Andrea Mantegna


Elenco opere in ordine cronologico

Il Polittico di San Luca, 1453-1455

Presentazione al Tempio, 1455

Cappella Ovetari, 1448-1457
      L'Assunzione della Vergine, 1448-1457

Orazione nell'orto, 1458-60 circa

Ritratto del cardinale Ludovico Trevisan, 1459-1460

Ritratto di Carlo de' Medici, 1466 circa

La Camera degli Sposi (1465-1474)

Parnaso, 1497

Ecce Homo, 1500 circa

San Sebastiano, 1481

Il Trionfo della Virtù, 1502 circa

Giorgio Vasari | Le vite | Andrea Mantegna







 





 

             
 
Andrea Mantegna, Il Trionfo della Virtù, 1502 circa, Parigi, Musee du Louvre
 
       
   

Andrea Mantegna | Il Trionfo della Virtù

   
   

Il Trionfo della Virtù (o Minerva scaccia i Vizi dal giardino della Virtù) è un dipinto tempera su tela (160x192 cm) di Andrea Mantegna, completato nel 1502 e conservato oggi al Louvre di Parigi.

La tela fu la seconda della serie di decorazioni pittoriche per lo studiolo di Isabella d'Este nel Castello di San Giorgio a Mantova. Nel 1502 è documentata l'ordinazione di vernice per completare l'opera.[4]

Il complesso programma iconografico, ricco di valori allegorici, venne forse fornito dal poeta e consigliere di Isabella Paride da Ceresara. Fonti letterarie dell'opera vengono individuate nel Sogno di Polifilo (pubblicato Venezia nel 1499) e nel De genealogia deorum di Boccaccio.

La tela, con tutte le altre dello studiolo, venne donata verso 1627 al cardinale Richelieu venendo trasferita a Parigi, dove al tempo di Luigi XIV entrò nelle collezioni regali. Da lì, dopo la rivoluzione francese, è confluita nel museo del Louvre.

   
   

Descrizione e stile


La tela rappresenta una "fabula antica" affollata di numerosi personaggi allegorici, la cui identificazione è facilitata dalle numerose scritte, ma non tutti gli elementi sono stati univocamente interpretati. La scena è ambientata in un giardino delimitato da archi di verzura, oltre i quali si vede un lontano paesaggio che digrada nella luce brumosa secondo le regole della prospettiva aerea, mentre sul lato destro si erge un muro di grossi blocchi di pietra. Si tratta del giardino simbolico della Virtù, che è stato occupato da Vizi, i quali l'hanno trasformato in palude. La composizione è impostata a un rigido schema a triangolo, che sembra incorporare tutti i personaggi e frena l'impeto delle figure in movimento.

A sinistra irrompe Minerva, simbolo delle doti intellettuali della mente umana, vestita della corazza e con l'elmo, la lancia (spezzata, in simbolo di vittoria) e lo scudo che la contraddistinguono. Essa fa per scacciare intanto un gruppo di cupidi volanti, procacciatori di amori carnali, alcuni dei quali, in secondo piano, sono anche celati da maschera di barbagianni e gufi, simbolo dell'inganno. Davanti a Minerva incalzano due figure femminili armate rispettivamente di arco e frecce e di una torcia spenta, che sono state interpretate come personificazioni di Diana e della Castità.

Tra i primi personaggi ad essere cacciati c'è una madre satiressa con le zampe caprine striate, che tiene tre figli in grembo e uno per la mano con zampe di leopardo, ma il suo ruolo non è stato chiarito. Si avviano invece verso il lago, che li allontana dal giardino, una serie di vizi per lo più identificabili da cartigli. Sulla sponda della palude, proprio sotto Minerva, si trova l'iscrizione dai Remedia Amoris di Ovidio OTIA SI TOLLAS / PERIERE / CVPIDINIS ARCVS ("Se togli gli ozi perirà l'arco di Cupido"). Poco più in là si vede l'Accidia, rappresentata come una vecchia deforme priva di braccia (per la sua incapacità di agire) che è condotta tramite una corda dall'Inertia, dalla camicia lacera. Segue una mostruosa figura scimmiesca, l'Odio immortale, la Frode e la Malizia (Immortale Odio / Fraus et Malitiae), che porta sulle spalle quattro sacchi con i semi (Semina) del male (Mala), male peggiore (Peiora) e di quello pessimo (Pessima). Questa figura ha inoltre due cartellini sotto l'ascella, dei quali è leggibile solo uno, forse il greco Zελoσ ("Gelosia")..

Il gruppetto successivo è quello della Venere terrena, del tutto calma, in contrapposizione a Minerva e trasportata dal centauro, simbolo entrambi della Lussuria. Essa è preceduta da un cupido con due fiaccole e da due donne una delle quali tiene l'arco del cupido: si tratta probabilmente di due virtù che riprendono possesso del giardino, essendo i vizi tutti rappresentati nudi. Il satiro dall'aspetto animalesco, dalla testa vagamente leonina, con un bambino e una pelliccia d'animale in braccio, non è identificato da una didascalia, ma la sua descrizione si trova in un'incisione nota come Virtus Combusta, che ne ha permesso l'identificazione con la Concupiscenza o la Lascivia, in evidente relazione con la Venere terrena. L'ultimo gruppo, descritto dai cartigli, mostra l'Iniorancia coronata che viene trasportata di peso dall'Ingratitudo e dall'Avaritia. Poco sopra un cartiglio contiene un'invocazione agli dei da parte della Prudenza o della Madre delle Virtù: ET MIHI VIRTVT? MATRI / SVCCVRRITE DIVI ("E voi, o dei, soccorrete me, Madre delle Virtù"). L'identificazione di questa "Madre delle Virtù" è incerta e potrebbe essere la Verità[1] o la quarta Virtù cardinale non presente in cielo, la Prudenza[2].

 


Minerva


Cupidi

 

 

Tornando all'estrema sinistra si scorge una rappresentazione di Dafne, quale madre delle Virtù, prigioniera dell'albero di alloro, rappresentata nella sua metamorfosi con una notevole inventiva visionaria del pittore. Attorno al tronco è avvolto un cartiglio, che contiene una lunga invocazione di aiuto, scritta in latino con caratteri romani, in latino con caratteri che imitano la scrittura greca (e non in greco come spesso riportato) e in ebraico[3], rivolta alle tre Virtù cardinali, che appaiono in cielo entro una nuvola rotonda: esse, espulse dal giardino a suo tempo, sono da sinistra la Giustizia, con la bilancia e la spada, la Fortezza, con la colonna, la clava e la leontè, e la Temperanza, con i due vasi con cui versa l'acqua nel vino in segno di moderazione.

Restano inspiegati alcuni elementi, come le rocce incombenti e sul punto di crollare nella montagna a sinistra, forse uno dei brani meglio riusciti dell'opera, paragonate ai dipinti di Albrecht Altdorfer, le figurette umane nel paesaggio e la presenza di nuvole dalla forma umana.
 
 
   

[1] Förster, 1901
[2] Lightbrown, 1986.
[3] AGITE PELLITE SEDIBVS NOSTRIS / FOEDA HAEC VICIOR? MONSTRA / VIRTVTVM COELITOS ADNOS / RED?TIVM / DIVAE COMITES ("Venite, divini compagni delle Virtù che stanno tornando a noi dai cieli, bandite questo patto di mostri dalle nostre sedi"),
[4] I dipinti dello studiolo di Isabella d'Este a Mantova
Lo studiolo di Isabella d'Este (1474-1539), sorella di Alfonso signore di Ferrara e moglie di Francesco II Gonzaga, si trovava originariamente nella torre Nord-Est del Castello di San Giorgio a Mantova; in seguito alla morte di Francesco nel 1519, venne trasferito nel 1522 nel palazzo di Corte Vecchia, insieme alle collezioni di quadri e di antichit^, disposti rispettivamente nello Studiolo e nella Grotta. Dopo una primitiva decorazione costituita essenzialmente da imprese e divise, infatti, intorno al 1495 la marchesa aveva concepito un nuovo progetto decorativo, aggiornato sulla sua passione per l'antichit^ classica, la tematica amorosa e quella musicale, commissionando dunque, tra 1496 e 1505-06, vari dipinti a Andrea Mantegna, Perugino, Lorenzo Costa e Giovanni Bellini.


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Mantegna exhibition at Musée du Louvre, Hall Napoléon | From September 26, 2008 to January 5, 2009 | www.mini-site.louvre.fr/mantegna
The French collections, starting with that of the Louvre, house a noteworthy ensemble of Mantegna's works which were completed by some exceptional loans, from all over the world.




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Il meglio della Maremma | Case Vacanze | Podere Santa Pia

     
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Isabella d'Este

   

Isabella d'Este (Ferrara, 17 maggio 1474 – Mantova, 13 febbraio 1539) fu una delle donne più importanti del Rinascimento e del mondo culturale italiano del suo tempo.
Figlia di Ercole I d'Este, duca di Ferrara, e di Eleonora d'Aragona (a sua volta figlia di Ferdinando I di Napoli e di Isabella di Clermont) fu marchesa di Mantova sposando Francesco II Gonzaga ed ebbe come sorella un personaggio storico ugualmente famoso: Beatrice d'Este, duchessa di Milano e moglie di Ludovico Sforza.

Per nascita o matrimonio, il suo nome fu collegato a quello dei maggiori regnanti di Spagna. Spesso è citata semplicemente come la Primadonna del Rinascimento.

Isabella d'Este ebbe in gioventù una educazione di grande impronta culturale, come testimoniano le sue copiose corrispondenze dalla città di Mantova.

"Nec spe nec metu" ("Né con speranza né con timore") fu il suo motto.

Le sorelle Este furono esposte a molte delle idee del Rinascimento: in seguito Isabella divenne un'appassionata, addirittura avida, collezionatrice di sculture romane e commissionò sculture moderne in stile antico. All'età di 16 anni sposò Francesco II Gonzaga, Marchese di Mantova. I coniugi furono patroni di Ludovico Ariosto mentre questi stava scrivendo l'Orlando Furioso ed entrambi furono molto influenzati da Baldassare Castiglione, autore de Il Cortigiano, un modello di decoro aristocratico per duecento anni. Fu su suo suggerimento che Giulio Romano venne convocato a Mantova per ampliare il castello ed altri edifici. Sotto gli auspici di Isabella la corte di Mantova divenne una delle più acculturate d'Europa. Tra i tanti importanti artisti, scrittori, pensatori e musicisti che vi giunsero ci furono Raffaello Sanzio, Andrea Mantegna, e i compositori Bartolomeo Tromboncino e Marchetto Cara. Isabella venne ritratta due volte da Tiziano, e il disegno di Leonardo da Vinci che la ritrae (preparatorio per un dipinto ad olio mai eseguito) è esposto al Louvre. Fu ella stessa una brillante musicista, e riteneva gli strumenti a corda, come il liuto, superiori ai fiati, che erano associati al vizio e al conflitto; considerava inoltre la poesia incompleta finché non veniva trasposta in musica, e cercò i più abili compositori dell'epoca per tale "completamento".

Si dedicò al gioco degli scacchi tanto che il grande matematico rinascimentale Luca Pacioli (1445c.-1517c.), nel 1499 avendo il re di Francia Luigi XII conquistato il ducato di Milano ed essendo lo stesso Pacioli in compagnia di Leonardo da Vinci fuggito e riparato a Mantova, scrisse e le dedicò il manoscritto De ludo schacorum, detto Schifanoia, opera per secoli ritenuta persa e solo nel 2006 ritrovata presso la biblioteca Coronini Cronberg di Gorizia dal bibliologo Duilio Contin.

Mostrò inoltre grande abilità diplomatica e politica nei negoziati con Cesare Borgia, che aveva spodestato Guidobaldo da Montefeltro, duca di Urbino, marito della cognata e amica intima Elisabetta Gonzaga (1502).

Dopo la morte del marito, avvenuta nel 1519, Isabella governò Mantova come reggente del figlio Federico, giocando un ruolo importante nella politica italiana e rafforzando costantemente il prestigio del marchesato mantovano. I suoi molteplici e importanti conseguimenti compresero l'elevazione di Mantova a ducato e l'ottenimento del titolo di cardinale per il figlio minore Ercole Gonzaga.

Con il conseguimento della maggiore età del figlio, la sua figura di donna di comando, generò alcuni dissapori e maldicenze, tanto che Federico di fatto la estromise dalla vita politica di Mantova negandole qualsiasi notizia che dall'esterno perveniva alla cancelleria. Fu forse questa la molla che spinse Isabella a allontanarsi dalla città recandosi a Roma, nonostante la situazione politica tumultuosa. Nel 1527 infatti fu testimone del Sacco di Roma ed il suo palazzo, nel quale aveva dato rifugio a circa 2000 persone, fu l'unico in tutta la città a non essere saccheggiato dai lanzichenecchi, per via della protezione offerta da suo figlio Ferrante, capo di una milizia dell'esercito imperiale. Isabella si prodigò nella protezione dei rifugiati che erano comunque stati dichiarati ostaggi dell'esercito imperiale e per i quali fu richiesto un riscatto.

Tornata a Mantova, si occupò della vicenda del matrimonio del figlio Federico, un'operazione molto ingarbugliata dall'ordine dei numerosi fatti: il ripudio della prima moglie Maria Paleologa, accusata di congiura da una cortigiana di Federico, poi la scelta di Carlo V di dargli in moglie la sua cugina Giulia, più anziana di lui e malvoluta dal popolo, la riabilitazione di Maria dopo che questa era diventata unica erede del feudo del Monferrato e, in seguito alla morte di lei, le definitive nozze con sua sorella Margherita Paleologa.


Il primo studiolo


Isabella, nata a Ferrara ed educata da alcuni dei più colti umanisti dell'epoca, andò in sposa a Francesco II Gonzaga nel 1490 a soli sedici anni, arrivando a Mantova il 12 febbraio di quell'anno. Si sistemò negli appartamenti al piano nobile del castello di San Giorgio, poco distante dalla Camera degli Sposi. Poco dopo il suo arrivo fece organizzare due piccoli ambienti del suo appartamento, scarsamente illuminati e senza camini, come stanze ad uso personale: lo "studiolo", situato nella torretta di San Niccolò, e la "grotta", un ambiente voltato a botte al di sotto dello studiolo, al quale si accedeva tramite una scala e un portale decorato in marmo. L'idea le era probabilmente partita sia dalla conoscenza dello Studiolo di Belfiore di suo zio Leonello d'Este, sia attraverso la conoscenza della cognata Elisabetta Gonzaga, maritata Montefeltro, con la quale aveva un particolare sentimento di amicizia, che le mostrò gli studioli di Urbino e di Gubbio.

Nello studiolo Isabella si ritirava per dedicarsi ai suoi passatempi, alla lettura, allo studio, alla corrispondenza. Inoltre vi radunò i pezzi più pregiati delle sue collezioni, che inizialmente contenevano solo pezzi di archeologia e poi accolsero anche opere contemporanee, secondo quel confronto tra "antichi e moderni" che all'epoca dominava le speculazioni in campo artistico. Amava ritenersi ispiratrice di poesia, musica e arte, tanto che si guadagnò il soprannome di "decima Musa", e le rappresentazioni di Muse infatti abbondavano nello studiolo, sia nella tela di Mantegna che nei rilievi sul portale che portava alla grotta.

La grotta conteneva la collezione di antichità, mentre per lo studiolo elaborò almeno dal 1492 un programma decorativo basato su una serie di dipinti commissionati ai più illustri artisti dell'epoca, su temi mitologici, allegorici desunti dalla letteratura e celebrativi di se stessa e della sua casata, che venivano suggeriti dai suoi consiglieri, tra cui primeggiava Paride da Ceresara. Il progetto di Isabella, piuttosto originale, sarebbe stato quello di mettere in competizione (in "paragone") i vari artisti su dipinti di identiche dimensioni, tutti su tela, con la medesima direzione della luce, che riprendeva quella naturale della stanza, e con le figure in primo piano di stessa grandezza. Queste condizioni si rivelarono tutt'altro che semplici da comunicare ai vari artisti, specie se lavoravano fuori Mantova, per i diversi strumenti di misura da città a città e per una certa confusione che generò la stessa Isabella, variando e revocando spesso gli ordini dati su soggetti e composizioni, sbagliandosi almeno una volta sulla direzione della luce. Inoltre non tutti gli artisti avevano familiarità con i temi mitologici ed allegorici, e in alcuni casi erano inibiti dal confronto con Mantegna, colui che iniziò la serie, il quale eccelleva in tali temi. Emblematico è il caso di Giovanni Bellini, che pur lasciato libero di scegliersi un tema, alla fine declinò poiché non abituato ad essere legato a richieste dettagliate.

Una fitta corrispondenza resta tra Isabella e il Perugino, attivo allora a Firenze, per la creazione della Lotta tra Amore e Castità che permette di ricostruire il metodo di ordinazione di un dipinto per lo studiolo. Il tema letterario, specificato in tutte le parti, era incluso addirittura nel contratto notarile e comprendeva un disegno su cui il pittore doveva basarsi. Il pittore poteva omettere qualche episodio secondario nel dettagliatissimo programma, ma gli era assolutamente proibito di aggiungere figure di sua invenzione o di fare modifiche: quando dipinse una Venere nuda anziché vestita la marchesa, tramite i suoi consulenti che continuamente visitavano lo studio dell'artista, protestò vigorosamente. Nel 1505, alla consegna del dipinto, Isabella non ne rimase pienamente soddisfatta: disse che le sarebbe piaciuto di più se fosse stato a olio, quando invece era stato fatto a tempera su sue esplicite istruzioni per seguire lo stile di Mantegna. Il tutto per 100 ducati, ben sudati.

Studiolo e grotta divennero presto uno dei luoghi più interessanti da mostrare ai dignitari in visita nella città, con le dovute cautele, dovuta alle piccole dimensioni e alle tentazioni in cui poteva cadere anche l'ospite migliore: dopo una vista della scorta del duca di Borbone, nel 1509, mancarono infatti all'appello alcuni argenti di valore.


Pitture

 


Andrea Mantegna, Ritratto di f Francesco Gonzaga, Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli


Leonardo Da Vinci, cartone per il ritratto di Isabella d'Este, Museo del Louvre, Parigi

Isabella d'Este, ritratto di TizianoIsabella d'Este, ritratto di Tiziano


Bartolomeo Veneto o Bartolomeo Veneziano (1502 – 1555), Lucrezia Borgia

La decorazione dello studiolo avviò nel 1497 con il cosiddetto Parnaso di Mantegna e proseguì nel 1499-1502 con il Trionfo della Virtù dello stesso autore. Mantegna vi aveva dipinto anche due finti rilievi di bronzo, esistenti ancora nel 1542 e poi scomparsi.

Il programma decorativo proseguì poi con opere dei più quotati artisti attivi allora in Italia, come la Lotta tra Amore e Castità di Pietro Perugino (1503) che però non riscosse il pieno consenso della marchesa, e due tavole di Lorenzo Costa il Vecchio: Isabella d'Este nel regno di Armonia e il Regno di Como, quest'ultima avviata a partire da un disegno incompleto di Mantegna che morì nel 1506. Isabella non riuscì mai invece ad avere un dipinto da Giovanni Bellini, il quale viste le difficoltà del rigido schema di personaggi e figure richieste dalla committenza finì per declinare la commissione (1501), né di Giorgione, morto troppo presto, né di Leonardo da Vinci, nonostante le ripetute richieste. Botticelli si era dimostrato disponibile a dipingere per lo studiolo, ma su consiglio di Gian Cristoforo Romano e Lorenzo da Pavia, la sua scelta cadde poi sul Perugino.

A queste opere si aggiunsero dopo il trasloco altre due di Correggio (Allegoria della Virtù e Allegoria dei Vizi).

 

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