a, 5a domenica e il 2° e 4° lunedì di ogni mese; Natale, Capodanno, 1° Maggio.


 

San Marco a Firenze

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